Il meglio… e il peggio delle reazioni al nostro appello
02 Dicembre 2010
di redazione
Pubblichiamo i commenti più significativi che sono giunti in risposta all’appello dei professori "Difendiamo l’Università dalla demagogia". Nella lista troverete non solo opinioni positive ma anche quelle di chi ha voluto manifestare il proprio dissenso attraverso le colonne dell’Occidentale.
PRO RIFORMA
Massimo Balzano – Difendiamo l’università dalla demagogia: Negli anni settanta, quando frequentavo la Falcoltà di Ingegneria Chimica all’Università di Napoli, sulle prime restavo in qualche modo preso dall’"istinto del gruppo" e sentivo forte la tentazione di aggregarmi agli "organizzatori" delle proteste studentesche; a quelli fighi, con la capacità di spacciare autentiche cazzate per verità ispirate da menti eccelse al solo scopo di soddisfare il proprio egocentrismo da figli di papà viziati in eterna vacanza-studio. Ad un certo punto pensai a mio padre, già cardiopatico per i danni della guerra e le preoccupazioni di dover mandare avanti la nostra famiglia, a mio zio che, per questo, si era fatto carico dei miei studi e mi chiesi; " ma io, da fuori-sede, mi metto a far comunella con questi qui?" Grazie a Dio mi sono brillantemente laureato e da allora non più smesso di odiare i furbetti figli di papà "de sinistra", gli sfaccendati di allora, attualmente cinquanta-sessantenni, incistati a calci in culo nella Pubblica Amministrazione, nelle Banche della Repubblica e nei mezzi di comunicazione, cioé in tutti i posti dove si parla molto e si lavora niente. Purtroppo non camperò abbastanza da vederli passare tutti a miglior vita….solo perché le nuove generazioni possano non esserne impestati.
Tamas Kerekes – Condivido pienamente: E ora iniziare a dare valore al merito … nelle università e in tutto il mondo della politica/pubblica amministrazione. Credo che, se questi signori con stipendi da favola, benefit, auto blu, …, fossero valutati come quelli del mondo che produce, finirebbero presto sotto un ponte. Con la meritocrazia potremmo apprezzare, pagare e motivare quei professori e ricercatori che sono veramente bravissimi (ne conosco vari) e oggi sono eguagliati (se siamo ottimisti) con i nipoti dei baroni. E’ ora finire lo scambio voto-benefici : i soldi per sostenere questi benefici semplicemente non ci sono più!
E. Pontieri – Ammiro la Gelmini: Ammiro la Gelmini che osa sfidare un "regime" che non consente nessuna modifica allo status-quo e soprattutto annulla il libero pensiero con caciare assordanti che ricordano tanto le pecore della "Fattoria degli animali". Ha voluto una riforma delle superiori che si sono palleggiati ministri degli ultimi 5 governi e adesso sfida uno degli zoccoli duri della cultura italiana. E chi se ne frega che ha fatto l’esame di procuratore a Reggio Calabria, è molto più virile (dal latino vir=forza) di tutti i suoi colleghi. BRAVA MARYSTAR
Giuseppe Bagnato – Che finalmente si riformi!: E’ davvero scandaloso che per politica e interessi di parte si utilizzino gli studenti (che d’altronde si fanno utilizzare) per le proteste. Nella discussione di questi giorni nessuno si preoccupa dei problemi della nostra Accademia, che sono legati alla mission, alla vision e secondariamente sono anche economici. Questa riforma è fondamentale, ma andrà accompagnata da una maggiore responsabilità degli organi politici e dei docenti affinchè si esca da questa impressione che si ha all’esterno di un luogo di clientele e privilegi.
