Il gettito è cresciuto, la confusione pure

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Il gettito è cresciuto, la confusione pure

Il gettito è cresciuto, la confusione pure

02 Aprile 2007

La settimana scorsa ci ha riservato almeno tre fatti di grande rilievo. L’ulteriore crescita del gettito tributario nei primi dati relativi al 2007. L’incagliarsi delle prime promesse di restituzione fiscale da parte del governo. E una sorprendente polemica, che spiega come vi sia confusione molto alta anche nel campo dei liberisti e liberalizzatori.

Partiamo dal primo punto. A gennaio, il gettito tributario è cresciuto dell’8,5% e ha superato i 30 miliardi di euro. Di qui, tre diverse conseguenze. La prima interessa gli studiosi, e ha a che vedere con l’interpretazione di tale crescita, dopo quella già sostenutissima registrata nel 2006. La seconda e la terza investono la politica: a che livello potrebbe assommare l’ulteriore aumento delle entrate, e quali effetti tale tendenza eserciterà sulla maggioranza e nel governo? L’incremento è a due cifre in gennaio (+13,7%) per le imposte indirette, e il correre dell’Iva attesta una buona crescita dell’economia. Ma anche le imposte dirette crescono di un 5,8%, ben superiore alla crescita dell’economia. Mentre il segnale più negativo – e che proseguirà in corso d’anno – è il più 9,2% delle imposte locali. Lo stesso Isae, nel suo rapporto di previsione sull’economia italiana rilasciato la settimana scorsa, ha rilevato come 10 miliardi di euro di entrate aggiuntive, considerate strutturali dal ministro dell’Economia, rappresentino una stima «abbastanza prudenziale». Poiché, di questi, 7,5 saranno utilizzati per onorare un impegno già assunto con la Ue, pari a una correzione del deficit di un altro mezzo punto di Pil, resterebbero solo poco più di 2 miliardi, da destinare alla tanto invocata restituzione dell’extragettito. A fronte di entrate 2008 in crescita – da questo primo dato relativo a gennaio – per una percentuale di diversi multipli superiore a quello 0,1% di Pil prudenzialmente stimato da Padoa-Schioppa per l’anno in corso nella recente trimestrale di cassa – che stima nel 2007 le entrate pubbliche complessive passare dal 46% del Pil del 2006 a un modestissimo 46,1% nel 2007, mostrando di sottostimar potentemente la batteria di sgravi fiscali ne contributivi, centrali e locali disposti con l’ultima finanziaria – è assai difficile immaginare che il ministro ne venga rafforzato, nel suo contenimento della richiesta di nuova spesa pubblica in cui si traduce il più delle richieste dei partiti della maggioranza, per tentare di risalire nei sondaggi ora che le amministrative si avvicinano, e i punti di distanza dal centrodestra non accennano a diminuire.

Vincenzo Visco è comunque sceso in campo a favore di Padoa-Schioppa, e di conseguenza dal disegno di legge sul riordino delle rendite finanziarie è nuovamente sparita la proposta di unificazione al 20% come aliquota unica di tutti i redditi provenienti da affitti. La cedolare secca comporta aggravi per l’erario da minor gettito nell’ordine dei 2 miliardi di euro, e Visco preferisce rinviare tutto alla riforma del catasto. I Comuni, da parte loro, hanno escluso che una diminuzione dell’Ici da prima casa – si è parlato di franchigia fino ai 100 metri quadrati, oppure di indici composti per numerosità e reddito del nucleo familiare proprietario – possa avvenire nell’anno in corso, per evitare problemi di cassa. L’Ici incassato nel 2006 pesa per circa 10 miliardi di euro, nelle tasche dei contribuenti.

Ma oltre che sulla casa, a sparire dall’orizzonte, almeno per il momento, è in senso inverso anche la proposta di innalzare al 20% come aliquota unica il prelievo su tutte le cosiddette “rendite finanziarie”. Ottima cosa, a giudizio di chi qui scrive, visto che a giudizio di chi qui scrive ogni armonizzazione di aliquote su cespiti diversi deve avvenire sulla soglia più bassa e non su quella più alta. Eppure, ecco che sul Corriere della sera sabato scorso proprio un liberista a tutta prova, il professor Francesco Gavazzi che è addirittura eponimo dell’ormai arcifamosa “agenda ideale” delle liberalizzazioni italiane, ha criticato tale decisione. Per ragioni di giustizia distributiva: continuando a gravare col 27% di prelievo sui correntisti bancari il fisco toglie alle famiglie italiane di reddito più basso, per ridistribuire a favore di quelle più abbienti, che detengono titoli finanziari gravati solo al 12,5%. Errore sesquipedale e stupefacente, per molti versi: visto che i Bot e gli altri titoli di Stato, per esempio, sono proprio in portafoglio ai risparmiatori retail di minor stock patrimoniale e che desiderano sfuggire da qualunque rischio di portafoglio. Quandoque dormitat Homerus: l’antistatalista che mira alla flat tax non deve ragionare “un colpo al cerchio e uno alla botte”, per apparire giusto in quanto imparziale tra le ragioni di due schieramenti politici, ma mirare sempre e solo a far scendere le aliquote. Massime in un Paese dove la spesa pubblica risulta finora incomprimibile, tanto alla destra che alla sinistra, occorre affamare la Bestia-Stato.