Il maestro, il calzolaio e il meridionale. Tutti i provinciali di Lucio Mastronardi

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Il maestro, il calzolaio e il meridionale. Tutti i provinciali di Lucio Mastronardi

25 Luglio 2009

“Nato a Vigevano il 28 giugno 1930 Lucio Mastronardi è cresciuto in ambiente piccolo borghese ma in un caseggiato abitato da operai e artigiani. Sua madre è lombarda, vigevanese. Il padre invece è nato abruzzese, di vicino Vasto, ora ispettore scolastico in pensione”. Così Elio Vittorini, primo editore di Mastronardi, presenta ai suoi lettori l’esordiente di Vigevano. Raggiunto il successo negli anni Sessanta con la pubblicazione de Il Maestro di Vigevano, Mastronardi è stato dimenticato. Nel trentesimo anniversario della sua scomparsa, riscopriamo questo grande autore di provincia insieme a Stefano Giannini, che insegna letteratura italiana alla Syracuse University di New York e ha scritto La musa sotto i portici, dedicato a Piero Chiara e Lucio Mastronardi.

Professore, Giovanni Tesio ha scritto: “È toccato in sorte a Mastronardi lo stesso ingiusto oblio di un altro irregolare di genio e vinto della vita che fu Luciano Bianciardi”. Dopo un breve successo – legato anche al film con Alberto Sordi e Claire Bloom – Mastronardi è stato dimenticato. Perché?

Mastronardi certamente ha vissuto momenti di ampia, e a volte criticata, notorietà nella prima metà degli anni Sessanta. I tre libri che compongono la “trilogia vigevanese” furono scritti e pubblicati in un breve arco di tempo, tra il 1959 e il 1964. A casa tua ridono del 1971 e i racconti non riscossero invece il successo dei tre precedenti. Forse il picco isolato della sua produzione letteraria, non sostenuto da altri lavori di simile caratura, e la sua tutto sommato limitata quantità, ha contribuito a farlo “dimenticare” più facilmente dall’industria culturale, che ha spesso bisogno di proposte e riproposte.

Quest’anno si celebra il trentesimo anniversario della scomparsa di Mastronardi… Sarà l’occasione buona per riscoprirlo?

Sì, qualcosa sta cambiando. Recentemente Tesio, che lei ha giustamente ricordato, ha curato una nuova edizione della trilogia, e nel 2002 ha anche riproposto in un unico utilissimo volume i racconti e A casa tua ridono, da tempo non disponibili. Quest’anno, poi, la biblioteca civica di Vigevano organizza una serie di eventi e presentazioni per ricordare Mastronardi in occasione dell’anniversario (il professor Giannini presenterà il suo saggio “La musa sotto i portici” sabato 5 settembre alle ore 18 presso la biblioteca di Vigevano, alla presenza della figlia di Lucio Mastronardi, ndr).

L’esordio di Mastronardi è legato all’interessamento di Elio Vittorini, che lo pubblicò su “Il Menabò”. In seguito, Mastronardi ha intrattenuto stretti rapporti con altri editori-letterati, da Calvino a Sergio Pautasso. Che ruolo hanno ricoperto nella sua carriera letteraria?

Mastronardi, a dispetto dell’immagine di irregolare che gli fu un po’ frettolosamente attribuita (e quindi perpetuata), era molto attento ai pareri critici di autori e amici vicino a lui, e ciò si può capire, secondo me, da quella prima famosa “Notizia su Lucio Mastronardi” di Vittorini, che segue immediatamente “Il calzolaio” nell’esordio sul “Menabò”, e che è rimasta tra le informazioni fondamentali per le successive analisi dei testi di Mastronardi. Vittorini e Calvino contribuirono a disciplinarne gli interessi e lo stile, con sproni a volte anche provocatori ma efficaci e ascoltati. Con tutti gli intellettuali che lei ha indicato, Mastronardi volle tenere aperto un dialogo con lo scopo di riflettere sul come fare letteratura.

Al centro della trilogia di Mastronardi c’è Vigevano con i suoi abitanti, nei primi anni Sessanta del "boom". Cosa ha rappresentato Vigevano, e più in generale la provincia, per Mastronardi?

Vigevano ha rappresentato lo spazio conchiuso e controllabile che Mastronardi ha potuto conoscere in ogni dettaglio, e quindi raccontare con la forza e l’intuizione artistica necessarie per creare un’opera narrativa capace di parlare a tutti. In fondo la sua città e la sua provincia aspirano a diventare un modello di città e di provincia che tutti i lettori dovrebbero poter riconoscere come la loro. Mastronardi ha dato un esempio di quell’impaesamento di cui parlava il critico spagnolo Ortega y Gasset come chiave per creare un romanzo: lo scrittore deve riuscire a fare interessare i lettori ai suoi personaggi, personaggi della quotidianità a cui i lettori devono potersi in qualche modo avvicinare diventando essi stessi “provinciali transitori”, residenti di quei luoghi…

La trilogia di Vigevano è composta da un calzolaio, un maestro e un meridionale. Perché Mastronardi ha scelto proprio questi tre “tipi” e non altri?

