Il giorno contro la violenza sulle donne. Un giorno contro Ahmadinejad
25 Novembre 2010
Oggi è la Giornata contro la violenza sulle donne, si ricorda quel 25 novembre del 1961 in cui furono torturate e strangolate le sorelle Mirabal nella Repubblica Dominicana del generale Trujillo. In Italia i dati sono gravi. Nel 2010 il "femminicidio" ha fatto 115 vittime, tolte di mezzo dai loro mariti, ex consorti fidanzati conviventi. Queste morti sono avvenute nel silenzio ostile ed invisibile delle mura domestiche. Anche da noi ci sono dei Talebani e abbiamo raccontato storie violente senza tirarci indietro quando si trattava di denunciarle.
Il fatto è che il nostro Paese non è contro le donne, almeno non costituzionalmente. La recente legge sullo stalking, per esempio, è servita a punire comportamenti individuali aggressivi, per lo più maschili. Ma se ci guardiamo attorno è facile accorgersi che in altri Paesi le cose stanno diversamente. Ci sono luoghi del mondo dove lo Stato non solo è dichiaratamente nemico delle donne ma le perseguita, le incarcera, le mortifica in nome della legge religiosa. Come l’Iran.
Negli ultimi giorni ha destato grande attenzione la notizia che ambienti dell’establishment conservatore iraniano hanno chiesto al parlamento di aprire una procedura di impeachment nei confronti di Ahmadinejad, accusandolo di malversazione, di aver sottratto soldi dalla banca centrale per pompare il deficit interno, di import-export illegale di greggio e benzina. Un altro mattone del muro di consenso che sostiene il Presidente si è incrinato. Ma la Guida Suprema della Rivoluzione, Khamenei, non concederà mai che si proceda contro il suo uomo, è ovvio. Se cadesse uno, trascinerebbe con sé l’altro.
Ieri Ahmadinejad faceva il gradasso sul Teheran Times dicendo che le sanzioni non riusciranno a piegare il suo popolo, ma ben presto non avrà più mezzi e trucchi per sostenere l’economia e fronteggiare l’ostilità della comunità internazionale. La mullocrazia, in ogni caso, non cadrà per mancanza di trasparenza interna. In un regime totalitario la paura impedisce perfino di pensare alle primarie necessità della vita economica.
La Rivoluzione Iraniana figlia del revival religioso sciita è stato un evento di così grande portata che non sarà una delle scosse sismiche della globalizzazione a decretarne la fine. Come accadde in Unione Sovietica a vincere dovranno essere le idee di libertà e i diritti del mondo civile. E il primo diritto in assoluto è il rispetto della persona. Lo Stato iraniano non rispetta le donne. Neda è stata ammazzata come un cane per strada dai picchiatori in motocicletta del regime, tanto brutalmente che i boss di Google si sono chiesti se fosse opportuno mandare in onda quelle immagini scellerate su You Tube.
Sakineh doveva essere lapidata per adulterio. Ieri un portavoce della Guida Suprema Khamenei ha fatto sapere che ci sono "buone probabilità" che la donna venga graziata, neanche fosse un favore fatto alle associazioni umanitarie (che ci cascano, legittimando come interlocutore l’Iran). Teheran usa il caso come una forma di baratto: noi salviamo Sakineh, voi ci fate andare avanti un altro po’ con il nucleare. (Secondo i mullah, le iniziezioni letali, come quella avvenuta in un carcere della Virginia, sono una prova del fatto che gli Stati Uniti non possono impartire a nessuno lezioni di civiltà, parliamo dell’esecuzione di Teresa Lewis.)
Le notizie che arrivano dalle galere iraniane fanno paura. Le donne "peccatrici" o che fanno uso di droga e vengono imprigionate se ne escono intere è già un successo. Chi è attivo politicamente, giornaliste, militanti dell’Onda, donne che lavorano nell’associazionismo e nella cooperazione, studentesse, cadono facilmente nella rete poliziesca. Per il reato di propaganda contro il regime prendi da 5 a 10 anni di carcere. (Questo in Virginia non succede, per non dire che la Lewis è stata la prima donna condannata a morte nello stato americano negli ultimi cento anni. Questo non per difendere la pena di morte negli Usa, ma per non relativizzare.)
Ahmadinejad ha una soluzione complessiva per il "sesso debole" in Iran. Nei giorni scorsi ha annuciato di voler innalzare l’età matrimoniale per le donne a 16 anni (in passato andava bene anche a nove). Le ragazzine vanno moralizzate subito perché la "occintossicazione", l’influenza malevola dell’Occidente, sta corrodendo i valori islamici, diffondendo la peste del divorzio e del tradimento coniugale. Secondo i consiglieri di Ahmadinejad la nuova legge è un atto di progresso, utile a recuperare consenso nel mondo giovanile. Dietro la maschera, il presidente iraniano sogna di rilanciare il boom demografico che ha fatto dell’Iran uno dei Paesi più giovani al mondo.
Ad Ahmadinejad servono donne per avere nuovi figli della Rivoluzione, donne al guinzaglio del patriarcato. Chi si ribella muore o finisce ai ceppi. La nostra giornata contro la violenza sulle donne è un giorno contro Ahmadinejad.