Il giuoco del Gundor
30 Novembre 2008
All’imbrunire, nei vicoli della nostra cittadina vengono accesi radi lampioni e dalle finestre terrene giungono quieti rumori di cene frugali. Lunghi richiami vuotano le strade dei bimbi, e agli angoli compaiono tavolini malfermi su cui, al chiarore pallido delle lucerne, vengono disposte le tavolette del Gundor, il giuoco nazionale. Intorno ai due avversari si addensano piccole folle di appassionati curiosi; ad ogni mossa si levano commenti e brusii. In alto le vecchie case spariscono in un’incerta oscurità.
Gli abitanti della nostra cittadina sono giocatori assidui, quasi rabbiosi, e passano al tavolo del Gundor tutto il tempo libero. Il Gundor è un giuoco avvincente e malioso, le partite possono durare ore e anche settimane intere, i giocatori vi si smemorano e ne sono assorbiti al punto da dimenticare ogni altro pensiero. Poiché quasi mai si gioca senza puntare e poiché anche gli spettatori puntano sulle partite giocate, nel corso degli anni si è venuta sviluppando intorno a questo giuoco una fitta rete d’interessi e di corruzione. Alcuni hanno fatto del Gundor la loro professione esclusiva e si sono costituiti in una potente corporazione che ha per regola l’assoluto riserbo su certe tecniche raffinate e vincenti cui i dilettanti possono accedere solo per caso e con enorme difficoltà. Questi professionisti sfidano i passanti allettandoli con la grandissima disparità delle poste in giuoco e, vincendo regolarmente, accumulano in breve grandi fortune. Moltissimi altri campano su questo giro di denaro: avidi usurai, bande di astuti ricattatori e semplici borsaioli. Anche il Governo imperiale, attraverso un complicato sistema tributario – basato sulle denuncie obbligatorie anche se saltuarie dei giocatori, sulle delazioni di vecchi appositamente istruiti e stipendiati e su improvvise incursioni effettuate da una squadra di odiati poliziotti in borghese – riesce a incamerare nell’erario somme cospicue. Perciò, si dice, l’Impero ha interesse a fomentare nei cittadini la passione per il Gundor, anche se ciò ha conseguenze negative su alcuni aspetti della vita pubblica.
Ma si dice che vi sia anche un’altra ragione, più sottile e fondamentale, per cui lo Stato favorisce la diffusione del giuoco. In passato questa provincia ha procurato gravi fastidi al Governo centrale: la nostra città è molto più vicina alla frontiera col fervido e popoloso Occidente che alla semibarbara e orientaleggiante Capitale del nostro immenso Impero, nella quale non riusciremmo a riconoscerci. Era naturale quindi che da sempre noi guardassimo l’Occidente con ammirata curiosità, che ne importassimo le idee e ne imitassimo nel bene e nel male i costumi, le mode e persino le fogge del vestire. Il fascino di quella civiltà smagliante e dorata trovava riscontro anche nel carattere della nostra gente, che era gaio e spensierato, specie in confronto con l’arcigna mutria degli altri sudditi dell’Impero. Gli abitanti della Capitale, quando giungevano da noi per qualche motivo, si aggiravano per le strade scontrosi e diffidenti nei loro pesanti costumi di pelliccia, e intorno a loro si creava un’atmosfera di compatimento e derisione.
Negli ultimi trent’anni tuttavia le cose sono cambiate: dopo la guerra vittoriosa che l’Impero ha condotto contro i Paesi del Sud, una nuova generazione di burocrati tetri e meticolosi è assurta alle cariche più alte dell’Amministrazione centrale e, attraverso sottili manovre, è riuscita a far emanare pesanti regolamenti e norme minuziose, imponendo via via un soffocante controllo su tutte le provincie periferiche dell’Impero, compresa la nostra. Tra i provvedimenti elaborati dai burocrati per contrastare le tendenze centrifughe di queste terre, la diffusione del Gundor è forse il più appariscente e certo il più efficace.
