Il jihad di Al Qaeda passa anche per l’Algeria
12 Dicembre 2007
Una prima autobomba è esplosa vicino alla Corte Suprema nel
sobborgo di Ben Aknoun, un quartiere di Algeri molto
sorvegliato perché sede di diversi importanti edifici pubblici, ed ha investito
anche un autobus che trasportava studenti universitari. La seconda esplosione è
avvenuta di fronte alla sede dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati nel
quartiere Hydra, una zona residenziale considerata tra le più sicure della
capitale, uccidendo tra l’altro oltre dieci impiegati algerini delle Nazioni
unite. Le vittime complessive dei due attentati sono di certo diverse decine,
secondo fonti ospedaliere non ufficiali oltre 62.
L’attentato è estremamente grave per due ordini di motivi. In
primo luogo è il più sanguinoso attentato in Algeria dai tempi della guerra di
indipendenza, che segna il culmine di una serie di attacchi che hanno ucciso
ogni volta decine di persone. Rappresenta quindi il segno tangibile della
crescente capacità dei gruppi terroristi algerini di colpire massicciamente
senza alcuna distinzione tra civili e militari. In secondo luogo le autobomba
non hanno investito un posto di blocco della polizia in un quartiere a rischio,
o una caserma dell’esercito nel deserto maghrebino: hanno colpito in due delle
aree più controllate della capitale, a pochi passi da un’importante istituzione
nazionale e da una rappresentanza dell’Onu. Il messaggio non poteva essere più
chiaro: non esistono luoghi sicuri in Algeria, né per i suoi ricchi borghesi,
né per i suoi leader politici, né per i funzionari delle organizzazioni internazionali
che vi operano. Tutto ciò testimonia ancora una volta quanto il presidente
Bouteflika abbia perso il controllo del territorio, presidente che ha visto
un’altra autobomba esplodere proprio durante la sua visita nella cittadina di
Batna a settembre, ed uccidere 22 algerini.
Quanto al significato dell’attentato nel più ampio quadro
mediorientale, esistono almeno due chiavi di interpretazione, non necessariamente
contrapposte tra di loro. Da un lato la rivendicazione via internet del gruppo “Al-Qaeda
per il Maghreb Islamico” induce a collegare l’attentato all’azione globale del
terrorismo islamico. La scelta dell’undicesimo giorno del mese ricorda inoltre
l’11 settembre di New York, l’11 Marzo di Madrid, e l’11 aprile del 2004 che ha
visto 33 persone morire ad Algeri per l’esplosione di due autobomba, attacco
rivendicata dallo stesso gruppo. Difficilmente tale sequenza può essere
attribuita al caso. Come nota oggi un articolo dell’International Herald
Tribune, dopo un apparente indebolimento dell’organizzazione dovuta alla dura
repressione militare, “il gruppo ha compiuto uno sforzo per affermarsi come
parte del Jihad islamista globale e ora riceve sostegno dall’esterno
dell’Algeria (…) dalla regione di confine tra Afghanistan e Pakistan e
dall’Iraq (…)”. A confermare il carattere transnazionale della rete
terroristica, e la strategia di guerra asimmetrica mondiale, lo stesso articolo
afferma che “i funzionari dell’antiterrorismo sono preoccupati per gli sforzi di
Al-Qaeda per il Maghreb Islamico di reclutare fondamentalisti islamici fuori
dai confini dell’Algeria per addestrarli in campi in Nord Africa e utilizzarli
per attentati nel paese”.
D’altro canto la serie di attacchi terroristici è la
conseguenza dello scontro che attraversa il paese ormai da 15 anni. Da quando
le Forze Armate annullarono le elezioni legislative, che nel dicembre del 2001
avevano visto l’affermazione del Fronte Islamico di Salvezza, per impedire l’arrivo
al governo del partito islamista, il paese ha vissuto sotto la dittatura della
giunta militare e in uno stato latente di guerra civile tra i militari e i
militanti islamici. Boutlefika è al potere dal 1999, e durante il suo mandato
la violenza politica, gli attentati e le azioni militari si sono alternate
senza condurre a una stabilizzazione del paese. Non vi è dubbio che
quest’ultimo attacco si inquadri nel contesto politico nazionale, e come nota
Le Figaro di oggi “il duplice attentato ha luogo nel momento in cui il Fronte
di Liberazione Nazionale del primo ministro Belkhadem (…) lancia un’offensiva
per imporre una revisione della Costituzione per permettere al presidente
Boutlefika di ottenere un terzo mandato nell’aprile del 2009”.
Probabilmente la dimensione jihadista internazionale e le
radici nazionali dell’azione terrorista non sono in fondo che le due facce
della stessa medaglia. La giunta militare algerina non solo ha invalidato le
elezioni del 1991 per impedire la vittoria degli islamisti, ma 10 anni dopo,
nella cosiddetta “primavera nera” del 2001, ha sparato sulla folla di un milione di
persone che manifestava pacificamente nelle strade di Algeri per chiedere
libertà, diritti civili, vere elezioni. In una società come quella algerina ingabbiata
nella censura e nella repressione della dittatura militare per più di 15 anni,
e privata di ogni credibile prospettiva politica di transizione democratica, è
naturale che la predicazione islamista per la lotta armata trovi un terreno più
che fertile. Non ha caso l’organizzazione terrorista che ha rivendicato
l’attentato è nata nel 1998 con il nome di “Gruppo Salafita per il
Combattimento e la Preghiera”
e solo nel 2006, come nota sempre l’IHT odierno, “Al Qaeda sceglie il gruppo
come suo rappresentante in Nord Africa. In gennaio il gruppo cambia
denominazione in Al Qaeda per il Maghreb Islamico, rivendicando di averlo fatto
su richiesta di Bin Laden”. Un ennesimo esempio di come la rete di Bin Laden
sfrutti i gruppi nazionali che per diverse motivazioni interne sono disposti a
fare network per colpire i governi arabi o gli interessi occidentali in Nord
Africa e Medio Oriente.
La strage di Algeri può essere considerata parte della
stessa guerra asimmetrica condotta dal terrorismo islamico a Baghdad, Kabul,
Djerba, Londra e Madrid. Inoltre la concomitanza con l’attentato che questa
mattina a Beirut ha ucciso il generale François al-Hajj, artefice della
vittoria dell’esercito libanese contro i guerriglieri islamici di Fatah
al-Islam nel campo profughi palestinese di Nahr el-Bared, sebbene non provi
assolutamente una relazione organica tra i due teatri mostra drammaticamente come
l’azione dei vari gruppi terroristi non si limiti all’Iraq presidiato dagli
americani, ma interessa anche le ex colonie francesi. E’ altrettanto plausibile
che ogni gruppo terrorista tragga forza e sostegno dalla disperazione sociale delle
popolazioni che vivono in paesi senza prospettive né di benessere economico né
di libertà politica e civile. Finché questa situazione ristagnerà dal Maghreb
all’Indukush, attentati come quello di Algeri saranno tutt’altro che rari.