Il finismo ha fallito perché l’unico obiettivo di Fini era abbattere il tiranno
15 Dicembre 2010
Il crollo del “finismo”, ideologia residuale dell’impoliticità destrista, è appena incominciato. La sconfitta politica, teorica, pratica è totale. Un simil-movimento secessionista, nato sul risentimento ed il rancore, privo di un autentico progetto culturale e di una credibile collocazione alternativa al centrodestra, non poteva finire che nel modo in cui è finito. Gli rimane la speranza che l’Udc di Casini non lo abbandoni del tutto e platealmente. Rischio concreto dal momento che di Fli già diffida dopo aver scoperto le trattative segrete che cercava di intessere, alle sue spalle, con Berlusconi. Tutto, comunque, lascia propendere per l’inevitabile isolamento della creatura costruita in laboratorio dal presidente della Camera, fino a diventare irrilevante poiché la sua “missione”, alla quale tutti i nemici del Pdl guardavano con attenzione, è fallita.
L’azzardo di Fini è cresciuto in maniera esponenziale dallo scorso aprire al martedì nero che sarà ricordato come il Termidoro della terza carica dello Stato. Anche Robespierre venne abbandonato dai suoi che gli si rivoltarono contro. Non diversamente l’ex-leader di An ha dovuto prendere atto che le rivoluzioni per essere credibili devono essere costruite su una piattaforma politico-programmatica che le giustifichi. Per di più devono essere legittimate non da occasionali oligarchi che tentano di strumentalizzarle, come ha fatto tutto l’establishment antiberlusconiano, eleggendo Fini a paladino della rivolta contro il Cavaliere, ma dal popolo che intercetta umori, istanze, bisogni, sentimenti e volge questo magma in politica spendibile. Fini non se n’è dato per inteso. La sua crociata aveva come unico obiettivo la defenestrazione del tiranno, incurante del dopo. E’ questo che lo ha condannato. E c’entra poco il conteggio aritmetico.
Quel che vale è il pregiudizio che è venuto allo scoperto e a smascherarlo sono stati proprio alcuni di quelli che in perfetta buona fede hanno seguito ed assecondato Fini nella sua avventura almeno fino a quando davanti ai loro occhi non s’è aperta la visione del vuoto. Il Terzo Polo era e resta una chimera, hanno capito quanti gli hanno voltato le spalle, un “mito” senza prospettiva, privo di nerbo politico-culturale omogeneo: per questo sono rimasti nel centrodestra, il loro alveo naturale.
In due mesi da Fli se ne sono andati i deputati Sbai, Angeli, Catone, Siliquini, Polidori, Moffa: una nutrita e qualificata pattuglia che s’è resa conto di non poter convivere con chi null’altro ha a cuore se non di farla finita con l’attuale coalizione di governo, senza prospettare altro, priva di una qualsivoglia strategia di ricomposizione di uno schieramento che rappresenta la maggioranza degli elettori. E per di più rianimare, come è accaduto, una sinistra moribonda che è perfino riuscita a mobilitare sciaguratamente la piazza e rivendicare un ruolo da protagonista che nessuno le riconosceva più. Bel capolavoro.
L’errore di Fini non è stato soltanto quello di alimentare il disprezzo (provato da un linguaggio che francamente mette i brividi) nei confronti del premier del quale è stato strettissimo sodale per quindici anni e sfiduciarlo in diretta televisiva, senza neppure comunicarlo preventivamente ai suoi seguaci, ma di aver abbandonato la postazione che gli era propria per far sì che il centrodestra crescesse nella maniera che tutti immaginavano, come un grande movimento nazional-conservatore, avvalendosi della storia, della cultura, dell’esperienza della destra. Ha preferito, lui che pure lo ha contestato, farsi l’ennesimo partito personale per ottenere chissà quali risultati a prescindere da quella ricomposizione sociale che passa attraverso riforme statuali ed economiche tanto care al pensiero della destra dalla quale Fini proviene.
Adesso, i militanti di Fli si guardano intorno e forse destandosi dall’ubriacatura degli ultimi mesi capiscono che gli strappi politici o sono coerenti con una visione complessiva della realtà o sono destinati allo sperimentalismo che inevitabilmente affoga nel velleitarismo. Non saprei dire se nelle prossime settimane ci saranno altre defezioni tra i finiani. Interessa fino ad un certo punto: se c’è qualcuno che ragiona politicamente, comprende che l’assalto al Palazzo d’Inverno è fallito. Magari si chiederà come farà Berlusconi a governare, ma questo è un problema che riguarda il centrodestra, non chi l’ha abbandonato. Ritornando in questo perimetro politico coloro che se ne sono allontanati possono invece contribuire ad allargarlo e ad offrire un apporto alla ricomposizione di una frattura che non si sarebbe mai dovuta produrre.
L’avvenire è pieno di sorprese, come insegna il voto di martedì scorso. Non è detto che tra poche settimane un’altra maggioranza non debutti tra la sorpresa di chi voleva le dimissioni di Berlusconi prima del voto di sfiducia per non doversi contare. Può accadere grazie ad una crisi “pilotata” che oggi è possibile perché il campo è stato sgombrato dal tentativo degli oligarchi di mettere su il governo degli sconfitti. Resta il rammarico, per chi ha condiviso una storia politica non disprezzabile, che gli assertori del ribaltamento della volontà popolare avevano trovato proprio in Fini lo strumento per attuare le loro trame. Ed ancor più addolora la constatazione che il presidente della Camera abbia usato il proprio ruolo per fare politica militante, in maniera dunque tutt’altro che super partes. Peccato che nessuno gli abbia spiegato che non basta saper interpretare il regolamento per rendersi inattaccabile. Ci vuole altro, ben altro.