Il Gundor è stato inventato più di un secolo fa da un filosofo ed erudito della vecchia Capitale, Peter Komlos, simbolo intellettuale e culturale dell’Impero, il quale ha trasfuso in questo giuoco una sintesi della propria filosofia e delle sue implicazioni. Secondo Komlos è l’uomo, attraverso la sua attività razionale e scientifica, che crea la realtà, mettendo ordine e ritmo nel caos primitivo delle cose. Ogni passo che ci allontani dalla realtà sensibile e immediata per portarci verso la sua trasfigurazione e sistemazione razionale ci avvicina al compimento del nostro ineluttabile destino di esseri raziocinanti, tanto superiori al mondo, brutto e disordinato, dei realisti e degli esseri inferiori. Una partita a Gundor è, nello sviluppo armonioso e coerente delle varie sue fasi, una ripetizione allusiva e metaforica di questo progressivo raffinamento dalla materia allo spirito, dal senso alla ragione, di questa lenta ma inesorabile conquista da parte del vincitore (l’uomo) di una posizione dominante nei confronti del perdente (il mondo). Non tutti ovviamente sono consci di questo significato profondo del Gundor, o per lo meno non tutti lo sono nella stessa misura. Tutti ne avvertono, però, il fascino potente e arcano. Gli stessi burocrati statali, che ne hanno fatto uno strumento di sordida oppressione, ne subiscono l’ascendente e si dice che nelle cancellerie del Palazzo imperiale spesso gl’impiegati lascino le loro pratiche per dedicarsi al giuoco.
Il Gundor si può interpretare a diversi livelli. Al livello più basso è solo una serie di mosse che hanno un obbiettivo chiaro e definito, come nella dama o negli scacchi. Ai livelli superiori, tuttavia, le partite possono essere interpretate, possono cioè essere associate, tramite certe regole, precise ma soggettive, alla realtà esterna. Tale realtà può essere (e qui si spiegano e si differenziano i vari livelli superiori) quella circostante, cioè il vicolo in cui si svolge la partita; ma può comprendere anche i giocatori e talvolta gli stessi spettatori (alcuni dei quali, a questo livello d’interpretazione, possono essere coinvolti nel giuoco, che non è più tale, e ricevere premi o castighi significati dalle mosse compiute dai contendenti). Al livello supremo il Gundor simboleggia la vita stessa, nel suo svolgimento storico e nei suoi possibili sviluppi futuri. Da questa interpretazione al massimo livello delle partite alcuni usano trarre auspici e indicazioni per la loro vita privata, ma le difficoltà ermeneutiche sono spesso formidabili e il ricorso all’Accademia, obbligatorio per legge in caso di ambiguità, non è in generale gradito.
Quasi mai, tuttavia, si sale a livelli interpretativi così alti, e giocatori e osservatori si contentano di scambiarsi, mediante il modo in cui si muovono le tavolette, informazioni su fatti che li riguardano, o di esprimersi a vicenda sentimenti ostili o amichevoli e così via. Insomma il Gundor è anche un possente veicolo di comunicazione fra la gente.
La complessità intrinseca e la rilevanza sociale e politica del giuoco fecero sì che, dopo la guerra contro il Sud, sorgesse per volontà del Governo l’Accademia del Gundor, con il compito specifico di promuovere e incrementare l’interesse per la teoria e la pratica del giuoco attraverso conferenze, dibattiti e pubblicazioni specializzate. L’approfondimento teorico del Gundor compiuto dall’Accademia mostrò ben presto l’esistenza di una gamma pressoché infinita di possibili svolgimenti e interpretazioni delle partite, pur nel rispetto delle regole fondamentali. Paradossalmente, alcuni di questi sviluppi e significati contraddicevano in modo spesso perentorio quelli esplicitamente previsti da Komlos, facendo intravvedere, contro le sue teorie, un progressivo ottundimento della ragione, assalita da ogni parte dalle flaccide ondate del caos e soccombente infine di fronte allo strapotere della materia disordinata. Queste soluzioni, così contrarie all’ideologia ufficiale, non riuscirono gradite al Governo imperiale, che ne volle evitare la diffusione e ordinò che i lavori dell’Accademia si svolgessero sotto il sigillo di un segreto totale e che al di fuori dell’Accademia nessuno per nessun motivo fosse autorizzato a speculare sul Gundor, affinché non se ne risapessero le varie contraddittorie ramificazioni. Da allora, dopo un accurato esame della Censura imperiale, solo le varianti innocue del giuoco scoperte dall’Accademia vengono rese pubbliche tramite un apposito bollettino.