Angela Ronchini – Riforma Gelmini: Approvo pienamente il Dl Gelmini: è ora che l’Università Italiana riacquisti il prestigio che aveva e che ha prodotto un Enrico Fermi. Purtoppo la fantasia portata al potere nel ’68, non lo ha più laSsciato il potere ed i danni li pagano i nostri ragazzi/e non con la tessera giusta o il parente giusto. Potete inserire il mio nome nell’appello! Grazie Dott.ssa Angela Ronchini
Rino Ceronte – Studenti e politica: La stessa manifestazione studentesca in corso è prova dello stato di modesta preparazione in cui versa la categoria degli studenti. Il loro pensiero è composto da luoghi comuni e slogan gridati con la violenza dell’odio instillato dai tanti cattivi maestri presenti fra professori, politici e addetti all’informazione. In tal caso la colpa non è degli studenti nè solo dei loro professori. Riformare l’università è responsabilità del governo e compete al ministro in carica. Ma chi provvede a quanto esula dalle competenze governative? In un paese civile vi provvede l’opposizione che si dedica alla crescita della coscienza civica in primis con l’esempio comportamentale e quindi con l’informazione in positivo e non distruttiva e gossipara.. Non sono le leggi che danno vita alla democrazia dell’alternanza ma proprio il buon esercizio del ruolo di opposizione rivolto alla crescita di un consenso consapevole necessario per vincere le elezioni successive. Il motto di uno dei miei primi capi era che: chi cerca di mettersi in luce dando del coglione a collaboratori e colleghi si candida al massimo riconoscimento di meno-coglione. Chi, invece, cerca di mettersi in luce vantando le qualità di collaboratori e colleghi si candida al riconoscimento di migliore. Il guaio è che in tal caso bisogna avere i numeri.
Franco Maloberti – Difendiamo l’Università dalla demagogia: Aderisco all’iniziativa Difendiamo l’Università dalla demagogia Franco Maloberti, Università di Pavia. Propongo anche: valutazione che determini una variazione dei risultati di attività didattica + culturale/scientifica che determini una variazione del +/-20% dello stipendio. Possono essere eletti a cariche di qualsiasi tipo solo docenti la cui valutazione didattica + culturale/scientifica è nella fascia superiore al 70% della media dei docenti del raggruppamento disciplinare di appartenenza. I membri del CUN e i rettori che non raggiungono il livello medio di valutazione didattica + culturale/scientifica del proprio raggruppamento disciplinare di appartenenza decadono dall’incarico.
Diego, Roma – Difendiamo l’Università dalla demagogia: Ha ragione da vendere Berlusconi quando afferma che i veri studenti rimangono a casa a studiare, mentre quelli che vanno in piazza sono gente dei centri sociali e studenti fuori corso. Io aggiungerei che ci sono anche i figli di papà, quotidianamente foraggiati dai loro opulenti genitori per vegetare nell’apatia più assoluta, in attesa di essere inseriti da paparino nel mondo del lavoro. Chi non ha simili vantaggi di partenza e, soprattutto, ha voglia di studiare, rimane a casa, nella sua stanzetta, davanti ai suoi appunti ed ai suoi libri (sempre troppo cari) per cercare di arrivare all’agognata meta della laurea, pur sapendo che sarà dura trovare un lavoro. Questa composita massa di persone che va violentemente in piazza, che occupa binari ed autostrade, sicuramente sa contro CHI protestare: facile, la Gelmini e (quello che loro ritengono) il tiranno di Arcore. Ma non sanno nemmeno contro cosa protestano. Protestano contro una riforma che riduce gli sprechi nelle università, onde incanalare le risorse liberate verso quelle università più attente alla formazione che agli interessi della casta docente. Una riforma che mira ad annientare, o perlomeno ridurre, il fenomeno nepotistico (o del baronato) nei nostri atenei, fenomeno