Il liberalismo italiano e il negazionismo di Faurisson

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Il liberalismo italiano e il negazionismo di Faurisson

18 Maggio 2007

Da La Repubblica dell’11 maggio u.s. un docente dell’Università di Teramo, appartenente all’area della sinistra radicale, Claudio Moffa – ordinario di Storia e Istituzioni dell’Africa – “vuole invitare il negazionista Robert Faurisson. Ed è polemica”. Il Rettore Magnifico, Mauro Mattioli, “affiancato dal Preside Adolfo Pepe”, ordinario di Storia contemporanea, sembra non ne voglia  sentir parlare ed essere intenzionato, anzi, a chieder conto al Moffa non solo di questa sua iniziativa — diciamo così –  eccentrica ma, altresì, del Master ‘Enrico Mattei’, divenuto sotto la sua direzione, “una tribuna della cultura negazionista”. “Già il mese scorso, ricorda Simonetta Fiori, l’Unione delle Comunità ebraiche aveva protestato per un videomessaggio del negazionista Faurisson ospitato dallo stesso Moffa”. E’ un’altra vicenda paradossale da mettere nel dossier “Perché non riusciamo ad essere liberali” (in Italia, s’intende). Ed è una storia che si ripete. Ancora una volta, infatti, sia quanti sono intervenuti a difesa dei ‘diritti di libertà’ di Moffa, sia quanti hanno condannato la sua  pretesa di dare dignità scientifica a storici come Irving e Faurisson, non si sono posti una domanda decisiva:” la conferenza sulle menzogne storiche delle camere a gas ha come sede l’aula in cui lo storico anticonformista tiene le sue lezioni o  un auditorium per il cui utilizzo si richiede l’autorizzazione del Rettore?”

Viviamo in una società che si riempie talmente la bocca di diritti da ritenere, più o meno consapevolmente, che qualsiasi desiderio, qualsiasi richiesta rivolta ai poteri pubblici, per il fatto stesso di venir avanzata da individui che vivono con passione una qualunque idealità, diventa un ‘diritto’ sotto lo scudo delle dee Libertà ed Eguaglianza. Non si spiegherebbe,altrimenti, l’appello Viva la libertà, apparso sul master ‘Enrico Mattei’ e firmato anche da Franco Cardini—uno storico che si vanta di non esser liberale–in cui si difende il diritto di parola dei negazionisti “in nome della Costituzione e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo”. Tutti, stando a questi ipergarantisti, avrebbero la libertà di dire tutto in ogni tempo e in ogni luogo.

 Senza l’equivoco dei diritti moltiplicabili a volontà, non si spiegherebbe, però, nemmeno l’imbarazzo di Simonetta Fiori:”Il rischio è ora che un’iniziativa del Rettore contro Faurisson possa dare il destro al martirologio a favore del negazionista francese e del suo anfitrione italiano”. E per quale ragione? ci si chiede. Un  Rettore non è un funzionario che tiene il registro delle conferenze ospitate nelle aule universitarie e le assegna a chi le richiede sempreché, nel giorno scelto, non siano occupate da altri. E’ stato eletto dai colleghi per promuovere la scienza e tutte quelle iniziative che danno lustro all’Ateneo per il loro elevato significato civile e culturale. Se ,a suo giudizio, una lectio magistralis aperta alla cittadinanza non risponde a tali requisiti, ha tutti i titoli per porre il veto. Può darsi che prenda una cantonata e che, come ai funzionari dell’Impero asburgico ricordati da Robert Musil, gli capiti di ‘scambiare un genio per un babbeo’, ma qui non è in questione la decisione presa bensì il fatto che sia del tutto legittimato a prenderla.

