Il futuro, l’identità del Pdl e la necessità di una rifondazione europea

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Il futuro, l’identità del Pdl e la necessità di una rifondazione europea

10 Settembre 2012

IL PDL HA UN FUTURO?

A tre anni e mezzo dalla costituzione del PdL, che tenne il suo congresso fondativo nel marzo del 2009 quale è il bilancio? La prospettiva è quella di un percorso unitario proiettato nel futuro o preverrà la logica della frammentazione?
Senza indulgere al pessimismo non possiamo negare che si siano fatti passi indietro. Non solo per le divisioni che hanno caratterizzato la vita del PdL, che emersero fin dal congresso di  costituzione, ma per la frammentazione complessiva del sistema politico.
Si torna ad una logica neoproporzionalista. Non solo si privilegiano i partiti alle coalizioni, ma si intravedono fratture sempre più vistose all’interno dei partiti politici. Questo sia a destra che a sinistra. La scommessa di proiettare il PdL oltre la leadership di Berlusconi, oggi ha un esito incerto. Quando nell’estate del 2011 si decise di modificare lo statuto, e di eleggere segretario politico Angelino Alfano, si era avviato un percorso di rinnovamento e di ricambio generazionale. Che senza strappi e traumi interni, sotto la guida di Berlusconi, e con la sua condivisione, guardava avanti e preparava una continuità proiettata verso il futuro del soggetto politico unitario del centrodestra. L’autunno del 2012 nella prospettiva di imminenti elezioni politiche, vede l’ipotesi di un ritorno in campo della candidatura di Berlusconi, con una diversa strategia rispetto al ricambio generazionale. C’è un clima confuso in tutto il sistema politico. Lo dobbiamo dire con grande sincerità. C’è bisogno non di frammentazione, ma di una politica "alta" che abbia una visione strategica, sul piano nazionale ed internazionale, valoriale ed economica. Arrendersi allo spezzatino sarebbe un fallimento per tutti.

LE SORTI DEL BIPOLARISMO

Il centrodestra nacque all’insegna del principio "o di qua o di là", fautore di un bipolarismo da proporre agli elettori con chiarezza. Le alleanze ed i programmi prima del voto, la decisione di schierarsi in un modo o in un altro presentata con lealtà alla pubblica opinione. C’è stato un momento in cui si era addirittura vagheggiato il passaggio dal bipolarismo al bipartitismo. Con un Pdl ed un Pd che potessero essere punto di coagulo di tutte le realtà esistenti nel centrodestra o nel centrosinistra.
Il fallimento per primo del Pd, le dimissioni di Veltroni, dopo una serie di sconfitte nel 2008 e nel 2009, hanno paradossalmente, da sinistra, innescato un processo di possibile destrutturazione, non solo dei tentativi ormai archiviati di bipartitismo, ma perfino del bipolarismo. Oggi di questo stiamo discutendo. Ed anche le nuove norme elettorali sembrano archiviare il bipolarismo e rimandare al dopo voto le scelte delle formazioni politiche. Questa è la realtà. Ci si obietta che si è trattato di un fatto inevitabile. Rotture, egoismi,  sfarinamento di schieramenti politici hanno portato alla situazione in cui oggi ci troviamo.
Ma questo è positivo? E’ stata solo colpa di un bipolarismo "militarizzato"? Si poteva passare da un bipolarismo più duro ad uno di tipo più "mite"? Dobbiamo rinunciare definitivamente a questa stagione?
Credo di no. Ecco perchè, nonostante il pessimismo, o meglio il realismo, con cui apriamo questa analisi, dobbiamo rilanciare un progetto unitario ed identitario al tempo stesso.

LARGHE INTESE, UNA CONDANNA DA EVITARE

La crisi economica, dicono alcuni, impone una "larga intesa" permanente, anche dopo il voto, perché le questioni che abbiamo di fronte sono così complesse e difficili che non potranno essere affrontate da un solo partito o da un solo schieramento. Una drammatica crisi potrebbe proporre uno scenario simile. Ma questa prospettiva non è auspicabile. Non solo perchè vorremmo essere meno catastrofici, e quindi sperare che la crisi non sia un dato permanente. Ma anche perchè una coalizione formata da destra e sinistra non sarebbe in grado di proporre ricette efficaci. C’è ancora una diversità nella lettura della crisi contemporanea, ci sono proposte differenti. La sinistra mostra tuttora ostilità all’idea di impresa, non tanto al profitto in quanto tale, ma proprio all’impresa orientata al mercato. Diceva Einaudi: "Prima di distribuire la ricchezza bisogna produrla". La sinistra, invece, continua ad avere una visione errata e massimalista che emerge anche in questa fase di crisi. E’ il centrodestra che può offrire risposte adeguate. Con l’economia sociale di mercato, con la possibilità di coniugare un principio liberale con un intervento di natura sociale che non diventi socialista ed assistenzialista.
Proprio il tempo della crisi mette le ricette della sinistra fuorigioco. Non si potrà aumentare la spesa pubblica, né per alimentare le uscite si potrà far crescere ulteriormente la pressione fiscale. Occorre guardare al mercato. E con la sussidiarietà e altre forme di coinvolgimento del privato e del pubblico, affrontare gli aspetti della crisi che colpiscono le fasce più deboli della popolazione. Le larghe intese non rappresentano una risposta alla crisi, ma potrebbero indebolire l’Italia proprio di fronte a quanto sta accadendo. Ad esempio in campo di normativa del lavoro, il governo Monti ha fatto segnare dei passi indietro rispetto alla legge Biagi e alla maggiore flessibilità che ha fatto crescere l’occupazione durante il tempo dei governi Berlusconi. Emerge quindi una visione anti impresa, e una rigidità del mercato del lavoro, ispirata da Cgil, Fiom e dai settori più retrivi della sinistra che già in questa fase di governo tecnico ha prodotto dei danni, e che ne produrrebbe di ulteriori se si fosse condannati ad una forzata convivenza tra destra e sinistra. Ci sono idee alternative sul lavoro, sull’impresa, sul fisco, sulla sussidiarietà. Non rinunciamo alla nostra identità, al nostro progetto, al nostro dovere di rappresentare e tutelare categorie, competenze, professionalità, meriti, proprietà.

