Il futuro di Vendola si costruisce sulla disgregazione dell’idea originaria del Pd
29 Aprile 2011
Nato con Veltroni, il Pd ha assecondato il processo di abbattimento della partitocrazia e si è fatto sostenitore del confronto bipolare, come negli Usa, tra due schieramenti. Il centrosinistra e il centrodestra, accettando i valori comuni della democrazia e avvertendo l’esigenza di cambiamenti condivisi dell’architettura rappresentativa, esecutiva e giurisdizionale degli ordinamenti dello Stato, si prestavano al gioco democratico della maggioranza e dell’opposizione. Due poli d’interesse politico che, ferma restando la continuità istituzionale e il comune sentimento democratico, erano destinati a distinguersi su temi come previdenza, scuola e università, giustizia, pubblico impiego, sicurezza e fisco, soltanto negli accenti, nelle priorità e nelle strategie di visioni di società compiute.
Da una parte si pensava a una società democratica in cui far prevalere le innovazioni dei costumi, gli spazi delle minoranze, le integrazioni globali, il pluralismo etnico e, assieme a tutto questo, l’uso allargato della spesa sociale. Dall’altra parte, invece, si pensava sempre a una società democratica in cui far prevalere i valori di origine della cultura occidentale, l’identità nazionale, un’integrazione programmata, il rispetto delle minoranze, ma senza gravare sui diritti delle maggioranze e, assieme a tutto questo, la riduzione della spesa sociale a vantaggio dello sviluppo e degli investimenti, minori vincoli burocratici, più libertà d’impresa e maggiore flessibilità del mondo del lavoro.
In verità questo quadro non è stato dissolto da Vendola. Ci aveva già pensato lo stesso Veltroni. Perse le elezioni, sotto la pressione di Di Pietro, l’americano del Pd, dopo il voto e gli impegni presi, ha cambiato la strategia d’opposizione, trasformandola da costruttiva a pregiudiziale. Persino la legittimità del voto popolare è stata messa in discussione. La sinistra di Vendola, assieme a tutte le componenti della sinistra alternativa, era invece rimasta fuori del Parlamento, consolidando l’idea che l’Italia ed i suoi elettori avessero scelto la democrazia ed il confronto civile.
Questa premessa è utile per capire l’attacco, oramai quotidiano, di Vendola al Pd. È un attacco rivolto, in qualche modo, al sistema stesso della democrazia liberale per come si è strutturato in questi ultimi decenni. Vendola un anno fa in Puglia ha salvato la sinistra dalla sensazione di una sconfitta totale. E ora vuole riscuoterne il premio. Un anno fa, uscito da cinque anni di governo regionale senza colore, è riuscito ad imporre le primarie al Pd. Era sicuro di vincerle, dopo aver costruito per tutto il tempo del suo mandato le premesse (per nulla concrete) per il suo nuovo successo. E ora vorrebbe imporre la sua linea al Paese.
Forte di una rete clientelare di consenso politico tessuta in tutta la Regione, rilevata anche nelle inchieste della magistratura sulla Sanità pugliese, giovandosi di una stampa locale non ostile, se non addirittura amica, e mettendo in campo una strategia che punta su alcuni temi ad effetto, come l’acqua pubblica e il no al nucleare, ha vinto su un centrodestra spaccato. Del resto, Nichi è sempre stato abile a volgere tutto a suo favore. Utilizza ottimamente la pubblicità istituzionale per promuovere la sua immagine. Ha potuto persino giovarsi delle inchieste della magistratura su aspetti di vita mondana che, incrociandosi con personaggi pugliesi, sulla stampa locale facevano passare in secondo piano altre inchieste che lo interessavano da vicino.
La stessa strategia, ora, vorrebbe metterla in campo per lanciarsi nella corsa alla guida del Governo nazionale. La sua candidatura a sfidare Berlusconi nella corsa a Palazzo Chigi, insieme alla richiesta di primarie per la scelta, è partita il 18 luglio del 2010 a Bari durante i lavori degli “Stati generali delle fabbriche di Nichi". Vendola ha già deciso: o le primarie o la sua candidatura a prescindere. Nessuno può pensare che sarà lui a cambiare idea. Del resto, non esiste per Vendola il concetto di cambiare idea.
I tentativi del Pd di metterlo in difficoltà, a partire da quelli in Regione, a poco sono serviti. E su un aspetto Vendola ha ragione: il Pd ha votato con lui il suo programma e le sue scelte e i tentativi di metterlo in difficoltà con le assenze sui banchi della maggioranza appaiono non solo goffi, ma anche incoerenti. Da parte vendoliana, quindi, l’azione di logoramento del Pd né si ferma né sta trovando ostacoli insormontabili. L’ultima stoccata è contenuta nell’intervista al Fatto Quotidiano di qualche giorno fa. Ci ricorda la sua battaglia dell’uomo “solo contro tutti” già usata in Puglia. Il suo avversario per ora non è Berlusconi ma Bersani, come non era il centrodestra in Puglia, lasciato maturare nel suo logoramento e nei veti incrociati tra l’autunno del 2009 e l’inverno del 2010, ma D’Alema e il suo sistema di potere in Puglia. Se perdesse anche questa battaglia, Il Pd sarebbe costretto a prendere definitivamente atto del fallimento del suo progetto di rappresentare il riferimento della sinistra in una democrazia compiuta. Ma viene da chiedersi se sia possibile immaginare una sinistra moderna legata alla figura e alle politiche dal sapore ideologico di Vendola.