Il futuro scolastico vagheggiato da Farefuturo è perfetto per gli asini
26 Giugno 2009
Caro Direttore,
lei è un provocatore perché mi sollecita a scrivere dopo aver lasciato sulla mia mail un articolo intitolato “Più bocciati? Nulla da festeggiare” pubblicato sul magazine online di una fondazione dal nome piuttosto impegnativo, Fare Futuro. Vaste programme.
Faccio come da bambina, quando la maestra mi dava il compito del riassunto e io mi divertivo a ripennellare storie poco intriganti. Così trovo divertente la liquidazione del Sessantotto come un passaggio non accidentato nella storia della scuola italiana e sublime m’appare la considerazione che “per ogni ragazzo che non ce la fa a superare l’anno, la prima ad aver fallito è l’istituzione scolastica stessa”. Incantevole è la citazione della Maria Montessori, irrinunciabile quella di Nicolas Sarkozy e così glamour è il riferimento al nume letterario di Alessandro Baricco. Da incorniciare è l’atterraggio morbido sulla google-generation.
Di fronte a così tanta varietà e sobrietà, sono quasi intimidita e le mie unghie appena smaltate da Red Door quasi si ritraggono ma… qualcosa non torna in questa fiera paesana di citazioni e abluzioni socioletterarie. Ecco, in questo campionario manca… il raglio dell’asino. Le potenti meningi di FF hanno smaterializzato la metafora popolare dello studente che non studia, del ragazzino impiastricciato dalle schermate di Game Boy, del figlio di papà che marina la scuola in minicar e pretende la promozione, del bignami vivente della Roma e della Lazio e chemmefrega de la prof de italiano, del My Space-dipendente indipendente dalla grammatica, del feisbucchista con molti amici virtuali e senza congiuntivi reali, del prototipo (sub)umano della google-generation che sciacqua il suo sapere su Wikipedia e non sa cosa sia lo sfoglio della Treccani. Quest’assenza però, a onor del vero, è stata colmata grazie a un tasso di saggezza e common sense vertiginoso, direi "finiano", perché è “chiaro che le ragioni profonde di una crisi vanno trovate soprattutto nell’incapacità della scuola di essere centrale nella vita dei nuovi giovani”. Applauso.
Eh sì, caro direttore, “centrale” è il discorso dell’Istituzione e pazienza se lei non riesce ad apprezzare l’uso di un linguaggio ricercato e originale come si usa tra i nuovi destristi. Lei è alla ricerca del “capro espiatorio virtuale”, non coglie “l’altro da noi” e non capisce “che la scuola si è inaridita, rattrappita su se stessa”. Mi creda, Loquenzi, lei non è abbastanza “post-moderno” e non coglie “il cambiamento epocale”, direi che fatica a leggere “il paesaggio simbolico”.
Cosa vuole, le bocciature di fronte al postmodernismo di FF sono un vecchio arnese arrugginito, privo della luccicante poesia del 6 politico di sessantottina memoria. Lei non capisce che la bocciatura è uno strumento parente del “fare razzistico” che dentro FF viene isolato come il virus del “nuovo rigore”. Se lei non riesce a toccare le vette di tale altissimo ragionamento non fa niente, nel mondo postfiniano la concorrenza appare abolita, la selezione cauterizzata, il darwinismo sociale revisionato, il merito e il demerito annacquati in una celebrazione da applausometro istituzionale. Non è la scuola il nocciolo duro del discorso, ma l’ansia d’accreditamento, il nevrile scatto verso le braccia del Nemico oggi plaudente e domani pronto al fendente, il fervore da inclusione nel mondo degli ottimati, il desio malcelato da cocktail in terrazza con la società dei pari essendo però irrimediabilmente dispari e numericamente irrazionali. Contraddizioni.
Il postmoderno vagheggiato da FF è un mondo spruzzato di buonismo hi-tech, esangue come un romanzo di Moccia e un tometto baricheggiante privo di tragedia, battito, accelerazione, fatica, sudore, dolore, gioia, la dura realtà della prova e dell’errore. L’assenza di tono classico, la scomparsa dell’armonia che è fatta di regole, diritti, doveri, responsabilità, la sinfonia di una vita che si scrive anch’essa su un pentagramma dove si alternano alti e bassi, crome, biscrome, semicrome, pause. Un mondo e una scuola senza lento, veloce, presto, prestissimo, allegro e solenne, un’aula senza futuristiche accelerazioni, voti e lezioni. E’ un mondo perfetto per i senza talento. Saranno fatti a pezzi dalle centinaia di migliaia di ingegneri seriali che produce la Cina, dai matematici di Bangalore, dai geni della ricerca harvardiana e bostoniana, dal respiro possente degli scrittori americani, indiani, cinesi, sudamericani, africani, russi. Figli della scuola bella, brutta, sporca, pulita, buona e cattiva, ingiusta, selettiva. Figli della strada, del genio e della follia, promossi e bocciati, sommersi e poi salvati dal sacrificio, dall’umiltà, dal senso terreno e non alieno delle cose della vita. Facciano pure Futuro, ma se l’immaginato è uguale all’impaginato, allora è un mondo perfetto per gli asini. Buona fortuna.