Il Governo ha puntato il faro sui lavoratori. Non lo spenga proprio ora

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Il Governo ha puntato il faro sui lavoratori. Non lo spenga proprio ora

31 Agosto 2009

Mettiamoci bene d’accordo. Servono dei nuovi criteri e delle altre regole per gestire le situazioni di crisi e le relative vertenze ? Sembrerebbe di sì, a stare a comportamenti sempre più frequenti delle maestranze e dei sindacati. Così, prima di diramare le convocazioni di rito, i Ministeri competenti, le Prefetture, le Direzioni provinciali del Lavoro dovranno informarsi su chi è salito sul monumento cittadino più elevato e su quanti hanno iniziato da più tempo lo sciopero della fame.

I lavoratori saliti sulla Torre pendente, a Pisa, avranno la priorità su quelli che, a Milano, fanno compagnia alla "Madunina" e così via, con tanto di televisioni appresso.

L’Innse sta facendo scuola, tanto che persino il ministro Giulio Tremonti ha portato quella vertenza ad esempio di italiche virtù. Ma sarà il caso di interrogarsi e di interrompere una spirale che non porterebbe da nessuna parte.

Si teme che in autunno circa duemila aziende in crisi dovranno porsi dei problemi di occupazione, i quali non potranno essere affrontati – sempre e comunque – solo con l’intervento della cassa integrazione guadagni.

Duemila aziende sono tante (pur se rappresentano una quota modesta dei 4,5 milioni di imprese italiane), soprattutto se medio-grandi, se innervate in un contesto socio-economico più ampio, se costrette a misurarsi con il dramma degli esuberi. E’ immaginabile, allora, che una fase tanto delicata e complessa possa essere gestita a colpi di scioperi della fame, di scalate di torri e monumenti cittadini e di qualsiasi altra iniziativa possa accendere la fantasia dei media e finire sugli schermi televisivi? A chi serve una ‘spettacolarizzazione’ delle lotte operaie con decine (o centinaia) di vertenze affidate non già alla gestione delle parti sociali e delle istituzioni preposte, ma all’escalation progressiva delle azioni clamorose di avanguardie che non esitano a mettere a rischio la propria vita pur di far parlare di sé in tv e sui giornali?

Dobbiamo forse mettere in conto una svolta nelle relazioni industriali affidandone la regia alla capacità dissuasiva della forza pubblica e al pronto intervento dei vigili del fuoco e della Protezione civile? 

Spetta a noi tutti seguire con preoccupazione e rispetto la disperazione di tante famiglie di lavoratori, ma anche nelle situazioni più gravi, va sempre mantenuto un criterio indispensabile di razionalità. Nei conflitti sociali e del lavoro le forme di lotta esasperate sono frequenti. Ed è comprensibile che sia così. Ma non possono diventare la regola. Non servirebbe a nessuno, neppure all’opposizione politica e sindacale, perchè un’azienda decotta non viene resuscitata se i suoi dipendenti compiono gesti clamorosi.

Il Governo ha promesso che nessuno sarebbe rimasto solo a fronteggiare la crisi. E fino ad ora – nei limiti del possibile – ha mantenuto l’impegno. Si tratta ora di proseguire su quella linea – salvaguardare l’occupazione mediante la salvezza delle imprese – in stretta collaborazione con le parti sociali. Anche i media possono svolgere un ruolo, evitando di incoraggiare la voglia di "fare come l’INNSE". Non sarebbe censura ma esercizio del buon senso.

Si dice che i lavoratori sono costretti a gesti disperati perché nessuno li ascolta, neppure i sindacati. Non crediamo che la realtà sia questa. In ogni caso, non sarà mai la legge della giungla a risolvere i problemi; non basteranno gli autodafè a mandare in paradiso la classe operaia.