Purtroppo, in un paese in cui non si ha nessun senso dello Stato, nessun culto di quelle Forme che, per Benjamin Constant, erano gli dei protettori della Città, e non si assicura alcuna solidarietà a chi, con la forza, fa rispettare la legge e l’ordine, anche il veto più ragionevole e condividibile diventa ‘repressione’. Non a caso la Fiori –che scrive per un quotidiano che, al tempo del G8 di Genova, distribuiva un CD se non apologetico molto ‘comprensivo’ della sommossa no-global e delle ragioni del ‘martire’Carlo Giuliani—teme che si possa assistere a “uno spettacolo non tra i migliori”, dove “chi sta dalla parte dell’aguzzino gioca la parte del perseguitato”.

E tuttavia, una volta chiarito questo punto, resta effettivamente un disagio.”In un luogo deputato alla ricerca scientifica” si possono invitare “astronomi persuasi che la terra sia piatta?”. Se la risposta fosse incondizionatamente negativa, ne deriverebbe la conseguenza che la Scienza diventa l’unico potere autorizzato a concedere la libertà di parlare in pubblico! Sennonché la scienza è sempre la scienza di una determinata epoca e, con le parole di Karl Popper, la ricerca non ha mai fine. In linea teorica, non si può escludere che una tesi oggi aberrante possa un domani venir suffragata da prove indiscutibili. Ciò non dà ai sostenitori di tale tesi alcun diritto di venir ospitati negli edifici del sapere–se così non fosse, eventuali neo-alchimisti avrebbero lo stesso diritto a esporre le loro teorie nelle aule accademiche che hanno gli scienziati moderni a trattarvi la fisica  quantica o la Grundnorm di Hans Kelsen– ma non preclude a nessun singolo ricercatore la libertà di prestargli ascolto.

Anch’io mi sarei comportato come il Rettore Mattioli e il Professor Pepe, negando il permesso di utilizzare una sala pubblica per sostenere farneticazioni che nessuno storico serio – alla luce delle metodologie in uso e dei corposi libri e documenti pubblicati in più di cinquant’anni di studi e di ricerche – potrebbe prendere in seria considerazione. Chi svolge un ruolo direttivo ha una specifica responsabilità verso la comunità e se si è assunto il compito di contribuire alla diffusione del ‘sapere’non può favorire lo smercio di prodotti culturali, a dir poco, molto dubbi.

Un singolo docente, però, non può essere privato della libertà di “sperimentazione”, di confrontarsi con chicchessia, di discutere anche le idee più strampalate. Nell’ambito della sua cattedra è, per così dire, sovrano: non ricopre una carica elettiva–e quindi ‘politica’ (in senso lato) come il Rettore o il Preside– ma è stato chiamato a svolgere la funzione di docente in base a un regolare concorso, in cui una Commissione ministeriale  ha giudicato validi i suoi titoli scientifici. Se l’invito a Faurisson   è sconcertante, va detto che il discredito non ricade solo su Moffa, ma sulla Facoltà che lo ha ‘chiamato’, sulla Commissione che gli ha conferito l’ordinariato, sull’intero Ateneo teramano. Ma che farci? Vale qui l’antica legge del Menga o il verso della canzone napoletana:” t’è piaciuto, t’è piaciuto tienetill’ caro, caro..”. In questo caso, tutto si può dire tranne che “no, questo non puoi farlo, queste tesi non puoi discuterle!”.

 In sintesi, se non si può limitare la libertà d’insegnamento di chi si è conquistato i galloni sul campo, non si è obbligati a riconoscergli il diritto di esercitarla in spazi e in tempi che sono di tutti e che vanno amministrati in conformità a standard condivisi di scientificità e alle tradizioni politiche universitarie.

Libertà, diritti! Ma quand’è che capiremo che avere la libertà di fare qualcosa senza esserne impediti dagli altri, non significa per nulla avere il diritto a coinvolgere gli altri nelle cose che facciamo? Moffa ha il diritto di invitare Faurisson nel suo corso, Mattioli ha il diritto di negargli l’aula magna:  nessuno dei due, in una autentica società liberale, dovrebbe pretendere di più.