Il giorno più brutto del Cav. coincide con quello più bello per Fini

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Il giorno più brutto del Cav. coincide con quello più bello per Fini

12 Ottobre 2011

Il premier coi suoi a studiare come uscire dal pasticcio senza precedenti, sia nella storia repubblicana, sia per il livello di cialtroneria parlamentare col quale è stato commesso. Il presidente della Camera fa il portavoce delle opposizioni, sale al Colle nella speranza di trovare una sponda alla spallata, ‘vieta’ al Cav. di parlare all’Aula di Montecitorio spostando il tutto di un giorno. Accadrà oggi e domani si voterà la fiducia.

I dilemmi di giornata sono due: la maggioranza regge o non regge? E ancora: il rendiconto generale dello Stato si può ripresentare dopo il no della Camera? Nel primo caso l’interrogativo è salito fino al Colle da dove Giorgio Napolitano scrive e parla. Al premier e al Parlamento. Vuole garanzie, vuole sapere se la maggioranza “sia in grado di operare con la costante coesione necessaria per garantire adempimenti imprescindibili come l’insieme delle decisioni di bilancio e soluzioni adeguate per i problemi più urgenti del paese, anche in rapporto agli impegni e obblighi europei”. La “risposta credibile” spetta al premier e al parlamento, “soggetti costituzionalmente responsabili”. E’ una sollecitazione a Berlusconi a trovare la via d’uscita e al tempo stesso uno stop a Fini che si aspettava la spinta definitiva per la spallata al Cav.

Non è però facile sciogliere una matassa così intricata perché non essendoci un precedente al quale riferirsi, la dottrina giurisprudenziale offre varie letture che oscillano dal Berlusconi sfiduciato si deve dimettere, al nessun nesso tra la bocciatura del provvedimento e le dimissioni del premier. Esattamente come avviene sul piano politico. C’è chi ritiene che la bocciatura del primo articolo del Rendiconto equivalga a una bocciatura netta dell’intero testo che secondo quanto stabilisce la Costituzione non è emendabile e dunque a questo punto deve considerarsi decaduto. Ne deriva l’impossibilità di ripresentarlo a meno di errori numerici o tecnici rilevati nelle tabelle riprodotte negli articoli seguenti. Così rivendica l’opposizione.

C’è chi, invece, sostiene che quell’articolo respinto non inficia il voto sui successivi dal momento che contiene solo linee generali e nessun saldo. Quindi può essere ripresentato in Aula e rivotato. Così la maggioranza. Ma non c’è nulla di scontato, nessun automatismo dal momento che quel testo rientra nella tipologia delle cosiddette norme atipiche che come tali non hanno e non seguono alcun percorso predefinito.

Maggioranza e opposizione vanno allo scontro frontale. Al Senato si vota il Def e le opposizioni guidate dalla Pd Finocchiaro escono dall’Aula e ripetono ciò che Bersani, Di Pietro, Casini e Rutelli dicono nello stesso momento alla Camera: la bocciatura del provvedimento comporta obbligatoriamente le dimissioni del premier. Una “forzatura evidente” la definisce il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello per il quale “si è cercato di confondere un problema di carattere politico con uno di tipo istituzionale”. In altri termini, dire che “quanto accaduto alla Camera apre un problema politico anche grave è legittimo, anche se opinabile, e infatti il presidente del Consiglio vuole confermare la permanenza del vincolo di fiducia. Ma sostenere che c’è un obbligo di dimissioni dell’esecutivo a seguito del voto a Montecitorio è una forzatura che sottopone la Costituzione a una evidente strumentalizzazione”.

In tutto ciò, un ruolo centrale lo gioca il presidente della Camera che in conferenza dei capigruppo certifica la decadenza del Rendiconto, esercita la sua moral suasion per decidere che Berlusconi non poteva parlare ieri ma solo oggi, poi fa il punto con Bersani, Casini e Rutelli che prima si vedono tra loro poi vanno nel suo studio per sollecitarlo a salire al Quirinale. Anche se il portavoce di Fini smentisce l’incontro a quattro. Ma al Colle Fini sale e lo fa per rappresentare le difficoltà della situazione e la posizione delle opposizioni che hanno già traslocato dal parlamento all’Aventino. Oggi non saranno in Aula quando parlerà il premier, né parteciperanno al dibattito che seguirà. Stessa linea nelle commissioni.

