Il liberalismo non ha “testi sacri” che svelano la Verità assoluta
22 Agosto 2012
Vedo ora che Dino Cofrancesco prosegue su “L’Occidentale” un piccolo dibattito del quale siamo stati protagonisti su “Legno Storto”. Ne sono, da una parte, onorato vista l’attenzione che il collega e amico mi dedica, e dall’altra sorpreso poiché non mi sembrava che il dibattito stesso meritasse un’altra “coda”. Sono ben quattro, infatti, gli articoli sfornati a ritmo serrato da noi due. Uno iniziale mio, una replica di Dino, e poi due controrepliche da parte di entrambi. Una storia (quasi) infinita, insomma, dovuta forse ad alcuni fraintendimenti.
Per farla breve, chi scrive aveva detto che “è tendenza costante del nostro pensiero quella di attribuire un’indipendenza assoluta a entità che, invece, sono soltanto prodotti dell’azione umana quando interagisce con il mondo circostante. Siamo, per così dire, indotti quasi naturalmente a ritenere che esistano enti che sfuggono al nostro controllo e debbano pertanto essere lasciati liberi di svilupparsi senza alcuna interferenza da parte degli esseri umani”.
Proseguivo poi notando che non vi possono essere entità che, pur originate dalle nostre azioni e capacità concettuali, risultano impermeabili all’intervento umano. Eppure la storia del pensiero – non solo filosofico – ne è piena. Esse vengono “divinizzate”, com’è accaduto con la Storia, con una particolare classe sociale, con l’uomo stesso concepito in termini astratti. Notavo allora che oggi alcune correnti liberali, particolarmente in ambito economico, corrono il rischio di divinizzare il mercato.
Non solo. Ho pure scritto che “proprio il liberalismo ha trovato l’antidoto per evitare le divinizzazioni di cui sopra. Tale antidoto è l’individualismo, vale a dire una concezione del mondo che antepone la libertà dell’individuo a qualsiasi altro valore”. Citando Furet notavo che del liberalismo c’è una versione economica d’ispirazione scozzese (Smith e Bentham), e una d’ispirazione francese (Constant e Tocqueville). Non mi sono mai sognato – come invece scrive Dino – di contrapporle o addirittura di affermare che è migliore la seconda. Anche perché, per formazione culturale, faccio più riferimento al pensiero britannico che a quello francese. E’ del tutto ovvio che Adam Smith non ha mai inteso divinizzare il mercato. Corrono questo rischio, invece, alcune scuole economiche contemporanee, in primis quella di Chicago.
Quanto al fatto che l’economia finanziaria abbia preso il sopravvento su quella reale, mi si consenta di rilevare che non è certo una mia scoperta, anche perché non sono così originale. Si tratta di una tesi di cui parlano ormai tutti inclusi moltissimi economisti, e vi ha fatto riferimento di recente anche Mario Monti.
Non ho mai parlato di mali portati dal mercato in Italia. Penso, al contrario, che molti guai del nostro Paese derivino dal fatto che il mercato non ha mai avuto da noi un peso sufficiente. Tuttavia credo anche che non occorre essere statalisti per ritenere che il mercato debba essere considerato per ciò che effettivamente è: un prodotto dell’intelletto – e dell’ingegno – umano. Sottoposto quindi ad alcune regole, poche ma efficaci. Le regole non possono però essere demandate a un mercato del tutto autonomo che si organizza da solo. I governi devono avere un ruolo in tale processo. Se ne parla da tempo negli stessi Stati Uniti e in Gran Bretagna a proposito di Wall Street e della City londinese.
Non capisco davvero come Dino Cofrancesco possa sospettare che il sottoscritto, per aver detto cose simili, desideri il ritorno alla democristiana “economia sociale di mercato”, al “federalismo solidale” o, addirittura, allo “statalismo collettivista”.
La mia opinione è che il liberalismo, a differenza di altre correnti di pensiero politico, filosofico ed economico, non ha “testi sacri” che forniscono la Verità una volta per sempre. Tutto si può mettere in discussione, come insegnano Popper e lo stesso Isaiah Berlin, che a Dino – come a me – è tanto caro. Tranne ovviamente la libertà dell’individuo e il diritto alla proprietà privata.
Detto questo, non è mia intenzione continuare ulteriormente il dibattito poiché credo che sia già durato abbastanza. Se Dino Cofrancesco scriverà la terza controreplica troverà, da parte mia, un “silenzio liberale” ad accoglierlo.