Il Manifesto Laburista di Brown per conquistare il voto moderato
14 Aprile 2010
Gordon Brown parte all’attacco nella nuova campagna per le elezioni generali del prossimo 6 maggio e lo fa presentando un programma di partito che mira a conquistare il voto della middle class inglese delusa e colpita dalla crisi economica. Il premier tocca i punti più caldi per l’elettorato britannico: immigrazione, sicurezza e riforme. Una mossa che potrebbe essere interpretata come una sorta di rielaborazione della eredità del "New Labour", una politica progressista e insieme conservatrice.
“Venire in Gran Bretagna è un privilegio e non un diritto”, ha detto tra le altre cose il leader dei Labour che, secondo molti esperti, punta alla quarta conferma del partito al potere, dopo i tre mandati dell’era Blair. La gente, si legge nel Manifesto di 76 pagine presentato ieri dai laburisti a Birmingham, “ha bisogno di sapere che l’immigrazione è controllata, che le regole sono ferme e chiare”. Secondo il programma, i rifugiati troveranno protezione ma il sistema a punti che disciplina gli ingressi sarà reso più severo, si intensificheranno le “azioni contro le migrazioni clandestine”, negli uffici di collocamento si creeranno corsie preferenziali per i lavoratori locali, e saranno sbarrate le porte alla manodopera non qualificata che arriva “da fuori l’Europa”.
La parola d’ordine sull’immigrazione è quindi “tolleranza zero”, partendo innanzitutto dalla lingua: imponendo un test di conoscenza dell’inglese per gli stranieri che vogliono ottenere un posto di lavoro nel settore pubblico. Fino ad oggi, questo requisito veniva richiesto solo ai medici extracomunitari, insegnanti e agenti di polizia. Ma se il Labour Party dovesse rimanere al potere, Brown ha promesso che chiunque voglia ottenere un posto pubblico dovrà superare un esame di lingua più difficile, colpendo specialmente categorie come gli assistenti sociali, gli amministrativi, i funzionari di sostegno alla comunità e gli infermieri. Ai candidati verrà poi chiesta anche la conoscenza dei “valori e delle tradizioni del popolo britannico”.
Si tratta di una contromossa all’idea avanzata da David Cameron di frenare il flusso immigratorio e portarlo ai livelli degli anni ‘90. Una proposta che, prima ancora di essere presentata al pubblico, è stata bocciata dai maggiori gruppi di potere economici della City, in primis il London First che rappresenta i più importanti gruppi bancari e le maggiori compagnie britanniche. Le lobby di potere, infatti, sostengono che tale mossa, in un momento in cui l’economia nazionale non è ancora riuscita a riprendersi, minaccerebbe la competitività inglese. Oggi i Tories hanno dovuto difendersi dalle accuse di aver giocato “la carta razziale” per ottenere più voti.
A Birmingham, Brown ha esordito con lo slogan “un futuro più giusto per tutti”. Nel suo discorso, ha attaccato “gli slogan vuoti di significato” del rivale Cameron. Alla base del nuovo manifesto elettorale, l’economia, la tecnologia, innalzamento dello standard di vita dei britannici, il sostegno ai servizi pubblici come salute, istruzione e sicurezza, e rafforzamento della giustizia sociale. Non mancano le riforme parlamentari (per impedire i doppi incarichi) e quelle costituzionali. (Per quest’ultimo tema, Brown vorrebbe che entro il 2015 – quando sarà celebrato l’anniversario della Magna Carta – venissero delineati i principi di una carta costituzionale scritta trovando l’intesa tra tutti i gruppi.) Ma anche la promessa a non aumentare le tasse sul reddito, più riforme del settore pubblico e la proposta di affidare ad altri gestori scuole, ospedali e polizie locali che non raggiungono i livelli richiesti.
“Oggi presento un piano radicale ma realistico per la Gran Bretagna che inizia con l’assicurare la ripresa e confermare questo come un Paese più prospero, più verde e più equo”, ha detto Brown ai suoi simpatizzanti, sottolineando che il partito non metterà a rischio la fragile ripresa in atto, dopo la peggiore recessione dal secondo dopoguerra, “con forti tagli al settore pubblico quest’anno”. Il premier, come detto, ha promesso che non aumenterà la pressione fiscale. Discorso che potrebbe non valere per l’Iva anche se, ha garantito il leader laburista, non su prodotti “sensibili” come i generi alimentari. “I nostri piani di riduzione del deficit funzionano senza aumentare l’Iva, quelli del partito conservatore prevedono invece un aumento”, ha attaccato il premier. Immediata la replica dell’opposizione. Liam Fox, ministro ombra alla Difesa, ha puntato il dito contro “un’economia distrutta, una società rovinata e una politica fallimentare” accusando Brown di aver fatto promesse non mantenute per 13 anni. “È tempo di cambiare”, ha aggiunto Fox.
Il primo ministro ha deciso di giocare quindi la partita in attacco, riconoscendo così che il suo partito sta per affrontare la sfida “della vita” contro i conservatori. I Tories, infatti, sono dati in vantaggio dai sondaggisti. La strategia dei Labour si differenzia da quella dei conservatori sulla velocità per ridurre il deficit di bilancio, che potrebbe superare l’11 per cento rispetto al Pil in questo anno fiscale. Il partito punta a dimezzare il deficit nei prossimi 4 anni, sottolineando che una politica più aggressiva nei piani di riduzione del deficit, come annunciata dai conservatori, potrebbe mettere a repentaglio la ripresa. Nonostante i conservatori siano dati in vantaggio, potrebbero non ottenere una netta maggioranza in Parlamento, portando il sistema inglese al tanto temuto “hug Parliament”, cioè il Parlamento “bloccato” in cui nessuno è vincitore ma soprattutto in cui non c’è abbastanza forza da parte della classe politica per portare avanti una drastica riduzione del deficit. Il maggior incubo per gli investitori britannici.
In questo caso a fare da ago della bilancia sarebbero i Liberal Democratici di Nick Clegg, la terza forza del Paese, che potrebbero entrare in un governo di coalizione a patto, però, che Brown non sia più primo ministro. “Tutti i programmi elettorali del Labour dal 1997 sono pieni di promesse non mantenute, non possiamo credere ancora a quello che dicono”, è l’accusa di Danny Alexander, stretto collaboratore di Clegg. Secondo il Telegraph, alcuni ministri sarebbero arrivati a sostenere a bassa voce che raggiungere un accordo con i liberaldemocratici non solo è la migliore opzione ma anche la più auspicabile perché “proteggerebbe il Labour Party dai peggiori dei suoi tradizionali eccessi”.
Il New Labour, in ogni caso, rischia di mostrarsi "tentennante" di fronte ai Tories e di venire accusato dal suo elettorato di aver voltato le spalle ai tradizionali valori laburisti. La vera svolta avverrà giovedì prossimo, quando si svolgerà il primo dibattito pubblico tra i leader candidati: solo allora si vedrà fino a dove vuole davvero arrivare Brown. Anche se, come sottolinea il Telegraph, non potrà andare molto lontano senza la totale e incondizionata fiducia dei suoi ministri.