Il G8 continua il dialogo con Iran e Nord Corea, ma i risultati arriveranno?

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Il G8 continua il dialogo con Iran e Nord Corea, ma i risultati arriveranno?

11 Luglio 2009

Non solo crisi economica, Africa o clima al centro del dibattito della riunione del G8 conclusasi ieri. Anche la politica estera ha avuto un ruolo importante. Sul tavolo tutti i grandi temi oggi al centro della scena, dall’Iran alla Corea del Nord, dal Medio Oriente all’AfPak, fino alle armi di distruzione di massa ed alle strategie per il peace-keeping. Su tutto, naturalmente, ha tenuto banco la questione iraniana, sempre più incandescente e particolarmente irritante per Francia e Gran Bretagna che hanno contenziosi aperti con la Repubblica Islamica (la prima chiede da giorni la liberazione di Clotilde Reiss, una cittadina francese arrestata con l’accusa di spionaggio, la seconda tratta la liberazione di alcuni diplomatici accusati da Teheran di ispirare e fomentare le proteste di piazza). Tuttavia come già accaduto a Trieste durante la riunione dei Ministri degli Esteri del G8, anche in questo caso non si è andati oltre la semplice “deplorazione” delle “violenze elettorali” e la conferma di “preoccupazioni” per i “recenti eventi”. Una formula decisamente troppo blanda, che non può impensierire in alcun modo il governo di Teheran. Anche perché prontamente accompagnata dalla conferma del “pieno rispetto per la sovranità dell’Iran”. Al momento dunque pare non vi sia alcuna alternativa alla strategia del dialogo, la politica della mano tesa voluta da Obama, che però finora non ha prodotto alcun risultato concreto, se non quello di far continuare a trascorrere il tempo mentre Teheran procede con i suoi piani.

Proprio alla questione del nucleare iraniano è dedicato il terzo capoverso della Dichiarazione sui Temi Politici nel quale i grandi ribadiscono di essere convinti della necessità di trovare una soluzione diplomatica alla questione nonostante l’Iran continui a “non rispettare i suoi impegni internazionali”. Nessuna nuova sanzione dunque, semplicemente un rinvio della questione al vertice dei G20 che si terrà a Pittsburgh a fine settembre, data entro la quale, ha detto Sarkozy in conferenza stampa, “se non vi saranno novità sostanziali occorrerà prendere una decisione”. D’altro canto, ha suscitato un po’ di stupore una frase dedicata all’inedita condanna delle dichiarazioni negazioniste rilasciate dal governo di Teheran, probabilmente inserita perché su di essa vi è unanime visione da parte degli otto. Una “forte” condanna è arrivata invece per la Corea del Nord, il cui test nucleare del 25 maggio ed i lanci di missili balistici del 5 aprile e del 4 luglio rappresentano un “pericolo per la pace e la stabilità della regione e non solo”. Il regime di Pyongyang viene “sollecitato” a rispettare gli impegni internazionali contratti, ed a riprendere i colloqui con il Gruppo dei Sei (composto da Cina, Stati Uniti, Russia, Corea del Nord, Corea del Sud e Giappone) interrotti ad aprile. Ma anche in questo caso, nonostante la condanna sia più decisa e vengano ribadite le scelte fatte in sede ONU con l’adozione della risoluzione 1874/2009 , non si intravvede all’orizzonte la volontà di inasprire le sanzioni nei confronti del regime di Kim Jong Il.

Forte attenzione viene dedicata anche alla questione mediorientale, per la quale viene ribadito il “pieno supporto alla soluzione “due-popoli due-stati” ed il rispetto degli impegni della Roadmap, in particolare “il rifiuto inequivocabile della violenza e del terrorismo, ed il congelamento dell’espansione delle colonie compresa quella “naturale”, ed vengono invitati gli stati arabi a fare passi “significativi” verso una normalizzazione delle relazioni con Israele ed a fornire all’Autorità Palestinese supporto politico ed economico. Abu Mazen, dunque, continua ad essere visto come unico interlocutore credibile, tant’è che viene elogiata la politica della West Bank, considerata come un possibile esempio per il resto dei Territori, e viene enfatizzato il “pieno supporto” di cui gode l’ANP. Inoltre, con la classica formula “un colpo al cerchio ed uno botte” sempre presente quando si parla di israeliani e palestinesi, viene chiesto “l’immediato rilascio di Gilad Shalit” (il caporale dell’esercito israeliano nelle mani dei terroristi di Hamas dal 25 giugno 2006 ndr) ma anche “l’immediata apertura delle frontiere di Gaza per il passaggio degli aiuti umanitari, dei beni e delle persone nel rispetto della sicurezza di Israele”.

Infine, ampio spazio durante la cena di mercoledì è stato riservato al teatro AfPak (Afghanistan e Pakistan), che resta una delle priorità per i paesi del G8 e che si trova ad affrontare “gravi sfide” alla sua sicurezza e stabilità, sfide che possono essere vinte anche “rafforzando la capacità di contrasto al terrorismo, al crimine organizzato ed ai traffici illeciti”. Particolarmente importante è la scadenza elettorale afgana, dove il mese prossimo si vota per il rinnovo del governo centrale e delle province, perché è una tappa fondamentale nel processo di democratizzazione del paese. Per questo il governo di Kabul dovrà riuscire a garantire elezioni “credibili, partecipate e sicure” affinché ne escano rafforzate le stesse istituzioni democratiche.

Resta da definire il significato di questi incontri periodici. Se da un lato è sicuramente vero che il modello G8 risulta ormai superato perché esclude dai colloqui realtà ormai imprescindibili come Cina, Brasile ed India, dall’altro resta l’interrogativo sulla possibilità che tavoli così allargati consentano di trovare un’intesa concreta su questioni tanto controverse quanto urgenti, come per esempio il rispetto dei diritti umani (dovrebbe far riflettere il fatto che questo argomento non sia stato praticamente affrontato durante il G8, neppure di fronte a ciò che sta succedendo agli uighuri nella regione cinese dello Xingjiang). Il rischio insomma è che per mettere tutti d’accordo si debba ogni volta ricorrere a generiche, e per certi aspetti ipocrite, prese di posizione. Un po’ poco per chi dovrebbe rappresentare la guida della civiltà mondiale.