Il lockdown e la Chiesa che s’offre

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Il lockdown e la Chiesa che s’offre

12 Ottobre 2020

Non vorremmo, ma se proprio dobbiamo…

Non appare di strenua resistenza l’atteggiamento della Chiesa italiana rispetto all’ipotesi di una nuova stretta sulle celebrazioni liturgiche e sulla fruibilità dei luoghi di culto. Una stretta in realtà ancora non ventilata nelle indiscrezioni fin qui trapelate (finora si è parlato solo di limiti alla partecipazione a riti come matrimoni ecc.), ma che stando alle notizie di questi giorni sarebbe una possibilità non del tutto peregrina in caso di aumento dei contagi e già oggetto di interlocuzione tra la Cei e il Viminale.

Certo, l’idea di fermare o limitare di nuovo le messe con la partecipazione dei fedeli non può non preoccupare i vescovi, vista l’evidente disaffezione già registrata dopo la fine del lockdown della scorsa primavera. Ma a differenza di quanto accade per le scuole, per i servizi, per le attività produttive, per gli esercizi commerciali, l’accessibilità della mensa eucaristica non sembra trovare appassionati difensori da parte di coloro che sono chiamati ad amministrarla.

La parola d’ordine dietro la quale ci si trincera è “responsabilità”. Preoccupazione e dispiacere non vengono nascosti, ma per relativizzare le ragioni dello spirito si invocano le categorie del bene comune, dell’interesse nazionale e via di questo passo. Una difesa flebile, il segnale dell’avvento di una “Chiesa del silenzio” in quanto letteralmente silente rispetto alla relativizzazione del Corpo di Cristo; ben altra cosa di fronte alla “Chiesa del silenzio” di wojtylana memoria, che al cospetto delle minacce alla libertà determinate dal regime comunista novecentesco seppe reagire fino a farsi attrice protagonista della Storia. E flebile anche rispetto alle parole pronunciate nello scorso mese di aprile da Francesco, per il quale una Chiesa virtuale “non è Chiesa”.

Per carità, nessun processo alle intenzioni. Il dibattito è per adesso sotto traccia e nelle anticipazioni di questi giorni nulla si è ancora detto rispetto a possibili restrizioni. Quel che si è saputo, ed è già abbastanza, è che in caso di asserita necessità (stabilita dal governo e dall’ormai mitologico comitato tecnico scientifico) la Chiesa italiana non mancherà di adeguarsi in nome della “responsabilità”.

Ancora una volta le esigenze di Dio, ad opera dei suoi ministri, rischiano di passare in secondo piano rispetto alle priorità di Cesare. Vedremo cosa accadrà. Nella peggiore delle ipotesi, tuttavia, ci piacerebbe sapere che la mensa eucaristica è stata ritenuta degna di difesa dai suoi “esercenti” almeno tanto quanto la fruibilità di una paninoteca.