che chiunque abbia bazzicato i corridoi universitari ha potuto ben sperimentare. Una riforma che si pone l’obiettivo di porre un freno al proliferare dei corsi di laurea inutili ed incomprensibili e, più in generale, agli sprechi. Una riforma che tenta di eliminare il fenomeno dei precari a vita, cercando di stabilizzare quelli meritevoli. Alla fine questi neosessantottini imbevuti di ideologie protestano contro loro stessi, contro il loro futuro e forse non si rendono conto di essere uno strumento nelle mani conservatrici dei baroni che tentano di mantenere saldi i loro privilegi! E allora, protestino pure… Tanto, come diceva Luigi Einaudi «Del valore dei laureati unico giudice è il cliente»
CONTRO LA RIFORMA
Andrea – Una riforma senza risorse non è una riforma: Da alcuni messaggi ho l’impressione che ci siano elementi personali di "vendetta" legati a ricordi sgradevoli del ’68. Beh, sappiate che a studenti e ricercatori di oggi le vostre beghe non interessano e se ancora vi rode il fegato per i "figli di papà", questo c’entra poco con la situazione attuale e con le politiche che vanno attuate oggi. L’università italiana è quella peggio finanziata dell’OCSE e questo governo ha ulteriormente tagliato i fondi. E la scusa della crisi non serve: negli altri Paesi proprio nel cuore della crisi hanno aumentato, e non diminuito le risorse destinate all’università e alla ricerca. Se non si parte da questo dato basilare, non ha alcun senso fare discorsi sul merito: senza fondi non sarà possibile premiare alcun meritevole. Infatti la maggior parte di loro espatriano, con una perdita netta per il Paese che li ha formati (pagando) fino a 25-28 anni e poi fa chiaramente capire che sono "personae non gratae". E’ stato tagliato il fondo per il diritto allo studio, proprio ciò che dovrebbe permettere di studiare (come previsto dalla Costituzione) agli studenti meritevoli ma privi di mezzi: c’è una prova migliore del fatto che la "meritocrazia" tanto sbandierata dalla Gelmini è una patetica ciancia?
R. D. G. – Ma vergognatevi a raccontare simili fandonie. Questa non è una riforma. E’ la distruzione del pubblico a favore del privato, è il modo per permettere ai politici di avere un maggior controllo dei già truccatissimi concorsi universitari, serve per annientare le poche menti pensanti che non si genuflettono e che hanno il coraggio di denunciare. Le riforme si effettuano ascoltando il mondo accademico, non escludendolo. Se la produzione scientifica effettuata all’interno delle università italiane venisse normalizzata per le risorse, l’Italia sarebbe al primo posto. Abbiate il coraggio di dire che volete difendere una piccola casta che ha sempre ottenuto privilegi, come le altre caste del nostro Paese, inserendo gente inetta ma che è figlio/a, nipote, moglie, amante. Io non ho scheletri nell’armadio, non sono la figlia, la mogli o l’amante di nessuno e, pertanto, posso permettermi di affermare che una RIFORMA SERIA andrebbe affrontata iniziando dalle modalità concorsuali. La moglie, la figlia, il figlio etc,con questa riforma avranno il maggior vantaggio. Ricercatori a td che verranno inseriti nel ruolo dei professori associati AUTOMATICAMENTE. Che bella riforma. EPOCALE! Complimenti per il vostro lavoro a difesa degli inutili e, dimenticavo: VIVA L’ITALIA che vi ha permesso di fare sempre quello che avete sempre voluto. Fate "facite o gallo ncoppa a monnezza". Traduzione: voi fate il gallo sulla spazzatura. Abbiate il coraggio di fare i galli con gli altri galli, di confrontarvi con chi all’estero lavora seriamente e sforna premi NOBEL. La ricerca, che a voi non interessa, quella seria, ha bisogno di fondi, non di tagli. Che peccato dover rimanere ancora altri 18 anni in questa discarica che nessun termovalorizzatore sarebbe in grado di distruggere.
