Il federalismo fiscale serve anche per rilanciare il Sud
26 Gennaio 2011
La Gazzetta del Mezzogiorno, con un editoriale di Giuseppe De Tomaso pubblicato domenica e un duro intervento di un lettore, ha evidenziato i rischi del federalismo fiscale.
Da liberale, non sono aprioristicamente né centralista né federalista, sono per una drastica riduzione del peso della mano pubblica in quanto tale – in tutte le sue espressioni, dal potere legislativo a quelli esecutivo e giudiziario, e a tutti i livelli – nella vita economica e civile, nel massimo allargamento delle libertà degli individui e della società nel suo complesso. Quanto al federalismo fiscale, purché non comporti un ulteriore incremento di un prelievo complessivo già insostenibile, lo ritengo un potenziale, utile stimolo all’auto-sviluppo di territori che, dovendo badare a sé stessi, non potrebbero più prescindere dall’ampliamento delle suddette libertà, oggi non a caso maggiormente compresse da sistemi di potere pervasivi e soffocanti proprio nelle aree più deboli del Paese, che preferiscono attendere manne dall’alto, affidate comunque all’opaca gestione della politica e della burocrazia, piuttosto che liberare l’intraprendenza delle loro comunità.
Ciò detto, non si può né si deve dimenticare che il federalismo fiscale è previsto – insieme alle “competenze concorrenti” che hanno di fatto trasferito alla Corte Costituzionale gran parte del potere legislativo – nel nuovo Titolo V della Costituzione, voluto e votato dalla sola sinistra, e che la legge di cui oggi si discutono i decreti attuativi è stata a sua volta approvata con il voto favorevole dell’Italia dei Valori e la benevola astensione del Partito democratico.
Né si può tacere sui peggioramenti al decreto originario per i Comuni – con il pretesto di un maggiore rafforzamento delle autonomie comunali – proposti dalle opposizioni e dall’Anci (da loro guidata), che spingono perché di fatto sia reintrodotta l’Ici sulla prima casa e perché sia appesantita, se non addirittura abolita, quella cedolare secca al 20% sugli affitti che ne rilancerebbe il mercato, a favore sia dei locatori che dei locatari. Insomma, tutte modifiche concepite affinché, in sostanza, il cittadino sia di fatto consegnato inerme alla mercè di Sindaci e dintorni.
Ancor più grave e, al tempo stesso, significativo è quanto abbiamo ascoltato da esponenti di primissimo piano della stessa opposizione, da Chiamparino a Veltroni, che hanno di fatto offerto alla Lega la resa a discrezione sul tema del federalismo, in cambio di una sua dissociazione da Berlusconi. Né si possono leggere altrimenti gli irrigidimenti improvvisi del cosiddetto “terzo Polo” e, soprattutto, di quei finiani che, finora, avevano condiviso l’adesione a un percorso per di più integralmente contenuto nel programma di governo con il quale sono stati eletti.
Se si voleva, quindi, una prova definitiva dell’assoluta strumentalità delle dissociazioni della sinistra e dintorni da un progetto che, peraltro, ha decisivamente contribuito a mettere in moto, questa è arrivata nel modo più evidente. A costoro, in realtà, non sembrano interessare molto né gli interessi del Mezzogiorno né l’Unità d’Italia, pronti come sono a barattare questi principi in cambio della testa dell’avversario che ha sbarrato loro, a suon di voti popolari, le porte di un potere che pare restare l’unico loro vero obiettivo.