Il G8 è morto perché Europa e America hanno preso strade diverse
28 Giugno 2010
Si è consumato sabato il rito, ormai vuoto, della riunione degli otto paesi più industrializzati del mondo tra i laghi dell’Ontario in Canada senza risultati concreti: spento epilogo di una prassi che non ha più ragione di essere ma che stenta a morire nonostante i segnali precisi che anche l’ultima riunione, lo scorso anno all’Aquila, aveva chiaramente fornito. Il Club belle vecchie signore non riesce più ad arrivare a decidere nulla e nasconde la propria sconfitta in un rituale diplomatico tanto roboante nelle parole impiegate nei documenti quanto nullo nei contenuti.
Diciamolo con onestà e chiarezza: le motivazioni politiche che avevano originato questo gruppo, che è andato aumentando di numero nel tempo, sono oramai venute meno perché il mondo è cambiato, perché nuove realtà si sono affacciate con prepotenza alla ribalta internazionale. Nuovi paesi che continuiamo a chiamare “in via di sviluppo,” ma che rappresentano, pur tra mille problemi e contraddizioni, il futuro del mondo. E questo non soltanto per semplici ragioni economiche ma soprattutto per tasso di natalità, per voglia di fare e di arrivare che si confrontano con il mondo un po’ parruccone e per nulla elastico rappresentato dai vecchi padroni del vapore del G8.
Qui si continua a chiamare paese in via di sviluppo la Cina che è il maggiore creditore degli Stati Uniti e che potrebbe mettere questa nazione in ginocchio facilmente se solo decidesse un rientro pesante del proprio credito mentre continua ad avere tassi di sviluppo quasi intorno alle due cifre a fronte degli zero virgola o, al più, degli uno virgola dei paesi del G8. E che dire degli altri paesi del club del BRIC, Brasile, Russia ed India? Anch’essi certo affetti da non pochi problemi ma tutti con economie meno disastrate delle nostre e, soprattutto, con non poche risorse naturali delle quali soprattutto la vecchia Europa è decisamente deficitaria.
Uno e grave era il problema che i paesi del G8 dovevano affrontare: come mettere in atto una politica di sostegno all’economia e, di conseguenza, come evitare che potessero determinarsi nuove crisi finanziarie come quelle che le banche ci hanno regalato l’anno scorso. Il resto, nonostante i titoli altisonanti dalla pace alla sicurezza, erano temi di contorno ed in parte più facilmente risolvibili in un contesto economico mondiale risanato. Eppure, così non è stato: nessun accordo in tema economico è stato raggiunto. Anzi, sono emerse chiaramente due diverse visioni dei problemi: da una parte l’Europa, trainata dalla Germania, ha posto l’accento su una scelta preoccupata piuttosto a sanare i conti pubblici col rischio di ritardare il rilancio dei consumi, e quindi dello sviluppo, dall’altro gli USA piuttosto propensi a stimolare il mercato favorendo in primis il rilancio dei consumi. Risultato: zero a zero e nulla di fatto.
Sulla pace e la sicurezza, nel documento finale gli otto Grandi hanno mostrato ancora una volta una posizione imbelle “indicando forti timori” per lo sviluppo del nucleare iraniano e “deplorando” l’attacco della Corea del Nord alla nave di quella del Sud. Immagino facilmente, alla lettura del testo, i brividi di terrore che hanno percorso la schiena del Presidente iraniano e di sudori freddi di quello coreano di fronte a prese di posizione così forti e dure. Di che non dormire la notte per la paura.
Il successo strepitoso della riunione non è finito qui: di tutte le promesse e gli impegni importanti sugli aiuti allo sviluppo che il G8 aveva assunto cinque anni fa in Inghilterra, a Gleneagles, non c’è più traccia. Io, cinque anni fa lì c’ero, ero membro della Delegazione italiana, ed avevo vissuto con emozione l’impegno che avevamo tutti assunto, principalmente nei confronti dell’Africa ma non solo: aumentare entro il 2010 di 50 miliardi di dollari i fondi destinati ai paesi più poveri. Ne sono arrivati pochi: secondo l’OCSE addirittura mancherebbero all’appello 18 miliardi di dollari in totale e l’Africa ne riceverebbe non più di 11, meno della metà dei 25 promessi.
L’unico impegno nuovo, e chi sa se mai verrà onorato, è quello, proposto dal Canada, la Muskoka Initiative: cinque miliardi di dollari in cinque anni per l’assistenza alla maternità, ai neonati ed ai bambini dei paesi più poveri. L’assurdo nasce dal fatto che circa 2,3 miliardi di dollari sono già pronti ed andranno ad aggiungersi ai 5, sottoscritti dai paesi più piccoli e dalla Bill e Melinda Gates Foundation. Credo che il confronto delle cifre non necessiti alcun commento: lo squallore dei fatti e la pochezza degli attori si commenta da sé. La crisi economica generale ha reso tutti meno generosi ma si vede che è sempre possibile provare a fare qualcosa di concreto mentre i “Grandi” auspicano e deplorano producendo documenti vuoti e privi di qualunque soluzione seria ai problemi del mondo.
Il G20 avrà un successo dove il G8 ha fallito? È difficile fare delle previsioni. Di certo oggi altri attori calcano la scena e fanno sentire il loro peso; c’è solo da augurarsi che siano meno condizionati dalla forma e pù legati alla sostanza. Staremo a vedere sperando, ma il rischio esiste ed è concreto, di non diventare tra alcuni anni le loro colonie come loro furono le colonie europee secoli fa.