“Il lavoratore deve poter uscire dai Fondi pensione”
19 Giugno 2007
di redazione
Intervista a Luigi Scimia di Sergio Corbello
A pochi giorni dal termine del semestre in cui i lavoratori subordinati sono stati chiamati ad esprimersi circa la destinazione del TFR a previdenza complementare, abbiamo rivolto talune domande al Prof. Luigi Scimia, Presidente dell’Authority di settore.
Qual è la situazione del comparto della previdenza complementare alla soglia del 30 giugno, data di svolta nell’operazione TFR?
E’ difficile fare previsioni e valutazioni del tutto esenti dal rischio di smentite. Ciascuna forma pensionistica, chiamata ad uniformarsi alle nuove norme di cui al d. lgs. n. 252/2005, secondo gradi diversi di innovazione, ha dovuto fronteggiare non poche difficoltà. I fondi negoziali, dov’è maggiore la presenza sindacale nei luoghi di lavoro anche sotto il profilo dell’informazione, hanno in buona percentuale completato il percorso di adeguamento. E’ già ipotizzabile un segno positivo nella raccolta di nuove adesioni, tanto da indicare un trend in crescita rispetto al passato. I fondi pensione aperti, sollecitati ad un maggiore impegno in termini di trasparenza e di governance, hanno incontrato difficoltà, forse inizialmente sottovalutate dagli operatori, nella realizzazione di accordi con le piccole e medie aziende in vista delle adesioni collettive. Ci si attende, da quel fronte, un dato non così soddisfacente come potrebbe essere quello risultante dalle adesioni a titolo individuale. Per le forme individuali di matrice assicurativa la fase di avvio è stata abbastanza difficoltosa, con compiti di adeguamento piuttosto onerosi.
Come giudica la campagna informativa in atto?
Lo sforzo compiuto sinora dalle Istituzioni non è ancora sufficiente, tenuto conto del ritardo con cui è iniziata la campagna informativa. Ciò, con particolare riguardo agli effetti derivanti dal conferimento del TFR a previdenza complementare e alle conseguenze della mancata scelta esplicita da parte del lavoratore. In quest’ultimo caso consegue sia l’adesione ad un fondo pensione individuato secondo la gerarchia fissata dalla legge e, specificatamente, alla linea di investimento c.d. garantita, sia, almeno in prima battuta, la rinuncia al beneficio del contributo datoriale. Non basta “ricordare” ai lavoratori di scegliere entro il 30 giugno 2007 o far conto sull’informazione fornita dai mass media sulle caratteristiche di questa o quella forma previdenziale. Occorre offrire motivazioni a supporto di tale scelta, affinché essa sia la più corrispondente al profilo previdenziale del lavoratore interessato. Penso soprattutto alle giovani generazioni, che saranno le più colpite in futuro se non le si rende oggi consapevoli dell’importanza del risparmio a fini previdenziali.
Che valutazione esprime circa il complessivo nuovo assetto dell’ordinamento di settore in Italia, avuta particolare attenzione alla disciplina tributaria?
