Il festival di Sanremo, lo Zeitgeist e il marchese del Grillo

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Il festival di Sanremo, lo Zeitgeist e il marchese del Grillo

28 Gennaio 2021

In altre epoche si sarebbe parlato di “Zeitgeist”. Lo spirito del tempo. La capacità di comprenderne il senso. Quella consapevolezza istintiva che, di fronte a una scelta da compiere, e nonostante qualsiasi argomento di senso contrario, suggerisce di per sé la direzione da prendere. Sapendo che in un determinato momento quella è semplicemente la scelta giusta.

Ora, parrà un fuor d’opera scomodare lo Zeitgeist per parlare di Amadeus e del Festival di Sanremo. Ma tocca farlo, perché il Paese è in sofferenza e anche i segnali sono importanti.

I lettori dell’Occidentale sanno che da queste parti, pur non annoverandosi negazionisti, non siamo mai stati sostenitori sfegatati dei lockdown e di restrizioni che in diverse circostanze abbiamo giudicato, a seconda dei casi, schizofreniche o eccessive. Abbiamo un rispetto assoluto per la sacralità della vita umana – sempre e non a intermittenza – ma coltiviamo una concezione “integrale” della persona, il cui benessere riteniamo non possa essere circoscritto alla sola dimensione sanitaria senza alcuna considerazione per la quella lavorativa, economica, relazionale.

Tutto questo per dire che fra tanti che si sono pronunciati in queste ore sull’opportunità o meno che durante il Festival della canzone italiana l’Ariston possa ospitare qualche figurante scritturato e retribuito per simulare la presenza del pubblico e risparmiare ai cantanti e agli spettatori la desolazione di un teatro vuoto, probabilmente noialtri saremmo in teoria i più propensi a favorire una “botta di vita”.

Però, c’è un però. C’è che, come detto, i segnali sono importanti. E allora comprendiamo il disagio degli artisti, di cui si è fatto portavoce il direttore artistico Amadeus (che minaccia le dimissioni), a esibirsi davanti al nulla; comprendiamo anche le obiezioni della Rai, che ricorda come di figuranti si sia fatto in questi mesi abbondante uso in molte trasmissioni in quanto il loro inquadramento giuridico permetterebbe di considerarli parte dello spettacolo e non “pubblico”, la cui presenza nei teatri è interdetta dalle norme vigenti (anche se, a quest’ultimo proposito, si potrebbe contro-obiettare che uno studio televisivo è assoggettato a regole diverse da quelle che valgono per le strutture teatrali). Ma stavolta comprendiamo di più le ragioni dei ministri Franceschini e Speranza, il cui approccio “rigorista” abbiamo pure spesso criticato.

Il fatto è che il Festival di Sanremo è per tanti italiani un appuntamento simbolico e paradigmatico. E che quest’anno davanti alla tv ci saranno tanti piccoli artisti, musicisti, gestori di cinema e teatri, ma anche ristoratori, baristi, camerieri, titolari di piscine e palestre, in condizioni di estrema sofferenza per la durezza delle restrizioni loro imposte. E allora non importa nulla che giuridicamente una scappatoia esista: il pubblico in sala, semplicemente, non ci ha da stare.

Le cose stanno esattamente come le ha messe su Twitter Dario Franceschini: “Il Teatro Ariston di Sanremo – ha cinguettato il ministro dei Beni Culturali – il è un teatro come tutti gli altri e quindi, come ha chiarito il ministro Speranza, il pubblico, pagante, gratuito o di figuranti, potrà tornare solo quando le norme lo consentiranno per tutti i teatri e cinema. Speriamo il prima possibile”.

Se c’è una cosa che chiediamo al ministro Franceschini, e con lui a tutti i componenti dell’esecutivo presente e di quello che ci sarà nel prossimo futuro, è che questo “prima possibile” arrivi presto, non solo per l’industria culturale ma per tutte le attività che stanno pagando in maniera non più sostenibile il costo di questa crisi. Ma finché ciò non accadrà, gli artisti in gara a Sanremo potranno ben sopportare parte del disagio che tanti colleghi e tanti connazionali vivono da ormai quasi un anno. E in ogni caso, come ha osservato il governatore ligure Giovanni Toti, il tema del pubblico è quantomeno prematuro perché bisognerà valutare la situazione del Paese in quel momento e capire se nel frattempo essa sia cambiata per tutti.

Insomma, riaprite presto perché l’Italia non ce la fa più. Ma fino a quel giorno non esistono italiani più uguali degli altri. I figuranti plaudenti all’Ariston farebbero tanto l’effetto dell’“io so’ io e voi non siete un cazzo”. E, con tutta la simpatia per il Marchese Onofrio del Grillo, non è questo che oggi lo Zeitgeist suggerisce.