La costrizione derivante dal non poter apertamente discutere di un giuoco così appassionante e vitale e dal non poterlo liberamente eseguire nelle sue imprevedibili e fantastiche evoluzioni ci ha creato con gli anni un senso di amara frustrazione, che è tanto più sentita da coloro che meglio sanno giocare e che più spesso interpretano le partite ai livelli superiori. Il peso della censura è sofferto in misura proporzionale alle doti di cultura e d’intelligenza del giocatore, ma proprio perché le persone grossolane quasi non avvertono questa restrizione è stato facile al Governo assoldarne parecchie che vigilassero sull’ordinato rispetto delle norme imperiali. Si è così creato nella popolazione un clima di reciproca diffidenza e in particolare la nostra gente ha perso a poco a poco quella vena spensierata e vivace che ne distingueva il fare. In luogo dell’interesse che un tempo si manifestava da noi per ogni aspetto della vita è subentrata una plumbea apatia e un’indifferenza che coinvolge perfino le cose dell’Occidente. Gli stranieri, un tempo benvenuti, sono tollerati a fatica e nessuno si preoccupa di aiutarli in caso di necessità.
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Tuttavia, a ben guardare, si notano piccoli segni di cambiamento. I giovani dell’ultima generazione non sono in generale appassionati del Gundor come i più anziani, e vi si dedicano con uno spirito di animosità critica che per noi vecchi è inaudito. Si dice che alcuni, raccolti in conventicole segrete, si siano dati contro le leggi all’analisi del giuoco e abbiano scoperto ciò che l’Accademia non ha mai rivelato, cioè la contraddizione ultima, l’insostenibilità intrinseca del Gundor, la sua incapacità di dare un senso felice e luminoso alla vita, come invece pretendono le teorie di Komlos. Si dice – e queste idee circolano scritte a mano su foglietti spiegazzati che in qualche modo misterioso giungono sotto gli occhi di tutti – si dice che il Gundor sia in realtà un giuoco arido e ripetitivo, confuso e beffardo, che manchi di tensione e di suggestione vitale, che rispecchi più la mente acuta ma ristretta di Komlos che la variegata e calda luminosità della nostra vita di speranza e della nostra aspirazione all’amore. In uno di questi foglietti si legge: «Il Gundor predica con la sua povera metafora una triste utopia, è il greve mito creato dalla fantasia esausta di un visionario. Con esso si vuole ottundere la nostra mente in un grigiore uniforme, affogare il nostro cuore in una dolce ebetudine senza slanci, assuefarci alla stanca ripetizione di araldici simbolismi. Il Gundor ci fissa con gli occhi verdi e acquosi della demenza.»
Anche gli aspetti nuovi del giuoco scoperti dalle conventicole segrete vengono diffusi su questi foglietti, e così molti li apprendono. Parlarne è pericoloso, per via delle delazioni, ma circolano voci che in certi luoghi le varianti proibite del Gundor vengano addirittura giocate. Alcuni dei teorici eterodossi, argomentando dall’impossibilità che il Gundor rispecchi la complessa e differenziata personalità umana, con le sue tensioni e le sue spinte aggregative ed esplosive, hanno ipotizzato la futura invenzione, necessaria e immancabile, anche se probabilmente lontanissima, di un nuovo giuoco che riprodurrà, in una metafora infinitamente più ricca e flessibile, la vita, con tutto il suo strutturarsi in infiniti piani di gerarchiche complessità. Tuttavia, si mormora anche, sembra che nel nuovo giuoco – in questa vita futura – la presenza dell’uomo non sarà più un elemento indispensabile, non solo a livello esterno (non sarà infatti necessario giocare il nuovo giuoco), ma neppure a livello interno: nessuna parte o pezzo o fase del giuoco corrisponderà all’uomo in nessuna delle possibili interpretazioni.
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Intanto, mentre in cortili lontani e in stanze segrete si pongono le fondamenta del venturo giuoco disumano che sorgerà dalle ceneri di quello presente, in attesa di quel tempo forse lontanissimo, nei nostri oscuri vicoli i giocatori si estenuano all’imbrunire intorno ai malfermi tavolini del Gundor.
Poco lontano, oltre la frontiera, nell’Occidente popoloso, la vita fiorisce, tumultua e s’esalta, inebriante e leggiadra.