Esprimo una valutazione complessivamente positiva circa i fondamenti della riforma previdenziale. Ogni apertura alla concorrenzialità tra le forme pensionistiche e alla maggiore libertà di circolazione degli aderenti nel comparto deve essere incoraggiata. In tal modo si determinano miglioramenti per quest’ultimo e si favorisce il formarsi, nell’opinione pubblica, di una concezione più moderna e dinamica del sistema previdenziale. L’ampliamento della gamma delle fonti istitutive contribuisce a delineare uno scenario di maggiore libertà di scelta per i lavoratori e, quindi, prospettive di espansione per la previdenza complementare. Il nuovo regime delle anticipazioni presenta alcune criticità. Se un numero cospicuo di lavoratori si avvarrà della facoltà di richiedere, senza alcun obbligo di motivazione, fino al 30% della posizione individuale maturata allo scadere dei primi otto anni di adesione alla forma previdenziale, sarà largamente compromessa la possibilità di garantire loro una rendita pensionistica per l’età anziana. L’istituzione, contestuale all’avvio della riforma, del fondo di tesoreria gestito dall’INPS (cui affluirà il TFR dei lavoratori, dipendenti di aziende con almeno 50 addetti, i quali non aderiscano alla previdenza complementare) non ha giovato alla realizzazione di un quadro di scelte chiare. Circa il regime fiscale, nei paesi dove il secondo pilastro ha un peso consistente in rapporto al PIL e dove il risparmio a fini previdenziali è particolarmente esentato e incentivato fiscalmente, il prelievo tributario è concentrato al momento dell’erogazione delle prestazioni. Nel nostro ordinamento, l’esenzione da imposizione ordinaria dei contributi e del TFR (con tassazione dei contributi che eccedono il limite di deducibilità) ha il merito di avvantaggiare i redditi medio bassi che possono così rendere fiscalmente esente la contribuzione versata. Il regime di tassazione sostitutiva previsto per le prestazioni potrebbe però avere effetti regressivi in termini di equità distributiva. I redditi pensionistici più elevati sono infatti assoggettati alla medesima aliquota impositiva di quelli medio bassi. Andrebbe poi completamente detassata – come avviene negli altri paesi – la fase di accumulo del risparmio previdenziale. In tale ottica, nel valutare quali potranno essere, in prospettiva, l’ambito e le modalità di nuovi interventi da effettuare sulla fiscalità bisognerà tener conto dell’ormai possibile attività transfrontaliera delle forme pensionistiche di altri paesi.
La COVIP ha avviato la riscossione del contributo di vigilanza nei riguardi delle entità vigilate. Ma quali sono le prospettive della Commissione stessa? Nell’ambito del riassetto delle Authority la COVIP può giocare un ruolo autonomo? Come giudica, anche alla luce della Sua lunga esperienza di Dirigente della Banca d’Italia, le iniziative del Governo circa le Authority?
Non credo che il recente progetto di riordino delle Authority dimostri la dovuta consapevolezza circa le sostanziali differenze tra risparmio a fini previdenziali e risparmio finanziario tout court. Non vi sono neppure valutate le conseguenze, in termini di credibilità del sistema, che la proposta di soppressione dell’Autorità dedicata ha determinato proprio nel delicatissimo semestre in cui i lavoratori debbono scegliere di aderire o meno alla previdenza complementare con il TFR. Molti lavoratori si sono così allontanati dall’idea di aderire ad un fondo pensione. La COVIP, nello stesso periodo, è stata chiamata ad un rilevante impegno per consentire a molte forme previdenziali l’ordinato avvio di operatività secondo la nuova disciplina. Inevitabilmente, si è però generata l’impressione che il quadro normativo del settore possa essere privato in qualsiasi momento delle necessarie garanzie e tutele per gli aderenti. Quelle stesse garanzie, derivanti dal perfezionamento dell’omogeneità e delle prerogative nella vigilanza del settore, che la legge delega di riforma previdenziale ha, invece, ritenuto fondamentali, in vista dell’introduzione nel sistema di elementi volti a realizzare una maggiore concorrenza tra le forme previdenziali complementari.
A prescindere dalle determinazioni circa la Commissione, potesse compiere una libera scelta normativa per il settore, cosa vorrebbe realizzare come priorità?
La possibilità di consentire l’uscita dalla previdenza complementare a precise scadenze temporali, la cui periodicità può essere valutata. Ciò potrebbe incentivare all’adesione i lavoratori consapevoli del “problema previdenziale” ma preoccupati di perdere la disponibilità del proprio TFR e/o dai rischi dell’investimento. Essi avrebbero la certezza della possibilità di ripensamento. Per coloro che, divenendo aderenti inconsapevolmente o per mancanza di iniziativa con il conferimento tacito del TFR la possibilità di ripensamento costituirebbe un’ulteriore guarentigia.