Andrea Zhok – Notazione a margine: Faccio sommessamente notare ai frettolosi firmatari che 1) E’ arduo vedere per quale motivo nel DDL si moralizzerebbe alcunché, tantomeno gli organi di ateneo: l’accorpamento dei poteri nel Consiglio di Amministrazione sarebbe moralizzante? Perché mai? Le ASL che hanno un sistema analogo sono enti moralizzati? 2) Nel DDL non si limita alcuna frantumazione di sedi, ma si limita a stabilire dei percorsi per la fusione, nel caso in cui ci sia la volontà di farlo. La costituzione di mega-dipartimenti è solo un trasferimento di funzioni dalle facoltà, senza risparmi di spesa (e con rilevanti problemi di gestione didattica). 3) Nel DDL non si fissa proprio alcun criterio di valutazione, né per le università, né per i docenti, ma si limita ad asserire che dovranno essere forniti dall’ANVUR. Inoltre: 4) Il nesso tra la presente crisi finanziaria e la condizione economica dell’università è inconsistente. Il taglio selvaggio di Tremonti (legge 133) risale ad un anno e mezzo prima dello scoppio della crisi finanziaria, ed i dati OCSE antecedenti alla crisi mostrano come l’Italia fosse già il penultimo paese EU nel finanziamento dell’istruzione terziaria (pubblica e privata). Premesso che è vero che in questo DDL ci sono anche cose buone, sarebbe bene non accusare così leggermente di demagogia chi lo contesta sapendo di cosa parla. Cordiali Saluti, AZ
Enrico Grisan – il passato ed il futuro: Cari sottoscrittori dell’appello, che ci sia bisogno di una riforma è chiaro a tutti coloro che hanno a cuore l’Università, il Paese ed il suo Futuro, e non vogliano invece mantenere entrambi nella palude in cui si trova. Quello però di cui si dovrebbe discutere è se il disegno di legge riesce tradurre in pratica gli obiettivi totalmente condivisibili che esprime nel suo Art. 1, i principi ispiratori. I ricercatori, i professori, i precari che salgono sui tetti e scendono nelle piazze si sentono costretti a ciò perché ogni tentativo dei passati sei mesi di discutere col Ministro del merito delle questioni non ha ricevuto risposta. E, si badi, le proposte e gli emendamenti portati all’attenzione del Ministro e dei parlamentare, andavano proprio nella direzione dei principi ispiratori della riforma, cercando di modificare radicalmente la struttura universitaria. Quello che questa riforma non fa, al di là delle parole dei suoi sostenitori, e proprio dare una nuova forma (riformare), ma invece rende legge gli aspetti più deletereri dell’attuale sistema. Poca e omeopativa valutazione, nessun aspetto delle carriere legata ai risultati, potere decisionale accentrato nelle mani dei "baroni". L’aspetto più sorprendente è che coloro che protestano sono tacciati di voler mantenere lo status quo e sostenere i baroni. Lascio a tutti voi osservare chi è che protesta (in maggioranza ricercatori, precari, studenti) e quale stato avrebbe interesse a mantenere e quale sia la loro età media, e chi siano coloro che invece sostengono la riforma (rettori, professori ordinari, professionisti), e quali siano le rendite di posizione che essi avrebbero interesse a difendere. Ora, dall’osservazione di chi protesta e chi no: a chi si rivolge la riforma? Chi vuole cambiarla o chi vuole lasciarla così? L’università del futuro o quella del passato?
A.F. – Ben lungi da essere questa una mia adesione, vi diffido dal diffondere falsità e menzogne, di prepotenti purtroppo è pieno il governo, e l’unica verità è che l’università si regge sul lavoro dei ricercatori come me, che a 51 anni si trova fuori dai giochi, privo di ragionevoli speranze di carriera, e sbeffeggiato come "fannullone" da parte di quello che dovrebbe essere il proprio datore di lavoro, ma che (sempre il rettore) nel fiutare l’odore dei soldi, arriva addirittura ad appoggiare le nostre proteste.
