Il gioco pericoloso del Pakistan nello Xinjiang e in Afghanistan

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il gioco pericoloso del Pakistan nello Xinjiang e in Afghanistan

10 Marzo 2012

Geograficamente compreso tra India, Afghanistan, Iran e Cina, Il Pakistan di Asif Zardari si trova sempre più spesso ad essere una pedina centrale negli equilibri centro-asiatici. Nato nel 1947 dalla divisione dell’India britannica, il Pakistan ha sempre sostenuto una posizione filoccidentale, senza dimenticare la matrice di repubblica basata sull’Islam. Molto forti i legami con la Cina, scaturiti dall’esigenza per le due nazioni di fronteggiare e controllare la potenza dell’India. Ma quanto costruito finora è basato su fragili strutture di potere, come dimostrato dagli ultimi eventi.

La scoperta delle connessioni tra Pakistan, terroristi e attivisti dell’Est Turkestan ha portato ad un duro intervento contro la repubblica islamica da parte di Nur Bekri, governatore della regione cinese dello Xinjiang, nel corso di un incontro del Congresso Nazionale del Popolo avvenuto mercoledì scorso a Beijing. Nur Bekri ha poi abbassato i toni, ricordando che “i funzionari statali, specialmente in Pakistan, hanno sempre assicurato una dura opposizione verso ogni violento attacco diretto contro la Cina, al fine di mantenere intatti la sovranità e gli interessi cinesi nell’area”.

Non è il primo attacco del governatore di Xinjiang alla dirigenza pachistana: già nell’agosto 2011, a seguito di un attentato dell’ETIM (Movimento Islamico per la liberazione dell’est Turkestan), un terrorista aveva confessato di aver ricevuto addestramento militare e armi dal governo pachistano. Nur Bekri denunciò pubblicamente l’accaduto, mettendo a dura prova le relazioni sino-pachistane. Solo la visita lampo del presidente del Pakistan Asif Zardari a Beijing, accompagnato da buona parte del suo entourage, permise di distendere la situazione con il Parlamento di Pechino.

La regione cinese dello Xinjiang, strategicamente preziosa per i giacimenti di petrolio, carbone e gas naturale, è un’area ad alto rischio di conflitti interni, principalmente a causa della forte componente islamica all’interno della popolazione locale, gli Uiguri. I rapporti con la Cina sono determinanti per la politica estera pachistana, che già affronta la crescente diffidenza degli Stati Uniti dalla scoperta del nascondiglio di Osama Bin Laden. “Nessuno crede che bin Laden fosse nascosto in un complesso costruito all’interno di una città militare, senza che i pachistani lo sapessero”, le parole del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Newt Gingrich.

Il Pakistan rischia di trovarsi a giocare una doppia partita in ogni scenario in cui è coinvolto, che sia la Cina o l’Afghanistan, e sempre a causa dell’impossibilità di controllare le fazioni estremiste islamiche presenti all’interno delle forze  governative, dell’esercito, dei servizi segreti. Un sospetto di doppiogioco potrebbe minare irrimediabilmente i rapporti tra Pakistan e Cina. Gli interessi in ballo sono altissimi: dagli aiuti economici inviati da Pechino ad Islamabad, allo sfruttamento congiunto dello sbocco sul mare a Gwadar, fino ad arrivare all’espansione dell’autostrada del Karakoram che collega i due stati.

Il governo pachistano è stato più volte spronato ad agire con maggior decisione nella repressione anti-terrorismo, non solo dalla Cina ma anche dall’India e dagli Stati Uniti. La sfida di Islamabad è quella di riuscire a risolvere una volta per tutte il conflitto che agita la sua politica, che impedisce uno sviluppo economico e finanziario sostenuto, e rischia di fare del Pakistan un fattore d’instabilità intollerabile nella regione. Si tratta in fondo – si perdonerà l’eccesso semplificatorio di questa reductio – di scegliere tra la religione come motore d’azione politica e diplomatica e una pragmatica ragion di Stato, che faccia degli afghani e uiguri non già dei fratelli musulmani dei pachistani, schiacciati sotto il tacco dell’invasore occidentale (Afghanistan) o dal pugno di ferro Han (Xinjiang), bensì dei cittadini o sudditi di altri Stati. Una scelta difficile dalla quale dipenderà il futuro del Pakistan e della regione.