Il Governo dice basta alla discriminazione della lingua italiana

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Il Governo dice basta alla discriminazione della lingua italiana

30 Dicembre 2008

 

Il governo affila le armi e si prepara a una grande battaglia diplomatico-culturale in difesa della lingua italiana. L’obiettivo è mobilitare tutti i ministri a vario titolo impegnati nei consessi europei contro la discriminazione che il nostro idioma subisce nelle istituzioni comunitarie e alzare costantemente il livello della protesta.

Un’ azione di contrasto che nasce da una lettera firmata da Silvio Berlusconi e inviata a tutti i membri dell’esecutivo nello scorso luglio. In quell’occasione il premier lanciò una vera e propria offensiva chiedendo ai suoi ministri di attuare la linea della tolleranza zero davanti al mancato rispetto del principio europeista della pari dignità di tutte le lingue ufficiali nell’Unione Europea. Servono, scrisse Berlusconi, «comportamenti omogenei e rigorosi da parte di tutti» per contrastare principalmente la tendenza della Commissione a privilegiare il trilinguismo (inglese, francese e tedesco) e pretendere «pari dignità» anche per le lingue meno parlate. In particolare nel mirino del premier c’era la prassi avviata dalla Commissione europea di introdurre l’ ambigua nozione di "lingue di lavoro" o "di procedura" con l’ effetto di creare una gerarchia tra lingue a vantaggio di inglese, francese e tedesco.

Il premier chiedeva di opporsi all’ azione della Commissione a favore del trilinguismo con «il costante monitoraggio del regime applicato agli incontri in ambito Ue» e con «l’ impugnazione davanti alla Corte di Giustizia di specifici atti della Commissione». Esortava i suoi ministri a controllare che «i comportamenti delle rispettive amministrazioni fossero pienamente coerenti con tale strategia e li invitava a non trascurare le riunioni informali dei ministri dei 27 Stati membri, che si tengono nel Paese della presidenza di turno dell’ Ue, «per le quali si dovrà vigilare affinché venga garantito l’ interpretariato attivo e passivo per l’ italiano, fino a contemplare la concreta possibilità di non partecipare alla riunione nel caso che tale soluzione non venga garantita o qualora vengano utilizzati regimi linguistici ristretti discriminatori per l’ italiano». Ai ministri e ai dirigenti dei dicasteri chiedeva anche di «evitare di partecipare a discussioni o votazioni ogni volta non si disponesse dei documenti di lavoro nella nostra lingua».

La missione lanciata da Berlusconi è stata presa molto sul serio da parte dei ministri italiani e non solo da loro. Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea e responsabile Ue per i Trasporti, ad esempio ha imposto l’ italiano come lingua di lavoro del suo gabinetto di Bruxelles. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, si è detto pronto a usare il veto per difendere l’uso dell’italiano nelle istituzioni comunitarie. E il ministro delle Politiche Europee, Andrea Ronchi, si è speso ripetutamente su questa materia, sollevando la questione in ogni incontro bilaterale e in ogni riunione a 27. L’ultimo caso è stato quello del 5 dicembre scorso quando, nel corso della riunione parigina dei coordinatori nazionali della strategia di Lisbona in cui non era previsto l’interpretariato passivo, Ronchi si è alzato, ha preso la parola e ha espresso “formale protesta” al presidente della Commissione, Josè Manuel Barroso, seduto a pochi metri da lui. ”E’ una discriminazione intollerabile” ha commentato il ministro. “Una battaglia culturale su cui il governo italiano si batterà con sempre maggiore forza. Nel mio Dipartimento, ad esempio, ho costituito una task force che vigila sui siti comunitari. Non chiediamo che tutti i siti dell’Unione Europea debbano presentare una versione italiana, ma invitiamo le istituzioni comunitarie ad

assicurare questo servizio almeno su quei siti ove l’eventuale assenza penalizzerebbe eccessivamente il cittadino italiano, come i bandi o le normative”.

L’azione di contrato, insomma, è stata avviata con forza nell’anno appena trascorso ma nel 2009 l’offensiva diventerà ancora più decisa. Inoltre la battaglia del governo non verrà condotta soltanto in sede politica ma anche in sede giudiziaria visto che verranno presentati ricorsi contro tutte le procedure in cui sia individuato un vantaggio competitivo per Francia, Gran Bretagna e Germania dovuto all’utilizzo del “trilinguismo”. Un’offensiva che ha già ricevuto un primo, importantissimo riscontro lo scorso 20 novembre quando la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha accolto un ricorso dell’Italia e ha stabilito che pubblicare bandi di concorso europei solo nelle tre lingue di lavoro, vale a dire inglese, francese e tedesco, rappresenta una discriminazione tra i cittadini contraria ai principi della Ue. Al tempo stesso, la Corte ha annullato il bando per un posto di Direttore generale dell’Olaf, l’Ufficio europeo antifrode, che era stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 9 febbraio 2005 nelle stesse sole tre lingue menzionate, e non in italiano. L’Italia – con il sostegno di Spagna e Lettonia – aveva  presentato il ricorso per fare valere i principi sulla cittadinanza europea e sul divieto di discriminazione in ragione della nazionalità e del rispetto delle diversità linguistiche. E la sentenza dei giudici del Tribunale, articolata in 155 punti, ha accolto in pieno le ragioni italiane. Una prima vittoria per il nostro Paese che ora potrà farsi forza di questo precedente per respingere il tentativo di creare, in maniera surrettizia, un regime trilinguistico in sede comunitaria, lasciando nell’angolo la lingua italiana.