Il “Merkenzi” e l’Europa di Juncker

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Il “Merkenzi” e l’Europa di Juncker

05 Luglio 2014

"Spitzenkandidaten" è una parola che in questi giorni rimbalza spesso sulla stampa inglese e tedesca. Dopo anni in cui il presidente della Commissione europea veniva scelto a valle di incontri bilaterali e sempre nell’alveo franco-tedesco, la situazione è cambiata. La designazione di Jean-Claude Juncker è arrivata dopo che dei frontrunner, appunto, dei candidati veri, si sono sfidati apertamente e in modo trasparente sulla base delle appartenenze alle diverse famiglie politiche europee.

Ma l’Europa di Juncker lascia aperte una serie di questioni problematiche. La prima è la posizione polemica e combattiva assunta dalla Gran Bretagna di Cameron che, dopo l’exploit dell’Ukip, molto si è spesa per bloccare Jean-Claude, considerato l’uomo dell’apparato e delle burocrazie: si veda l’impietoso ritratto che ne ha fatto Ambrose Evans-Pritchard sul Daily Telegraph. Cameron minaccia sfracelli, usciremo dalla Ue!, probabilmente esagera ma vista l’aria che tira a Londra un risultato a effetto da un possibile referendum sulla permanenza nella Ue non sarebbe una sorpresa.

La seconda novità è che l’egemonia soft della Germania merkeliana sul resto dell’Europa nei prossimi cinque anni, l’agenda di "Europa 2020", non sembra salda come lo era un tempo. La Francia di Hollande ha gli stessi problemi di Cameron con i frontisti antieuro, oltre a un debito pubblico che non sarà il nostro ma può provocare grossi guai se i dettami del fiscal compact resteranno quelli. Il gioco di sponda tra Berlino e Parigi è agli sgoccioli.

Terzo aspetto è il ruolo inedito che può giocare l’Italia nella partita. Insieme alla Merkel, e più della Merkel, il presidente del Consiglio Renzi è uscito vincitore dalle elezioni europee e sopratutto ha dimostrato, con i suoi alleati, che è possibile stoppare gli eurofobici prendendoli in contropiede. Il governo italiano, poi, è stato lo swing voter che ha permesso, schierandosi, la designazione di Juncker. L’Italia guida il semestre europeo e finché la commissione non si sarà insediata, se ne parla a ottobre, Renzi può tenersi la scena come ha fatto in questi giorni.

L’Italia insomma è in grado di mediare tra gli "spender" e i "rigoristi", tra chi vuole margini di manovra per crescere (l’ormai celebre ‘sforamento’ del 3 per cento o la questione degli investimenti infrastrutturali da non conteggiare) e chi difende il bastione della austerity chiedendo, giustamente, che le riforme strutturali nei Paesi che hanno rischiato il default siano completate. L’Italia insomma può controbilanciare la Germania provando a dare uno sbocco propositivo alle spinte euroscettiche.

In questo senso, e chiudiamo il cerchio, Roma può essere il partner di cui Berlino ha bisogno per evitare uno scontro frontale con Londra che in fondo nessuno vuole davvero. Le parole di ieri di Renzi sulla Gran Bretagna, la citazione di Adam Wayne fatta dal premier, vanno in questa direzione. Una riforma dell’Europa interessa anche a Cameron, non solo a Renzi: sulle questioni economiche ma anche su altri temi chiave come l’immigrazione.

"Il Merkenzi potrebbe essere una buona notizia per l’Europa e per la Gran Bretagna", ha scritto il Financial Times. A patto che l’Italia non si faccia trovare impreparata sul fronte delle riforme economiche ed istituzionali  che altri Paesi europei hanno già messo a regime negli anni passati. Il premier ha dalla sua il fatto che nella maggioranza può contare su alleati che siedono nel PPE  e lo spronano su temi chiave come la riforma del mercato del lavoro.

La cancelliera Merkel non può permettersi di perdere un partner strategico dal punto di vista finanziario e del libero mercato qual è la Gran Bretagna. Lo stesso ministro delle finanze tedesco, Schauble, ha definito una potenziale uscita della Gran Bretagna dalla Ue "inaccettabile". Se Londra lasciasse l’Europa, l’egemonia tedesca passerebbe inesorabilmente ai Paesi della Europa meridionale ed orientale che al di là della austerity non sono proprio delle schegge quando si parla di riforme e mercato. Ora più che mai a Frau Merkel serve "flessibilità".

Spitzenkandidaten sarà una parola che probabilmente nei prossimi mesi continueremo a sentire spesso, a cominciare dai negoziati sulle nomine dei commissari.