Il federalismo fiscale può rischiare di diventare assistenzialismo
24 Luglio 2008
La legislatura del quarto governo Berlusconi va avanti e con essa, anche le riforme. Anche il federalismo fiscale, tanto caro alla Lega, continua la sua corsa ed il suo portavoce principale, il ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli, ha già tracciato una road map.
L’obiettivo è rendere effettivo l’art.119 della Costituzione che prevede che "I Comuni, le Province, le città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa". L’iter normativo tracciato dal ministro vede il varo di un disegno di legge entro il prossimo settembre, collegato alla Legge finanziaria, per poi approvarlo entro il 31 dicembre. Dopo di che l’attuazione avverà tramite decreti legislativi, per rendere più veloce il trasferimento dei poteri dallo Stato agli enti locali. E proprio quest’ultimi stanno contribuendo a rendere possibile la via del federalismo fiscale, in concertazione con il Governo. Infatti, nella giornata di domani, Calderoli presenterà una prima bozza del ddl ai presidenti delle Regioni, i quali forniranno il loro contributo alla presentazione dello stesso alle Camere.
Le misure anticipate dal ministro riguardano il decentramento e l’autonomia di Comuni, Province e Regioni nella riscossione dei tributi, che potranno essere utilizzati come meglio ritengono gli stessi enti. Inoltre, sarà presumibilmente rivisto l’apparato tributario concernente Irap, Irpef ed Iva, in merito ai livelli di conpartecipazione delle Regioni. Ma queste misure non sono solamente una proposta di un esponente politico, bensì una norma costituzionale. Si, perché leggendo con attenzione l’art.119 della Costituzione un paio di domande è lecito porsele. Innanzitutto, ci si rende conto che il federalismo fiscale non è un sogno, ma una realtà. L’autonomia in materia tributaria (ma non solo) è sancita direttamente dalla nostra fonte normativa più elevata. La mancata attuazione della stessa è un paradosso, attualmente. Qualcuno potrebbe obiettare che il divario fra il Nord ed il Mezzogiorno non è stato ancora colmato, ma la Costituzione ha pensato anche a questo, normando l’introduzione di un fondo c.d. perequativo che ha proprio lo scopo di limare le differenze fra Regioni. L’unica preoccupazione è che il «federalismo solidale», com’è stato ribattezzato, non si trasformi in mero assistenzialismo. Lo stesso assistenzialismo criticato da Milton Friedman, prima, ed Antonio Martino, dopo.
Perché è proprio questo uno dei timori principali: il gap strutturale intercorrente fra il Nord ed il Sud del paese. Basti pensare alla crescita del Pil nel 2007, che ha registrato un +1,8% del Nord Est e solamente lo 0,9% nel Sud. Come ricordato dal Rapporto Svimez, anche la situazione occupazionale gioca a sfavore del Meridione, con un tasso di disoccupazione molto più elevato che nel resto d’Italia. La perequazione, quindi, non deve essere l’oggetto con cui un apparato malato conduce quello sano verso l’abisso, bensì il contrario, se possibile. Il meccanismo di armonizzazione e compensazione dei tributi derivanti dalle Regioni in difficoltà sarà alla base della corretta attuazione ed efficacia del federalismo fiscale in salsa italica. Armonizzare in via indulgente le lacune del nostro paese è un rischio troppo elevato nella congiuntura economica attuale e la necessità principe è che si riesca a limare sempre più lo svantaggio oggettivo che divide l’Italia a metà.
L’operazione di Calderoli, quindi, mira a soddisfare i bisogni dell’una e dell’altra parte. Al massimo, qualche piccolo dubbio può sorgere intorno ad una misura, la prima dell’attuale esecutivo.
L’abolizione dell’Ici che tanto ha fatto scalpore suscita nel ministro per la Semplificazione qualche perplessità. La conseguenza è che la minor autonomia tributaria ha prodotto la problematica della coperta troppo corta: se un Comune non può più contare sull’Ici, ci mette poco a trovar vie alternative, come le sanzioni per violazioni al Codice della strada.
E’ per questo che la sua abolizione è sembrata quasi un diniego del retaggio liberale che ha sempre animato la compagine guidata da Silvio Berlusconi.