Il Marocco o della cappa dell’estremismo sulla primavera araba

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Il Marocco o della cappa dell’estremismo sulla primavera araba

08 Gennaio 2012

Sulla linea che congiunge Damasco a Rabat, si giocano i destini della geopolitica economica, sociale e storica di un’intera epoca. Gas, commercio e intrecci internazionali si fondono con la reislamizzazione forzata del quadrante, sulla scia delle primavere arabe, ora intente a svelare il loro vero volto. Un volto che a prima vista appare improntato solo alla realizzazione di quel califfato universale, la cui guida suprema venne proposta anche a Muammar Gheddafi sul finire degli anni Ottanta e che egli rifiutò senza indugio, segnando da l’inizio di quel percorso che ne decreterà, proprio per mano estremista, la fine cruenta e sanguinosa. Ma la maschera dell’islamismo non può e non deve ingannare. L’estremismo, stante la sua volontà ferrea di sottomissione dei popoli all’islam radicale, ha un obiettivo vero e concreto che si chiama potere geo-economico. Attenzione al gioco delle sponde. A Damasco risiede il cuore delle trame economiche, finanziarie, belliche e politiche del Caucaso intero; infrastrutture e realtà commerciali sul gas fanno capo non solo ad Assad ma anche e soprattutto agli amici russo e cinese e da lì partono gli input sullo sviluppo o meno di alcune zone, fra cui l’Europa stessa.

Tranciando di netto il legame che unisce a doppio filo la Siria e i colossi amici, l’effetto a catena su tutto il sistema economico dell’Europa orientale sarebbe enorme e senza ritorno, se non con un nuovo piano Marshall dai connotati che possiamo ben immaginare. Visto che prima di ogni Piano Marshall c’è sempre una guerra d’urto che ne giustifichi l’applicazione. Con il crollo di questo gioco di specchi la Russia diverrebbe più esposta all’attacco delle forze estremiste cecene, che sfruttano la voglia di indipendenza per esportare jihad globale. Se sommiamo tutto questo con la debolezza, malcelata ma evidente, di Putin e Medvedev, abbiamo la prima sponda. Bombardata da immagini sulla cui fondatezza e concretezza ci sarebbe assai da discutere, soprattutto se ricordiamo l’inganno mediatico che ha rivolto tutto il mondo contro Gheddafi per massacri mai esistiti. Camminando a ritroso lungo la linea del mare Mediterraneo e incontrando nell’ordine Israele, Giordania, Egitto, Libia, Tunisia e Algeria, ci avviciniamo a quella che l’estremismo vorrebbe porre come seconda bandiera a chiudere  il recinto.

Il Marocco, paese in corsa per il futuro, a livello economico, politico, strutturale e sociale, con il Dostur di Mohammed VI (riforma costituzionale) a fare da apripista assieme alla riforma della Moudawana (diritto di famiglia) per un Marocco all’altezza delle sfide della globalizzazione. Il Paese dialoga serenamente con tutta Europa e con l’Inghilterra, stabilendo di volta in volta accordi commerciali e finanziari assai vantaggiosi per i contraenti, soprattutto in relazione alla posizione straordinariamente esposta sulle rotte commerciali che il Marocco può vantare. Ma le elezioni paiono scombinare tutto, con la vittoria, seppure a base elettorale quasi zero del partito islamista Pjd, capeggiato da Abdelilah Benkirane, che diviene poi primo ministro. Ma è la composizione del suo esecutivo a rendere le cose più difficili. O forse più facili, questo dipende dai punti di vista.

Dopo quasi due mesi dalle elezioni, nascono trenta ministeri, di cui una sola donna. Beffa delle beffe, velata e incaricata di gestire il dicastero che si occupa di famiglia. Proprio lei che è l’anti donna per eccellenza, che si è battuta per la chiusura del festival di Marrakech e che non sopporta strappi al suo islamismo ottuso e oscurantista, così tenacemente infastidito dalle attiviste marocchine per i diritti delle donne. Che sa bene ora contro di lei inizieranno una battaglia senza quartiere. Perché non si è dimessa. Perché ha offeso le donne marocchine. Perché quel suo stare all’angolo nella foto di gruppo umilia non lei, che ci è probabilmente abituata, ma tutte le donne che nell’angolo delle proprie case ci mettono i cappotti e non i diritti. Ecco la seconda sponda, pronta ad essere anch’essa chiusa ai rapporti con l’esterno e con l’Europa, che da essa tanto traeva in termini di turismo e di commercio, portandone in cambio risorse e programmi di sviluppo. Estremismo radicale e scalata al potere economico europeo, una linea retta che arriva fino all’indebolimento parziale e poi totale di un continente già provato da una crisi che sta macellando le speranze di crescita. Tutto sulla via della conquista, nè armata né cruenta, delle menti di chi oggi non capisce ma domani saprà bene cosa vuol dire il governo dell’estremismo.