Rosario Nicoletti – Molti dubbi: Le parti apprezzabili del DDL, lo spiraglio aperto sulla meritocrazia, la valutazione degli Atenei e dei Docenti, sono tutte di là da venire, richiedendo per l’attuazione un grandissimo numero (forse 27) di decreti. Questi, vedranno mai la luce? Con la legge si pretende di combattere immediatamente il malaffare ed il nepotismo, elevati a sistema di gestione dai “baroni”. Peccato che questi ultimi non esistono più da molti anni: ai baroni di una volta si sono sostituiti mediocri politicanti, che, pur appartenendo alla numerosa schiera dei professori universitari, trovano la politica accademica, lo scambio di favori, ed i vantaggi del potere più gratificanti della didattica e della ricerca. Si tratta di una vera “nomenklatura”, che i meccanismi elettivi e gli astuti compromessi rendono inamovibile. Paradossalmente, il DDL amplifica i poteri di questi politicanti. Le pallide modifiche introdotte nella governance aumentano i poteri del Rettore; poteri già oggi eccessivi, e che sono una delle principali cause del degrado dell’istituzione. Restringendo poi il numero dei componenti gli organi decisionali, senza peraltro modificare i meccanismi della loro formazione, diverrà più appetibile il potere, che potrà essere esercitato con maggiore arroganza. L’altro aspetto rilevante, il reclutamento, non fa che peggiorare l’esistente. L’idoneità, come insegna l’esperienza di mezzo secolo, non verrà negata ad alcuno; la selezione verrà demandata alle scelte locali, ricostituendo – in pratica – una situazione che sembrava superata, quella dei vituperati “concorsi locali”. Così, anche qui si potrà esplicare nella forma più brutale il potere delle nomenklature che reggono gli atenei.
A.C. – Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma le motivazioni addotte da questa iniziativa si basano su affermazioni solo teoriche. In pratica questa non-riforma consegna l’università pubblica ancora di più ai poteri forti anche esterni all’istituzione, è disincentivante perché blocca le progressioni di carriera legandole ad una pretesa di "meritocrazia" tutta da verificare ma sicuramente in mano ad una ristrettissima cerchia di potenti, non risolve il problema del precariato e non offre novità sostanziali all’utenza. Questo è il risultato di idee più vecchie del paleolitico, favorite dalla situazione politica scaturita dalle ultime elezioni che permette di infischiarsene, a chi governa, del dissenso. A me personalmente importa poco (sono quasi al termine). Chi deve rimanere ancora per dieci-venti anni (o più) avrà vita dura. Cordiali saluti e auguri!
Salvatore Demartino – Commento all’appello pro Gelmini: Prima di tutto e’ bene presentarsi sono entrato all’universita’ giusto nel 68 unio dei cinque figli di un postelegrafonico cosi’ sgombriamo il campo dai fighini. Ricordo una presenza molto variegata di studenti provenienti da classi sociali diverse. Potrebbe oggi un impiegato (di concetto come si diceva allora) mantenere cinque figli prima al liceo e poi all’università? non credo. Non eravamo particolarmente studiosi brillanti si ma non studenti perfetti e poi adesso come allora il reddito di mio padre lavoratore dipendente era(sic!!) alto erano piu’ bassi quelli di qualche fighino il cui ricco genitore era uno sconosciuto per il fisco. Non mi piace un mondo nel quale chi e’ povero studia se e’ bravo(chi lo decide chi ha fatto ministri nani e ballerine?) e chi e’ ricco studia comunque.Per parlare di riforma dell’ universita’ sarebbe necessario parlare dell’universita’ conoscerla e stabilire quale e’ lo scopo di una istituzione come questa, forse si scoprirebbe che i dottorandi italiani all’estero non sono il frutto del genio italiano ma il risultato di un alto livello di formazione raggiunto nelle universita’ italiane. Naturalmente anni di tagli al badget e di interferenze della (cattiva) politica nei concorsi hanno gia’prodotto danni ma una riforma che trasforma l’universita’ in una delle tante strutture clientelari malfunzionanti del nostro paese non servirebbe, e non avrebbe spazi per persone come me che figlio di un impiegato postelegrafonico sono diventato professore ordinario di fisica sperimentale. Non sono d’accordo con l’appello. salvatore de martino