Il Kosovo dopo il voto è uno stato più democratico (anche per i serbi)
14 Dicembre 2010
di Lavdrim Lita
"E’ tempo di votare". Era questo l’ imperativo categorico, anche liberatorio, che tappezzava le strade e gli spot televisivi di Pristina e dintorni in questi giorni, per le prime elezioni legislative del Kosovo indipendente che si sono svolte il 12 dicembre. Le prime elezioni politiche post-indipendenza si sono svolte sostanzialmente in un clima di tranquillità. Isolati e prevedibili bisticci si sono registrati nei seggi elettorali di alcuni villaggi intorno a ZubinPotok, nel nord del Kosovo.
Sul piano politico le elezioni hanno mostrato, ancora una volta, un segno di maturità del Kosovo. Il significato è certamente molto importante, perché sono le prime elezioni dopo la proclamazione dell’indipendenza e dopo il riconoscimento di Pristina da parte di una settantina di Paesi. Quindi è stato un momento particolarmente sentito e particolarmente importante per dimostrare l’autenticità dell’opzione e della scelta che è stata fatta e per esercitare una vera democrazia basata sulla volontà e sul voto del popolo.
Oltre 1,7 milioni di cittadini sono stati chiamati a rinnovare il parlamento del Kosovo e i suoi 120 parlamentari, 20 dei quali spettano per legge alla rappresentanza delle minoranze, e precisamente 10 ai candidati della comunità serba, 4 per quella R.A.E. ( Rom, Ashkali ed Egiziani) 3 per i Bosniaci, 2 per la comunità turca e 1 per i Gorani.
Ricordiamo che il Kosovo ha proclamato unilateralmente l’ indipendenza il 17 febbraio 2008. E fino ad oggi è stato riconosciuto da 72 dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite. Tra questi, 22 Paesi dell’Ue. Per le prime legislative del dopo indipendenza, la delegazione di osservatori del Parlamento europeo si è detta sostanzialmente soddisfatta, affermando che un paio di episodi in cui si sono registrate "gravi irregolarità" non possono mettere in discussione il risultato positivo dell’intero processo elettorale.
I sette europarlamentari che hanno monitorato il voto hanno sottolineato "l’importanza del processo democratico in atto in Kosovo", mettendo in evidenza in particolare la crescente partecipazione al voto della comunità serba: "un segno dell’ulteriore impegno rispetto alle istituzioni del Kosovo". Mentre si attendono i risultati ufficiali, l’Alto rappresentante della politica estera della Ue, CatherineAshton, annuncia che è previsto l’avvio del dialogo tra Kosovo e Serbia per l’inizio del 2011, probabilmente in febbraio.
Tuttavia le operazioni di scrutinio che hanno ormai superato il 60 per cento delle schede, nelle elezioni anticipate del 12 dicembre, in Kosovo si confermano sostanzialmente i risultati emersi dagli exitpoll: il Pdk, il Partito Democratico dell’ex premier Hashim Thaci, si attesta infatti al 30,6 per cento delle preferenze mentre agli avversari della Ldk, la Lega Democratica del Kosovo già alleata dello stesso Pdk, va il 26,2 per cento; gli exitpoll li avevano accreditati rispettivamente del 31 e del 25 per cento.
Mantiene la posizione anche il terzo incomodo e vera sorpresa della consultazione, la formazione nazionalistica Vetevendsoje (Auto-Determinazione), che segue con il 16 per cento. In buona parte c’è stato un esito piuttosto positivo. Sicuramente non è quello che si sperava, ma è quello che ci si aspettava. Il risultato parziale uscito dalle urne, oltre a confermare quanto i sondaggi andavano ripetendo, la vittoria dell’uscente Primo Ministro HashimThaci, mostra due elementi di novità: uno sul fronte degli albanesi, l’altro sul versante serbo.
Veniamo al primo. La scarsa efficacia di norme che disciplinano il finanziamento della politica e delle elezioni, la "certificazione" di un voto famigliare che premia quasi sempre chi detiene il potere e le chiavi della cassaforte, non hanno fermato l’armataVetevendosje che si è presentata per la prima volta alle elezioni del Kosovo.
Il voto ha premiato il decennale radicamento sul territorio del movimento nazionalista, Vetevendosje. Con un programma imbottito di proposte nazionalistiche, e giocando sulla frustrazione dell’anti-politica, il movimento guidato dal giovane Albin Kurti si è attestato al terzo posto fra le formazioni politiche del Kosovo con il 16% dei consensi.
I principali think tank di Pristina indicano oltre il 40% la partecipazione al voto dei cittadini serbi. E questo è il secondo elemento di novità. Il dato è molto importante e significativo, soprattutto se si pensa che tale risultato è la media dei voti tra i serbi che vivono nel nord del Kosovo, che hanno nuovamente boicottato le elezioni, e gli altri serbi che vivono nel resto del Kosovo. I serbi delle municipalità di nuova costituzione, sulla base del piano Ahtisaari, hanno risposto positivamente al voto di ieri, con un tasso di partecipazione che in alcune aree ha superato il 50%. Questo, dispiace constatarlo, certifica la totale contrapposizione di vedute della comunità serba che vive nel Kosovo, a nord e al sud dell’Ibar.
Come era stato previsto la popolazione serba del nord del Kosovo ha boicottato le elezioni e non è andata a votare, seguendo le indicazioni dei leader della Serbia. Belgrado infatti non ha ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo e lo considera tuttora parte della propria nazione. Alcuni seggi nel nord del paese sono stati chiusi più presto rispetto agli altri a causa di tensioni e minacce. Hashim Thaci si era appellato alla minoranza serba del paese prima del voto perché partecipasse alle elezioni per costruire insieme il futuro del Kosovo.
Durante la breve campagna elettorale che ha preceduto le elezioni, Thaci ha promesso che porterà il Kosovo all’interno dell’Unione Europea e che raddoppierà i salari dei dipendenti pubblici. Secondo le statistiche della Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione del paese è del 48 percento. Oltre il 60 percento della popolazione è sotto i 25 anni e la disoccupazione giovanile ha ormai raggiunto il 75 percento.