Il futuro Governo dovrà portare avanti l’agenda Monti e rifuggire i populismi
10 Settembre 2012
L’ultima trovata dell’opportunismo nostrano, tanto di sinistra quanto di destra, si chiama <salvaguardia della sovranità nazionale>. Il tema sembra essere uno dei capisaldi del manifesto e del movimento che Giulio Tremonti ha annunciato di fondare, è invocato da fior di editoriali ed articoli sull’Unità, per non parlare delle allocuzioni quotidiane della stampa più sgangherata (praticamente tutta) che fa riferimento al centro destra. Il fronte è ampio e composito, dunque. Ma la preoccupazione più singolare è quella della sinistra.
Il Pd, infatti, si proclama europeista, chiede di andare avanti nel processo di integrazione politica, ha rivendicato quel ruolo attivo della Bce (il sostegno antispread ai titoli di Stato dei Paesi in difficoltà) che Mario Draghi è riuscito ad ottenere. Da dove scaturisce, allora, questa esigenza di sovranità a rischio, sbandierata a tutto campo? Semplice, quando si tratta di ricevere aiuti non vi sono problemi: la chiamano solidarietà. Ma se gli aiuti sono condizionati a precisi impegni di risanamento e di riforme, ecco che viene meno l’indipendenza nazionale e che le istituzioni europee e gli Stati più virtuosi (al dunque la Germania) vengono indicati come i nuovi nemici pubblici. Mario Monti si sforza di sostenere che è sbagliato incolpare l’Europa per le misure severe che il Paese deve assumere.
Nessuno, però, si sforza a raccontarsi la verità: perchè gli Stati-formica dovrebbero essere solidali con gli Stati-cicala, quando è chiara la loro intenzione di rimanere tali? Se nel contesto di questa tremenda ed infinita crisi un Paese è più in difficoltà di un altro, non è colpa di un destino cinico e baro, ma è in larga misura conseguenza delle scelte politiche che sono state fatte o ignorate nel corso del tempo. Noi ci auguriamo che l’Italia non abbia mai bisogno di chiedere l’intervento della Bce e che continui questa situazione di criticità sostenibile (immaginavamo un agosto tremendo: una profezia che fortunatamente non si è avverata).
Ma non troviamo nulla di strano ad adempiere a delle precise condizioni se ci fosse la necessità di dover attingere a risorse comuni. Purtroppo è sempre più inquietante la deriva di larghi settori del Pd, le cui posizioni sono vieppiù condizionate dalla alleanza con il Sel, il quale ha deciso, da ultimo, di associarsi all’Idv nel promuovere un referendum contro la legge Fornero, inalberando lo sdrucito stendardo di una difesa dell’articolo 18 (ben poco minacciato dalle nuove disposizioni). Man mano che si avvicina l’appuntamento elettorale più si aprono contraddizioni tra il Pd e il Governo Monti, che poi sono soltanto divergenze tra un partito che dà per scontato di vincere le elezioni e la politica europea.
E’ visibile la tentazione di voltare pagina, in nome di <un’altra Europa> che esiste solo nelle chiacchiere. Tanto che persino il presidente della Repubblica ha avvertito la necessità di garantire (come potrà farlo visto che il suo mandato scadrà subito dopo le elezioni?) che l’Italia manterrà gli impegni, qualunque sia il risultato delle urne. Questo insieme di contraddizioni potrebbe aprire una prateria davanti all’iniziativa politica del Pdl che, a mio avviso, deve intestarsi il più possibile una linea di coerenza nei confronti dell’attuale esecutivo e dei risultati ottenuti. Ecco allora l’esigenza di definire una legge elettorale (con un modesto premio al partito più votato) che non escluda la possibilità di una maggioranza e di un Governo che, nella prossima legislatura, continuino a portare avanti l’agenda Monti. Purtroppo, pur con tante differenze interne, il Pd farà campagna per svuotare le riforme più apprezzate sul piano internazionale, a partire da quella sulle pensioni attraverso la strumentalizzazione del problema degli esodati.
Oggi la credibilità politica dell’Italia si gioca sul terreno dell’affidabilità delle forze che governeranno nella prossima legislatura. Ovviamente, saranno gli elettori a scegliere. Ma la continuità di una linea di risanamento, in coerenza con l’Europa, può essere un ottimo argomento per la campagna elettorale, rifuggendo dai populismi che minacciano la nostra stabilità. La lotta a questi fenomeni va fatta con la stessa determinazioni con cui, nel secondo dopoguerra, venne contrastato il comunismo, la cui affermazione avrebbe prodotto non solo perdita della libertà, ma anche degrado economico e povertà. Mentre nel 1957, quando erano trascorsi appena 12 anni dalla fine della guerra in Europa, nei sei Paesi fondatori della Comunità, saldamente agganciati ai valori politici ed economici dell’Occidente il tasso medio di disoccupazione non arrivava al 2%.