Il Messia Obama è arrivato ma senza miracoli
20 Gennaio 2009
di redazione
D’accordo l’evento è storico. Non fa una piega, vedere un afroamericano insediarsi alla Casa Bianca ci dà la conferma che in America tutto è possibile, yes we can, I have a dream, e via dicendo. Condividiamo pure le teorie di politologi e sociologi vari, i quali, visti i tempi, spiegano come il popolo americano abbia, mai come oggi, bisogno di fiducia e di sognare. E che Barack questo sogno lo incarni si è capito. E poi non dimentichiamoci che gli americani amano queste adunate oceaniche, con il contorno di palloncini colorati, tazze e bicchieri con il faccione di Obama, t-shirt e così via. Ma permetteteci qualche dubbio, riflessione e perplessità.
Non tanto sul Presidente, quanto sulle aspettative che ruotano intorno a lui. Già i numeri dell’evento parlano da sé: tre giorni di cerimonia, centociquanta milioni di dollari il costo per organizzare il tutto, oltre ventimila gli uomini impegnati per garantire la sicurezza. Per gli addetti ai lavori non c’è dubbio: la cerimonia di Obama sarà il più grande evento della storia degli Stati Uniti. Lasciamo stare la polemica sui costi, a conti fatti la cerimonia peserà sulle tasche dei contribuenti per circa cento milioni di euro, il resto delle spese sarà coperto da sponsor, privati e televisioni, e sul fatto che magari, in tempi di crisi, il tutto sarebbe potuto essere fatto con maggiore parsimonia. Concentriamoci invece sulle tre milioni di persone attese a Washington, provenienti da ogni dove, e sulle attese che hanno verso Obama.
I numeri stratosferici, le spese folli, questa eccitazione perpetua. Tutto, visto da qua, pare esagerato. Nemmeno fosse il Messia sceso dal cielo. Saprà allora Obama ridare la vista ai ciechi? Non crediamo. Forse farà camminare gli storpi? Ne dubitiamo. Certo, quello di oggi sarà il Sogno americano che si concretizza e chi sarà nella capitale Usa assisterà ad un pezzo di storia. Ma ora, e dateci anche dei provinciali, da queste parti per sognare e sperare spendiamo meno. Sarà che siamo più smaliziati e alle favole smettiamo di credere da bambini.