EUROPA IMPOPOLARE MA DESTINO INEVITABILE

L’Europa va archiviata o resta una prospettiva indispensabile? Tralasciamo le critiche all’Euro ed ai meccanismi che hanno regolato l’UE e che si sono rivelati ingannevoli se non, addirittura, fallimentari. Oggi possiamo mettere in archivio tutto questo per ritornare alla sola dimensione degli Stati nazionali? La risposta è no. Emergono nuovi competitori sulla scena internazionale, dal Brasile all’India che si affiancano al colosso cinese. Sono piattaforme continentali di un miliardo e più persone ciascuna. Possono i singoli Paesi europei fronteggiare la concorrenza inesorabile di queste realtà? No. L’Europa anche se fosse unita sarebbe una realtà numericamente destinata a soccombere. Ma la sua cultura, la sua storia, la sua intelligenza, la sua sapienza, la sua tecnologia le consentono di reggere il confronto. Serve un’altra Europa certamente. Ma non si può affermare l’idea dell’isolamento e del frazionismo rispetto a quella della coesione. Serve un’Europa politica.  Un’Europa che non rompa con  la realtà meridionale e mediterranea per far prevalere l’egoismo dei Paesi nordici. E’ la questione delle questioni. E’ la più difficile da risolvere. La dimensione piatta ed arida della tecnocrazia non sta offrendo risposte adeguate. Si seguono con doverosa attenzione i personaggi che si aggirano sulle scene europee, che non riescono però a dare una motivazione forte ed un’emozione a popoli che, quindi, vedono dell’Europa e dei suoi meccanismi soltanto le negatività. Occorre una rifondazione europea. Soprattutto morale, politica, culturale ed esistenziale. Bisogna coniugare la consapevolezza della nostra storia e della nostra cultura, la potenza delle nostre Cattedrali e della nostra identità, con la capacità di contrastare la concorrenza sleale della Cina e di quanti senza regole condannano a morte i nostri sistemi produttivi. Può sembrare contraddittorio unire Cattedrali e ciminiere, identità culturale e religiosa con tecnologie e sviluppo economico. Ma non è così. E’ la nostra grande forza. E dobbiamo nel contempo essere fortemente determinati nel contrastare l’aggressione senza regole asiatica. Da noi si vogliono chiudere gli impianti siderurgici perchè inquinano, altrove si devasta il pianeta producendo a basso costo e distruggendo l’ambiente, per esportare poi quei prodotti sui nostri mercati, distruggendo la nostra economia, la nostra produzione, il nostro lavoro. Un mondo globale così fatto non può funzionare. Va regolato diversamente. Mercato unico solo con regole uniche.

I VALORI NON NEGOZIABILI

Sul piano identitario è decisiva la difesa dei valori non negoziabili. Le recenti decisioni europee sugli embrioni, le questioni relative alle normative che devono regolamentare il fine vita, le discussioni sulla famiglia e sulle unioni gay, dimostrano che c’è uno spazio enorme per difendere una visione tradizionale e corretta della vita, della famiglia, dell’organizzazione sociale. Invece troppe volte si soggiace al prevalere dei luoghi comuni. Quasi che opporsi alle unioni gay esprima un atteggiamento retrivo di cui vergognarsi. La stessa costituzione laica italiana indica un modello di famiglia. L’unione tra l’uomo e la donna. Dobbiamo avere il coraggio di portare a compimento le normative che regolano il fine vita. Difendere la famiglia come base essenziale della società. Oggi invece di fronte al fondamentalismo ed all’integralismo iperlaicista da un lato o delle masse islamiche che crescono anche nelle nostre metropoli, i cattolici e l’ Occidente sembrano timorosi nel manifestare la propria identità e nel difendere i propri valori. Il Pdl senza diventare un partito integralista deve far prevalere una spinta identitaria e valoriale che, dai temi non negoziabili alle grandi questioni che hanno un forte impatto sulla società, con la sua identità e la sua organizzazione, rappresenti principi che devono essere testimoniati con determinazione.

