Il Governo litiga e le pensioni restano in stallo

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Il Governo litiga e le pensioni restano in stallo

15 Maggio 2007

Lo scorso anno il ministro dell’economia, nel confezionare una inutile finanziaria, che non toccava il tema delle riforme strutturali, aveva giustificato il suo timido comportamento con la promessa, sottoscritta dall’ennesimo tavolo con i sindacati, di por mano ad un’ulteriore riforma delle pensioni entro il mese di marzo.

Marzo è passato, maggio sta finendo e l’unica cosa sicura in tema di pensioni è che si sta svolgendo tra il ministro dell’economia, i sindacati e il resto dei partiti che fanno parte del governo quello che non si potrebbe che definire un dialogo fra sordi. Secondo il ministro, la riforma dovrebbe servire a ridurre la spesa negli anni futuri e ad equilibrare il rapporto fra le generazioni: chi va in pensione adesso percepisce circa l’80% dell’ultimo salario e chi andrà fra 15-20 anni raggiungerà a stento il 40% e a poco servirà l’utilizzo del Tfr per formarsi una pensione integrativa, soprattutto se i lavoratori, subendo le pressioni dei sindacati, finiranno per affidare ad essi il loro risparmio previdenziale, con un meccanismo di semi-monopolio, che finirà per costituire uno strumento di potere economico più che di remunerazione dell’investimento. Essa dovrebbe poi risolvere il problema dello “scalone”, il subitaneo incremento di tre anni dell’età pensionabile, che scatterà fra pochi mesi. Nel presupposto che ogni intervento in materia pensionistica debba servire ad equilibrare la spesa in prospettiva futura e, semmai, a risparmiare qualcosa di più. Partiti e sindacati non la pensano assolutamente così. Essi vorrebbero approfittare dell’occasione per rimuovere lo “scalone” e per aumentare le pensioni più basse, facendo saltare un equilibrio economico così faticosamente raggiunto e procrastinando la soluzione dei problemi, facendo finta che non esistono.

L’unica proposta che si va formulando è quella dell’unificazione degli enti gestori della previdenza. Proposta ridicola, perché, ammesso e non concesso che si risparmi qualcosa sulle spese di gestione, non risolve il vero problema finanziario, che è quello del livello dei trattamenti e dell’età pensionabile. Con buona pace delle indicazioni dell’Unione europea, che il governo segue pedissequamente solo quando richiede qualche aumento di tasse.

In realtà, in tema di pensioni, non ci sarebbe nulla da inventare. Il nostro Paese sta percorrendo da un quindicennio la strada della sistemazione progressiva dei meccanismi di squilibrio a medio e lungo termine. Sono state abolite le baby-pensioni, è stata allungata la vita lavorativa, si è modificato il sistema di calcolo con riferimento ai contributi versati. Si è varata una ancorché imperfetta riforma della previdenza integrativa. Tornare indietro in questo percorso virtuoso sarebbe assolutamente folle, tenendo presente che l’impianto è efficace e ad esso vanno semplicemente apportate poche indispensabili correzioni per tener conto dell’aspetto principale che deve contraddistinguere tutti i sistemi pensionistici: l’equilibrio intergenerazionale. Se si vive di più e si nasce di meno, non si può pretendere che i giovani lavoratori del futuro debbano lasciare nelle comodità un numero di pensionati eccessivamente alto, ottenendo in cambio un tenore di vita ridicolmente basso.