Il malcontento nel Pd (e Di Pietro) preoccupano Bersani più della manovra

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Il malcontento nel Pd (e Di Pietro) preoccupano Bersani più della manovra

07 Dicembre 2011

La cotta per lo stile bocconiano, la declamazione orgogliosa dell’imperativo del rigore, l’annuncio della nuova era, il plauso incondizionato al Professore. Tutto archiviato. Come da copione, a 48 ore dal varo della manovra, nel Partito Democratico è tempo di dubbi, timori, mugugni e mal di pancia. Il commento più soft, firmato anche da Pierluigi Bersani è: “Si poteva fare molto meglio”. Quelli di intensità media denunciano il malessere per una eccessiva timidezza su alcune misure, leggi patrimoniale, e un eccessivo interventismo su altre, leggi pensioni. C’è poi la fascia degli arrabbiati, quelli del “peggio di così non poteva andare, non c’è equità e continuano a pagare i soliti noti”, quelli che come il deputato torinese Stefano Esposito annunciano che “così com’è io la manovra non la voto. Io vivo tra il popolo e conosco bene l’umore della gente”.

E’ un amaro risveglio dall’illusione dell’investimento a costo zero nel governo tecnico, quello del Pd. La caduta in un groviglio destinato a intrecciarsi ostinatamente ogni qual volta si cerca di districarlo. C’è la pressione della base con cui fare i conti, con quelli che proprio non possono digerire l’innalzamento dell’età pensionabile o la mancata indicizzazione delle pensioni al costo della vita. Oppure c’è lo sciopero firmato Cgil a cui, come in un riflesso pavloviano, alcuni esponenti del Pd pensano addirittura di poter partecipare, nel classico schema schizofrenico del partito di lotta e di governo. E poi c’è il nuovo fronte caldo, quello della competizione con l’Italia dei Valori, spina affilata difficile da estrarre dal corpo del partito di Via del Nazareno. Antonio Di Pietro, fiutata l’aria e i malumori diffusi nell’opinione pubblica, coglie la palla al balzo e ci va giù duro. “Per una manovra come quella varata da Monti non serviva un governo di professori. L’ Idv non può votare la fiducia, perché è un testo che toglie alle fasce sociali più deboli, tassa la prima casa, sacrifica i pensionati al minimo, aumenta le tasse” aggiunge Di Pietro che annuncia “una contromanovra”. Il leader Idv infine, chiede che si voti in primavera ed è già in campagna elettorale.

In serata arriva la dura replica di Bersani «a noi non interessa vincere sulle macerie del Paese, finora da Di Pietro avevo sentito parole ragionevoli ma ora sono venute parole che non condivido e dico che se fa così andrà per la sua strada”. “Noi difendiamo i lavoratori se invece altri mettono prima interessi elettorali se ne assumono la responsabilità” aggiunge il leader del Pd, archiviando di fatto la foto di Vasto che vedeva insieme Pd-Idv-Sel.

Se Di Pietro prepara la sua contromanovra, è in movimento anche il Pd che ha messo a punto un documento in cui si afferma “la manovra d’emergenza è inevitabilmente dura ma poteva essere più equa”. Il Pd  elenca ben quattro punti del decreto sui quali si chiede di intervenire: pensioni, casa, evasione e investimenti. Prima di tutto, insistono, bisogna portare a circa 1400 euro, tre volte la minima, le pensioni che mantengono l’adeguamento all’inflazione. Per farlo, la proposta è di aumentare la tassazione dei capitali riportati in Italia tramite scudo fiscale dall’1,5% al 2%, intervenire sulle dismissioni e sull’asta delle frequenze tv. Sulle pensioni la richiesta è quella di un’adozione più morbida e graduale della riforma. Strategicamente l’ipotesi è quella di porre la fiducia su un eventuale maxiemendamento del governo che accolga alcune modifiche dei partiti di maggioranza, in modo da non allungare i tempi del varo del decreto “salva Italia” da parte del Senato, previsto tra il 20 e il 22 dicembre. Il problema è come dialogare con il centrodestra e il Terzo Polo, senza essere accusati di intelligenza con il nemico o essere immortalati in una foto che rischierebbe di restare stampata nella mente degli elettori. In ogni caso difficilmente si potrà derogare da una blindatura a meno di esporsi a trappole e “provocazioni” targate Idv e Lega. “Provocazioni” nelle quali più di un parlamentare democratico potrebbe finire per cadere felicemente e con tutte le scarpe, dando libero sfogo alle proprie naturali convinzioni.