GIUSTIZIA E SICUREZZA

C’è contraddizione tra l’ipergarantismo di cui spesso veniamo accusati ed una politica di legge ordine e di difesa della sicurezza dei cittadini? A nostro avviso no. Non c’è stato un tradimento di un’impostazione che soprattutto la destra ha rappresentato in Italia per molti anni. L’uso politico della giustizia fu sperimentato in primo luogo ai danni della destra italiana. Quando nel dopo ’68 i giudici e i pm rossi di Magistratura democratica manifestavano il loro orientamento ideologico fu l’Msi il primo bersaglio. Il partito era da sciogliere, i suoi militanti da perseguitare in ogni modo. A quelli che oggi hanno scoperto l’uso politico della giustizia, ricordiamo che le prime vittime per motivi politici fummo noi, militanti di destra. Oggi, come ha detto Alfano nel suo discorso di insediamento, nel luglio del 2011, taluni vogliono far considerare tutti coloro che sono colpiti dalla giustizia per ragioni di ordine morale come dei perseguitati. Non tutti sono dei perseguitati, ma Berlusconi certamente lo è stato. Ci sono stati abusi, ci sono stati personaggi che hanno mischiato l’appartenenza politica con il loro ruolo di togati. Inutile fare nomi ed esempi, ce ne sono troppi. Ci sono state nel passato fasi in cui coloro che si sono poi eretti ad icona della Costituzione, penso a Scalfaro, avevano assunto la regia della resa dello Stato alla mafia ed alla criminalità. Un centrodestra moderno può coniugare i valori della garanzia nell’applicazione della legge con la severità nei confronti del crimine. Gli abusi hanno dimostrato quanto la sinistra sia stata ipocrita. Perchè ha brandito il giustizialismo, ma si è fatta proteggere da magistrati compiacenti che non hanno fatto il loro dovere nei confronti del Pci-Pds quando è stato protagonista di pagine di corruzione.
Riandiamo quindi a stagioni lontane ancor prima di quella di Mani Pulite. Alla nascita di Magistratura democratica, ai suoi primi bersagli, e poi guardiamo nel prosieguo agli intrecci tra politica e giustizia che da Di Pietro ad Ingroia hanno visto sempre la sinistra protagonista di una commistione da cui ha tratto il beneficio dell’impunità e la possibilità di indirizzare verso i propri avversari l’azione di agguerrite minoranze di togati, che hanno anteposto la politica all’applicazione dei principi del diritto. Si può quindi portare avanti una politica per la sicurezza, di lotta alla mafia, di contrasto all’immigrazione clandestina, di punizione severa della criminalità diffusa con un principio di garanzia dell’esercizio della giustizia.

IL PDL IDENTITARIO

Il Pdl non deve perdersi nei labirinti politicisti in cui vale solo la polemica quotidiana, la critica agli altri, alle loro alleanze, alle loro subalternità, ai loro errori. Pensiamo a noi, al nostro ruolo, alla nostra "alleanza" con categorie e produttori. Non è un compito facile il nostro, perché si è tentato in mille modi di minare la nostra credibilità, di logorare la nostra leadership. E spesso con successo. Con il concorso di chi fin dall’inizio ha cercato di logorare il Pdl dall’interno. Ci sono ampi settori della società italiana che vogliono vedere rispettati i propri meriti e le proprie competenze. E noi dobbiamo rappresentarli, senza esitazioni. Molti dicono ad alcuni di noi che è tempo di rifare la destra. Il tentativo di andare oltre. Torniamo a una prospettiva "nostra", che ci eviti troppi difficili compromessi e ci ridia animo, orgoglio, identità. È possibile? È utile? Forse potrebbe diventare una scelta inevitabile se nel Pdl dovessero prevalere pulsioni per il potere a tutti i costi, adattamento a qualsiasi compromesso, voglia di poltrone celata dietro solenni ed ipocriti richiami al senso di responsabilità e all’interesse nazionale. Dobbiamo stare in campo per vincere, ma non possiamo rinunciare a idee e programmi per qualsiasi compromesso.
Molti nel Pdl la pensano così, non solo chi viene dalla storia della destra. Non dobbiamo quindi rompere questo vasto fronte consapevole del ruolo identitario del Pdl. Nè si deve avere una visione edulcorata del "ritorno della destra". Una rifondazione politica di questo tipo darebbe sfogo all’entusiasmo iniziale da ritorno a casa, ma passata l’euforia momentanea del rinnovato incontro, in breve volgere riemergerebbero idiosincrasie e differenze che nel passato causarono non poche discussioni. Ripeto, se le ragioni di fondo delle nascita del Pdl dovessero venire meno questa ipotesi non può essere esclusa. Ma francamente va esercitato ogni sforzo perché questa ipotesi non si debba porre. Né francamente ci sentiamo succubi degli appelli di taluni che nei propri campi di azione hanno ottenuto risultati assai più scarsi di quelli conseguiti da quanti nella destra italiana hanno scelto la via delle politica e della coesione del centrodestra.