Il lessico famigliare della Marchesa Colombi

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Il lessico famigliare della Marchesa Colombi

15 Marzo 2009

“E’ difficile immaginare una gioventù più monotona, più squallida, più destituita d’ogni gioia della mia. Ripensandoci, dopo tanti e tanti anni, risento ancora l’immensa uggia di quella calma morta, che durava, durava inalterabile, tutto il lungo periodo di tempo, da cui erano separati i pochissimi avvenimenti della nostra famiglia”. Così, terribile e assoluto, l’attacco di un “Matrimonio in provincia”, piccolo classico di fine Ottocento (1885) scritto da Maria Antonietta Torrioni in arte Marchesa Colombi, ora riedito da Einaudi.

Ai tempi, la nostra narratrice è consumata donna di penna, autrice soft, illustre firma di gazzette e periodici, consorte presto separata di Eugenio Torelli Viollier, fondatore e primo direttore del Corriere della Sera. Un testo “buffo”, divertente e strano, osservava in una vecchia “Nota introduttiva”, ora riproposta nell’attuale edizione, Natalia Ginzburg. E soprattutto un libro ruvido, per il modo “senza miele di trattare le persone, gli oggetti e gli avvenimenti”.

Ambientato nel Piemonte profondo, appunto nell’“uggiosa” Novara, il librino ha al centro la figura di Denza, “diminutivo ridicolo” a uso famigliare del “nome infelice di Gaudenzia”. La nostra protagonista è orfana, ha una sorella maggiore, Caterina, detta Titina, e una vecchia zia, “una zitellona piccola, secca come un’aringa, che dormiva in cucina dove aveva messo un paravento per nascondere il letto, e passava la vita al buio dietro il paravento”. Completa l’idillico quadretto il babbo, notaio e vedovo. Considerato l’ambiente, è facile immaginare che l’allegria non regni fra le mura domestiche, anche se non si può dire che le cose vadano così male. A rompere le uova, è il genitore che decide di rimaritarsi con “una vecchia signora”, osserva Denza, “che ci dava una gran soggezione”. Con le nozze, precipita tutto. Alle due figliole, abbastanza borghesi ma non abbastanza benestanti, non resta la via di scampo del buon partito.

Sguardi, corteggiamenti e illusioni attraversano i pensieri della protagonista, peraltro belloccia e appetita. La ragazza, di suo piuttosto ritrosa, fantastica e soprattutto attende. La scrittrice è bravissima a rendere credibile i pensieri mozzi e sincopati della protagonista. Denza, nel prender marito, si vedrà sopravanzare dalla meno appetitosa sorella e alla fine, dopo aver sperato in qualcosa di meglio, si adatterà alla corte di un secchione, però locupletato, seppure portatore di un difettuccio fisico. La chiusa del racconto è formidabile quanto secca: “Ora ho tre figlioli… E la matrigna pretende che io abbia ripreso la mia aria beata e minchiona dei primi anni. Il fatto è che ingrasso”.

Marchesa Colombi, “Un matrimonio in provincia”, Einaudi, pagine 108, euro 9,00.