Il centrodestra insorge e punta l’indice contro la terza carica dello Stato che fa il capo di Fli. Per due motivi sostanziali. Il primo: il rinvio del discorso di Berlusconi a Montecitorio che il centrodestra chiedeva già per ieri. In quel no viene letta l’intenzione di un disegno, cioè quello di organizzare la strategia delle opposizioni: prendere tempo, insomma, provare a tirare la giacchetta di Napolitano perché sia lui a staccare la spina (sic!) e magari contare anche sul fatto mediatico e visivo di un’Aula semideserta nel momento in cui Berlusconi prenderà la parola e non avrà su di sé solo occhi italiani, ma pure europei.

Il secondo: prendere per definitiva la decisione della Giunta per il regolamento dove la maggioranza è minoranza per l’uscita dal Pdl dei finiani. Peppino Calderisi ne rileva altre due e non esita a dire che l’atteggiamento del presidente della Camera “si colloca oltre i limiti della legalità e della correttezza istituzionale”. Intanto perché ha convocato subito la Giunta per il regolamento nella consapevolezza che la bocciatura dell’articolo 1 del Rendiconto “potesse precludere il seguito dell’esame dei restanti 17 articoli, in cui è contenuta la vera sostanza”. Un assunto per il quale Fini ha scartato a priori la via del rinvio in Commissione per studiare eventuali soluzioni, prassi “normalmente seguita a seguito di bocciature di singoli articoli, anche fondamentali, di provvedimenti legislativi. In questo senso, ci sono infiniti precedenti”.

L’altra forzatura, per il parlamentare Pdl, sta nello squilibrio della Giunta per il regolamento mai sanato e per chi come Fini si è sempre dichiarato garante delle istituzioni e della centralità del parlamento, non è un fatto di poco conto.

In particolare, Calderisi critica “l’aver rimesso la questione a un organo in cui la maggioranza è divenuta da tempo minoranza, proprio per l’acrobatico passaggio del presidente Fini e del deputato Bocchino all’opposizione. Anomalia cui lo stesso presidente avrebbe potuto e dovuto porre rimedio come prevede l’articolo 16, comma I, del regolamento della Camera, accogliendo una specifica richiesta degli esponenti della maggioranza”. Non lo ha fatto “smentendo se stesso” perché “il 21 maggio 2008, quando ancora sosteneva il governo, aveva integrato la composizione della Giunta con un rappresentante del gruppo misto appartenente alla stessa maggioranza per garantire, sono parole sue, ‘un equilibrato rapporto numerico tra maggioranza e opposizioni’ (sette a cinque, allora, a favore della maggioranza, oggi sette a cinque a favore dell’opposizione)”. Di qui l’accusa: “Come può considerarsi imparziale un presidente che assume due decisioni di segno diametralmente opposto a seconda delle sue personali convenienze politiche?  

Il pallino adesso sta nelle mani del Cav. E che la maggioranza non sottovaluti affatto la portata dello scivolone parlamentare, lo si comprende dalle parole di Fabrizio Cicchitto che dispensa consigli utili al premier: presenti rapidamente un “forte” decreto Sviluppo”, faccia prevalere le sue prerogative sul successore di Draghi a Bankitalia, tutti i parlamentari facciano il loro mestiere con senso di responsabilità e quando c’è da votare stiano in Aula. Molto dipenderà da ciò che il Cav. dirà oggi; se, cioè, andrà in Aula deciso a riprendersi fino in fondo il suo ruolo di presidente del Consiglio liberandosi da veti, condizionamenti, personalismi che in buona parte lo hanno portato fino a questo punto, intestandosi l’unica cosa che ora serve al Paese: tornare a crescere e non a costo zero. Il dl Sviluppo è la chiave per riprendere in mano il timone della politica economica.

Oppure, se anziché andare in attacco, giocherà in difesa optando per un discorso programmatico per lo più finalizzato a dimostrare che i numeri la maggioranza li ha ancora. Opzione, quest’ultima, che sarebbe il miglior regalo che nel giorno più brutto della legislatura, Berlusconi potrebbe fare a Fini. E segnerebbe la fine ingloriosa della sua storia politica (copyright Giuliano Ferrara).