Il Governo studia lo scudo fiscale “ter” per far rientrare 550 miliardi di euro

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Il Governo studia lo scudo fiscale “ter” per far rientrare 550 miliardi di euro

21 Aprile 2009

Con la nuova offensiva in corso contro i paradisi fiscali e il segreto bancario l’ipotesi di uno scudo fiscale che faccia rientrare in Italia i capitali all’estero diventa sempre più concreta. Capitali all’estero che dovrebbero ammontare a circa 550 miliardi di Euro, di cui trecento nella sola Svizzera.

Del resto, come dimostrato dal notevole aumento di sequestri di capitali ai valichi con la Repubblica elvetica, già molti titolari di conti esteri hanno cominciato ad accarezzare l’idea di far rientrare in patria i loro averi. Per l’Italia sarebbe uno scudo ter, dato che, già nel 2001 e nel 2002, grazie a questo strumento riemersero 80 miliardi di euro, con aliquota però del 2,5% e un incasso di circa 2 miliardi euro.

Questa volta comunque dovrebbero essere poste delle condizioni più vincolanti, quali, per esempio, il reinvestimento dei fondi nelle imprese, o l’accensione di una sorta di “Prestito Italia”, con la sottoscrizione di titoli pubblici il cui ricavato sarebbe destinato al finanziamento dell’economia reale.

L’aliquota poi dovrebbe aggirarsi intorno al 10%, da calcolarsi sui capitali che rientreranno materialmente in Italia. Un’aliquota più alta dovrebbe essere invece applicata per i capitali solo emersi, ma che resteranno all’estero (sulla falsa riga della “regolarizzazione” dello scorso scudo, con la quale si consentiva appunto di mantenere le proprie attività all’estero, pur dichiarandole in Italia).

Una prima stima calcola le possibile entrate in circa 8 miliardi di Euro (da utilizzare sia per la crisi finanziaria ed economica che per la ricostruzione in Abruzzo). La tentazione scudo fiscale, comunque, non è cero solo una prerogativa italiana.

Negli Stati Uniti, dove i capitali che sfuggono all’erario sono stimati in 100 miliardi di dollari, si sta infatti pensando all’introduzione di una vera e propria amnistia fiscale, con immunità penale per chi, entro i prossimi sei mesi, rimpatri capitali dall’estero, rivelando i nomi dei banchieri e consulenti che hanno consentito le operazioni di elusione fiscale.

In caso di rimpatrio sarà quindi applicata una penale fissa una tantum pari al 20% del valore massimo raggiunto negli ultimi sei anni dal conto corrente detenuto all’estero. All’azione del governo centrale si affianca poi quella dei governi locali degli Stati americani, che stanno prevedendo una serie di agevolazioni fiscali per consentire il rientro di capitali dall’estero.

In tale direzione si sono mossi, per esempio, lo Stato dell’Arizona (30 giorni di amnistia per tutto il mese di maggio), del Connecticut (dove, dal primo maggio al 25 giugno, sarà possibile fare rientrare capitali senza incorrere in denunce penali ed usufruendo di un tasso di interesse sulle imposte non pagate dello 0,75% al mese contro l’1% ordinario), del New Jersey (con scudo fiscale dal primo maggio al 15 giugno) e del Maryland (dal primo settembre al 31 ottobre).

Tornando in Europa, del resto, non bisogna dimenticare che in Olanda lo scudo fiscale è ormai permanente da ben otto anni (dal 2001). E non è un caso che dei 181 milioni di Euro fino ad oggi rimpatriati, ben 24 milioni siano rientrati negli ultimi due mesi.

In Gran Bretagna invece lo strumento scelto è quello di un’intesa fiscale bilaterale con il Liechtenstein con la stima di fare rientrare una cifra compresa tra 1 e 3 miliardi sterline (il denaro rimpatriato dovrebbe essere soggetto ad una penale del 10% del capitale).

In cambio l’HM Revenue and Customs (il corrispondente della nostra Agenzia delle Entrate) concederà l’immunità penale, a patto però che vengano definitivamente chiusi i conti segreti detenuti in Liechtenstein.

Infine si potrebbe decidere di attivare un vero e proprio euroscudo, con un’iniziativa concordata a livello europeo.

L’ipotesi potrebbe essere quella di una ritenuta uguale per tutti e compresa tra il 7% e l’8%. Anche in questo caso condizioni vincolanti dovrebbero poi essere il reinvestimento dei capitali fatti rientrare in titoli di Stato o per finanziare le imprese.

E’ chiaro che lo scudo fiscale (o gli scudi fiscali) mirano a dare un’alteriore spallata al muro del segreto bancario.

Non a caso la Svizzera (particolarmente interessata al tema), anche per protestare contro la sua inclusione nella “lista grigia” dei paradisi fiscali (anche se nel caso specifico sarebbe più corretto parlare di paradiso finanziario), ha recentemente deciso di manifestare la propria insofferenza con un gesto economicamente non significativo, ma fortemente simbolico e ha congelato i fondi destinati all’OCSE (per circa 136 mila Euro).

La posta e gli interessi in ballo sono sicuramente alti, ma una cosa è certa: il nuovo equilibrio politico economico, che il comune impegno per il contrasto alla crisi finanziaria ha imposto, nel bene e nel male, non potrà comunque più consentire una semplice conservazione dello status quo.