L’osservazione di quello spazio limitato che Mastronardi si era scelto – Vigevano – gli ha fatto individuare in quei tre personaggi il più forte potenziale narrativo. Avevano il più forte potenziale narrativo perché erano i tre tipi che meglio rappresentavano, ai suoi occhi, i tratti peculiari della città. Scegliere un calzolaio, un maestro e un meridionale non vuol dire però scrivere le loro biografie. I lettori capiscono subito che partendo da queste figure minime, Mastronardi esplora la vita di una provincia universale nei suoi disordinati e scabri rapporti umani che lui racconta con disperata lucidità.

Secondo Asor Rosa, con la sua trilogia Mastronardi avrebbe voluto rappresentare le contraddizioni del capitalismo. È d’accordo?

Asor Rosa ha bene sottolineato la desolante immagine della società italiana del dopoguerra in preda al frenetico sviluppo industriale che appare dalla trilogia mastronardiana. Ma pur tenendo conto della posizione critica di Lucio Mastronardi verso quella società, e del suo impegno per denunciare le pericolose condizioni di lavoro nelle fabbriche della sua città, intendere la sua opera come un progetto di rappresentazione delle contraddizioni del capitalismo non coglie appieno il valore degli scritti di Mastronardi. I suoi personaggi non sono portatori di univoci e consapevoli messaggi di classe, quanto di disagio esistenziale. L’obiettivo vero di Mastronardi è raccontare: obiettivo eticamente nobilissimo, in quanto si rivolge con sincerità ad un pubblico di lettori che vuole avvicinare a sè in un viaggio dove forse non tutto si può capire, ma su cui si può riflettere e far riflettere.

La vita di Mastronardi è segnata da un grande cambiamento: l’abbandono di Vigevano e il trasferimento a Milano, parallelo all’abbandono di casa Einaudi a favore della Rizzoli. Cosa l’ha portato a rompere con la casa torinese e con la sua città?

Il dialogo interrotto con Calvino portò lo scrittore ad una riflessione sull’impegno editoriale. Ritenne più opportuno affidare i suoi nuovi lavori ad una nuova casa editrice. Sviluppi problematici nel suo lavoro nella scuola – in parte nati dalle polemiche suscitate dal suo “Maestro”, attaccato da alcuni dei suoi colleghi insegnanti – lo portarono ad accettare ruoli slegati dall’insegnamento nella vicina Abbiategrasso e poi a Milano.

Tesio ha collegato la figura di Mastronardi a quella di Luciano Bianciardi. Altri vedono  un parallelo con Giovanni Verga. È d’accordo?

Bianciardi per la categoria dei vinti e Verga per la decisione dell’osservazione costante sullo spazio minimo della provincia – l’impaesamento insomma – sono due nomi senz’altro avvicinabili a Mastronardi. Alcune caratterizzazioni di personaggi bianciardiani rimandano alle famiglie in crisi di Mastronardi. E certamente Mastronardi fu influenzato dal microscopio verghiano su Aci Trezza. Inoltre Verga è un nome fatto da Mastronardi stesso quando, in un’intervista, disse che se il primo fosse nato a Vigevano avrebbe scritto i Malavoglia vigevanesi…

Quali altri autori di riferimento accosterebbe allo scrittore di Vigevano?

Io aggiungerei anche Moravia, per l’amarezza inarrestabile nel descrivere il masochismo di cui i suoi personaggi sono vittima; un masochismo che è spia di disagio esistenziale e alienazione che invade il novecento letterario europeo. La lettura di Agostino di Moravia, libro molto apprezzato da Mastronardi, fornisce poi un’altra prova di vicinanza tematica e stilistica col Mastronardi del “Maestro” e di “A casa tua ridono”. Sembra che il bambino Agostino prefiguri la fissità dei ruoli su cui si infrangeranno le speranze degli adulti Mombelli, del “Maestro” e Pietro, lo sconfitto dell’ultimo romanzo.

Un’ultima domanda: nel suo saggio La musa sotto i portici, lei parla del ruolo fondante del caffè per i due scrittori. Cos’è "il caffè" nella poetica di Mastronardi?

Da sempre al centro della vita sociale della provincia italiana fino al secondo dopoguerra, il caffè è stato punto d’incontro di clienti di ogni tipo, dalla rispettabilità più o meno specchiata, ma sempre attratti dalla possibilità di ritrovarsi in una zona franca, senza l’impegno degli oneri organizzativi che sarebbero stati veri in una casa, o al lavoro. Il caffè per questi scrittori, che lo hanno frequentato assiduamente, ha avuto quindi la funzione di catalizzatore di storie: per Mastronardi e Chiara è, rispettando la tradizione, lo spazio preferito per il confronto verbale e di idee tra i loro personaggi, da cui nascono le storie che raccontano.

Un luogo d’incontro e di scambio, dunque, tanto per lo scrittore quanto per i suoi personaggi…

Sì. Nei caffè di Mastronardi il confronto tra i personaggi mette in scena, sottolineandolo in modo esasperato, la finzione di un rapporto sociale da cui i personaggi non riescono ad uscire, bloccati per loro inettitudine in maschere grottesche. Nella “Musa sotto i portici” ho esplorato i molteplici virtuosi contatti tra il topos culturale del caffè e le opere dei due autori, per entrare nelle loro officine letterarie e mostrare il loro ruolo di primo piano nel ricco panorama del novecento letterario italiano.