Il formalismo della Corte Costituzionale e il senso di responsabilità del Governo

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Il formalismo della Corte Costituzionale e il senso di responsabilità del Governo

24 Maggio 2015

Di fronte alla sconcertante sentenza della corte costituzionale che, azzoppando la riforma del sistema pensionistico varata dal governo Monti, ha messo in pericolo i conti dello Stato, il governo ha operato con misura e senso di responsabilità.

In linea di principio, infatti, l’esecutivo avrebbe potuto tranquillamente reiterare la norma messa in mora dalla corte. Avrebbe potuto farlo in nome di un principio che è implicito in ogni patto politico e che è il presupposto di qualsiasi buona amministrazione in campo economico e finanziario. Un principio riassumibile in un vecchio brocardo: impossibilia nemo tenetur. I partner europei sarebbero stati immediatamente rassicurati e i mercati avrebbero reagito positivamente. Anche l’opinione pubblica italiana avrebbe apprezzato un atteggiamento fermo e responsabile a difesa dell’interesse generale.

Se non si è seguita questa strada non è stato per un calcolo elettoralistico, la paura di alienarsi consensi in vista del prossimo voto amministrativo parziale previsto a fine maggio, bensì per una ragione di ordine più generale. La scelta di riproporre la norma bocciata, per quanto lineare, aveva una seria controindicazione di carattere politico-istituzionale. Un comportamento simile avrebbe delegittimato un organo dello stato, cui sono demandate funzioni assai delicate. Questo avrebbe aperto la strada ad un pericoloso conflitto dei poteri, foriero di altre possibili crisi. Si è preferito, allora, seguire una strada meno lineare ma più responsabile. Si è scelto di minimizzare l’impatto economico della sentenza, concedendo un rimborso parziale e non a tutti i potenziali percettori. In questo modo si è riusciti a non allarmare i mercati e gli operatori economici e al tempo stesso si è evitato un conflitto, che poteva risultare distruttivo, con la corte.

Certo non sono mancate le polemiche, ma in questo caso le polemiche sono ampiamente giustificate. Le sentenze vanno rispettate, e applicate, ma possono essere discusse e debbono, se necessario, essere criticate. Non ripeteremo quanto è stato assai autorevolmente sostenuto (Sabino Cassese), cioè che la corte avrebbe potuto dichiarare l’illegittimità del blocco dell’indicizzazione senza dare valore retroattivo alla pronuncia, converrà invece cercare di trarre un sintetico consuntivo da questa vicenda.

Guardando agli avvenimenti di questi giorni in una prospettiva più ampia, la discussione molto accesa cui abbiamo assistito potrà sortire un effetto positivo. C’è da augurarsi, infatti, che la Corte, ammaestrata da questo episodio, in futuro non si limiti a un giudizio formale, ma tenga conto anche delle conseguenze economiche delle sue pronunce. In un regime politico democratico è doveroso salvaguardare la divisione dei poteri. Però, ogni organo dello stato deve sempre tenere a mente l’etica della responsabilità, senza rifugiarsi nella propria sfera di competenza tecnica. Il prestigio di un paese dipende in gran parte dalla capacità della sua classe dirigente di agire con uno spontaneo idem sentire che, pur nella diversità dei ruoli e delle competenze, assicuri quella coesione nazionale di cui c’è sempre più bisogno in un mondo sempre più globalizzato.