Il Fatto e lo shock del processo Dell’Utri
10 Marzo 2012
L’idea di giustizia che hanno al Fatto Quotidiano è molto semplice, direi basilare e si può riassumere così: se un giudice condanna un imputato che il Fatto – a suo insindacabile giudizio – ritiene colpevole, è un buon magistrato, va difeso a tutti i costi e guai a chi lo mette in discussione. Se un giudice assolve quello stesso imputato, allora è un corrotto o un incapace, o tutti e due. Il tribunale del Fatto non ammette gradi di giudizio, appelli o cassazioni, uno è colpevole e basta, anche se assolto in altre giurisdizioni, tipo quella italiana.
La colpevolezza di Marcello Dell’Utri è una di quelle verità fondative per il Fatto Quotidiano, è una pietra miliare della sua dottrina giurispridenziale, la chiave di volta del suo disegno inquisitorio-repressivo. Vi potete dunque immaginare con quale animo, nella redazione di quel giornale, si attendesse il giudizio di Cassazione sul prcesso dell’Utri.
Tutte le misure preventive erano già state messe in atto: la carriera criminale del senatore mille volte riraccontata, con tutti possibili dettagli, le sue condanne precendenti ripubblicate e innalzate a verità eterne; imputati, coimputati, amici di Dell’Utri, processi collegati, spezzoni di inchesta già arichiviati, vecchi ricordi di pentiti, tutto era stato richiamato in ballo, qualche volta come assolutà novità, per spianare il terreno al trionfo della giustizia fattesca e festeggiare l’ingresso di Dell’Utri in carcere.
Certo, esisteva anche qualche motivo di apprensione, concentrato in particolare sull’assegnazione del caso Dell’Utri alla quinta sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Aldo Grassi, un magistrato che non corrisponde pienamente ai parametri di affidabilità del Fatto. Tanto che appena appresa la notizia il quotidiano di Padellaro apre un fuoco preventivo contro il magistrato: “Marcello Dell’Utri non poteva trovare giudice migliore. Il collegio che potrebbe salvarlo dalla galera è presieduto da Aldo Grassi un giudice finito sui giornali negli anni Novanta per le sue conversazioni con il collega Corrado Carnevale, meglio noto come l’ “Ammazzasentenze”. Vi rendete conto dello spavento del Fatto? Dell’Utri giudicato da uno che negli anni 90 parlava con Carnevale? Ma siamo impazziti?
Ma non è tutto: Marco Lillo, il segugio giudiziario del quotidiano scopre anche di peggio: “Grassi è un magistrato che non fa mistero delle sue idee sulla riforma della giustizia: separazione delle carriere e fine dell’obbligatorietà dell’azione penale”. Niente di meno? Come si può affidare un processo così delicato a un giudice così compromesso. Il Fatto non se ne fa un ragione e allude a “oscure manovre” per pilotare una così favorevole assegnazione.
Tanto che la presidenza della Cassazione si sente costretta a difendere il suo magistrato con una nota ufficiale: “Nessun torbido mistero nell’assegnazione e nella fissazione del processo, per il reato di concorso in associazione mafiosa, al senatore Marcello Dell’Utri. Inaccetabili le insinuazioni sugli strani ritardi che avrebbero dirottato il caso alla quinta sezione“.
Ma il Fatto, preferisce non findarsi e così intensifica la campagna contro Grassi, fosse mai che gli passasse per la mente di mandare libero Dell’Utri.
Scende così in campo anche Marco Travaglio che, dopo aver precisato e rievocato i rapporti tra Carnevale e Grassi con una buona dose di intercettazioni vintage, così concludeva il suo pezzo: “Qualunque sia l’esito del processo, sarebbe difficile dimenticare che, mentre Carnevale calunniava la memoria di Giovanni Falcone, Antonino Scopelliti e Francesca Morvillo, Grassi tristemente taceva.” Parecchio minaccioso quel “qualunque sia l’esito del porcesso”: un modo per dire a Grassi: pensa se l’esito fosse favorevole al reo!
Insoma alla fine della giornata al Fatto erano piuttosto sicuri di ottenere una bella e sonora conferma delle condanne a Dell’Utri e comunque consapevoli di aver fatto il loro dovere fino in fondo.
Tutto potevano prevedere in redazione meno che fosse il rappresentante dell’accusa, il sostituto procuratore generale di Cassazione, Francesco Mauro Iacoviello a pugnalarli alla schiena e a chiedere l’annullamento con rinvio del processo d’appello contro Dell’Utri. Per di più con una requisitoria che al Fatto deve aver fatto l’effetto (scusare il calembour) di un raggio di sole in una cripta di vampiri: “Il reato di concorso esterno è un reato indefinto al quale ormai non crede più nessuno”. Ma come, per il Fatto è la pietra angolare della giustizia in armi!? Come si può dire una simile eresia.
Così, anche se a buoi già fuggiti dalla stalla, al Quotidiano hanno pensato bene di dare una lezione anche a quel traditore di Iacoviello. Così ecco sul giornale di sabato un bel dossier a futura memoria: “Da Andreotti a Squillante a De Gennaro, tutti i processi del pg Iacoviello”. In cui tra l’altro si ricorda con orrore una frase di Iacoviello a proposito del processo Andreotti, di cui pure si era occupato in Cassazione: “non ci sono prove sui rapporti tra Andreotti e la mafia”. Poteva un giudice del genere processare Dell’Utri? Certo che no. Peccato non averci pensato prima.