Il giorno dopo lo show di Di Pietro restano solo molti punti interrogativi
08 Febbraio 2010
Dipietrismo o realismo? Giustizialismo o ragion di stato? Democrazia interna o plebiscitarismo? Protesta o responsabilità? Governo o “resistenza”? Navigazione solitaria o unità dell’opposizione? Movimento o partito? Le domande sono molte ma il giorno dopo la conclusione delle assise dell’Italia dei Valori le incognite restano quasi tutte irrisolte, come fossero interrogativi a risposta aperta a cui ciascuno può applicare un’opinione.
L’unica certezza è che quello a cui si è dato vita all’Hotel Marriot è stato il congresso di Antonio Di Pietro, una sorta di grande show in cui tutto era tarato sulla figura e l’immagine del capo che ora – questa sì è la novità – appare proteso verso una missione più alta: concorrere alla guida dell’opposizione e creare le condizioni per presentarsi alle prossime elezioni come candidato premier, magari contando sul ricorso alle primarie e su una investitura popolare.
“La nostra è una nave che dovrà andare in porto nel 2013, magari fosse prima ma non dipende da me e quindi mi devo attrezzare per mettere nella stiva risorse a sufficienza fino ad allora, devo tenere conto che devo remare fino al 2013”.
Naturalmente non cambia la ragione sociale del partito: combattere Silvio Berlusconi e “il regime piduista e fascista” resta l’imperativo, la parola d’ordine inderogabile. Ma l’ex pm promette di spingersi in territori più politici: “Abbiamo fatto resistenza, resistenza, resistenza ma visto che da soli non bastiamo dobbiamo assumerci la responsabilità di non creare steccati” dice Di Pietro che arriva fino a prefigurare il sogno della “fusione” con il Partito Democratico. I concetti chiave sono molto chiari. “Da soli non bastiamo”, “da soli non possiamo farcela”, “non dobbiamo creare steccati”, “l’opposizione basata solo sulla piazza è come una fisarmonica, si gonfia quando si avvicina la manifestazione e si sgonfia quando si torna tutti alle proprie occupazioni”, martella Tonino dal palco.
Una ricetta pragmatica per una rinnovata alleanza con Pierluigi Bersani che incassa felice la promessa, dimenticando in fretta la parabola politica di Walter Veltroni, attirato nella stessa rete e poi caduto sotto i colpi del suo “alleato”, come nell’apologo della rana e dello scorpione.
Il gioco del leader Idv, però, è tracciato con chiarezza sulla lavagna delle strategie politiche: 1) acquisire centralità e uscire dal velleitarismo del partito di piazza, 2) allontanare l’alternativa moderata Pd-Udc costringendo Pier Ferdinando Casini a rigettare l’inclusione in una coalizione rosso-viola, 3) attirare i voti della galassia comunista, ormai orfana di una casa parlamentare.
Il calcolo strategico, insomma, è limpido e ragionato. Certo bisognerà capire davvero se il Pd accetterà di mettere da parte i propositi di modernizzazione e deciderà di stipulare una nuova, vera alleanza, sapendo bene che il rischio di venire fagocitato è dietro l’angolo. Sarebbe la fine del progetto politico nato con Veltroni e la definitiva interruzione di un cammino di evoluzione verso una sinistra moderna. Ma i segnali arrivati finora lasciano intuire e prefigurare esattamente questo scenario con l’abbraccio congressuale Bersani-Di Pietro che appare come il sigillo apposto su una decisione già presa.
Sullo sfondo restano le istantanee di questo congresso che descrivono le contraddizioni in cui l’Italia dei Valori dimora. C’è la conclusione per acclamazione, una pratica che più plebiscitaria non potrebbe essere, alla faccia delle tante critiche fatte ricadere da sinistra su Forza Italia come partito monarchico, costruito a immagine e somiglianza del leader. Alla fine Di Pietro resta il “candidato unico” visto che Francesco Barbato, il deputato campano candidatosi per rappresentare chi contestava l’ “attuale gestione dittatoriale del partito”, con un autentico colpo di teatro interviene annunciando a sorpresa il ritiro della candidatura per appoggiare quella del leader.
C’è la mozione anti-familismo di Pancho Pardi che viene approvata in versione ridotta, lasciando mogli, fratelli e figli tranquillamente candidabili. C’è l’integralismo giustizialista che viene messo da parte in maniera pilatesca, con Di Pietro che sul nome di Vincenzo De Luca candidato per la Regione Campania (e indagato da alcuni pm) affida alla platea la scelta, sancendone così l’incoronazione attraverso una “collettiva assunzione di responsabilità”. E poco importa che così facendo si crei un precedente pesante e il partito della “resistenza e della diversità” si dimostri tutt’altro che asimmetrico rispetto agli altri.