Il giallo della pistola. L’ombra lunga della Ndrangheta sulla sparatoria di Roma

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Il giallo della pistola. L’ombra lunga della Ndrangheta sulla sparatoria di Roma

29 Aprile 2013

Il Tg di La7 ha detto che la pista della ‘ndrangheta nel caso di Luigi Preiti, lo sparatore di Palazzo Chigi, è da escludersi, "nonostante" le origini calabresi dell’uomo. Reazione indignata del web, con Mentana che subito via Twitter chiede scusa ai telespettatori. Dici calabrese e scattano le idee recues sulla mafiosità meridionale, sui calabresi tutti a rischio affiliazione, lo spot sui terroni che non pagano le tasse, eccetera eccetera.

Eppure fa impressione come il procuratore capo di Roma, Giuseppe Pignatone, che ha ricoperto il medesimo incarico a Reggio Calabria,  abbia descritto Rosarno, la cittadina calabrese dove Preiti era tornato a vivere con i genitori dopo la separazione con la moglie: "In un paesino come Rosarno vanno a presentari gli affiliati per chiedere consigli e rispetto delle regole. Parlo di ndranghetisti che arrivano dal resto dell’Italia ma anche dalla Germania e dalla Svizzera".

La ndrangheta, spiega Pignatone, "controlla la vita dei cittadini di Rosarno con un ‘metodo quasi democratico’ ". Sembra che gli investigatori impegnati a ricostruire il passato di Preiti abbiano concentrato le loro attenzioni su persone vicine ai Preiti, "visti in compagnia" dei boss locali. Ma sono supposizioni, nessuna prova certa, ed è alto il rischio di fare di tutta l’erba un fascio.

Certo ci sono i debiti, che Preiti nega, e quella passionaccia per i videopoker che fruttano soldi a palate alle cosche. Le "macchinette" permettono ai criminali di esercitare un sottile controllo sul sottoproletariato urbano e di stordirlo con la promessa della vita facile. Infine c’è il giallo della pistola che Preiti dice comprata quattro anni fa nell’angiporto di Genova, ma qui la confessione si fa più confusa, lo "sparatore" non ricorda, glissa, soprattutto perché l’arma ha la matricola abrasa.

Il sospetto che si fa strada tra i Carabinieri è che la pistola sia arrivata dal supermaket delle armi ndranghetose, e Preiti dovrà spiegare come ha imparato a usarla in completa solitudine, visto che non aveva il porto d’armi, nel qual caso si sarebbe rivelato un autodidatta provetto visto che ha colpito i due Carabinieri in punti non protetti dal giubbino antiproiettile.

Le ombre della ndrangheta paiono vaghe e indeterminate, una delle piste da seguire visto che gli investigatori non si lasciano dietro nulla. Non ci piace il cospirazionismo che dopo l’agguato ha iniziato a circolare in Rete, con qualche nostalgico dei tempi bui pronto a scrivere che dietro l’agguato c’è la manina dei servizi deviati.

Eppure raccontando l’assassinio Kennedy, un grande autore americano, Don De Lillo, ci ha insegnato che a volte i destini degli attentatori e di chi arma loro la mano si uniscono in percorsi strani, concentrici, indiretti, un giro del fumo dove l’impulsività, i drammi esistenziali, la propaganda (anti)politica, rendono lo "sparatore" più influenzabile, "propenso a spiccare il salto pericoloso".

Così scrive in "Libra" De Lillo: "Pensa a due linee parallele – disse. – Una è la vita di Lee H. Oswald. L’altra è il complotto per assassinare il Presidente. Che cosa congiunge lo spazio fra le due linee? Che cosa rende inevitabile l’incontro? C’è una terza linea. Esce dai sogni, dalle visioni, dalle intuizioni, dalle preghiere, dagli strati profondi della personalità. Non è generata da causa ed effetto come le altre due".

"E’ una linea che interseca la casualità, attraversa il tempo. Non ha una storia che possiamo riconoscere o capire. Ma impone una congiunzione. Mette un uomo sulla strada del suo destino".