Il miele della sera

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Il miele della sera

24 Agosto 2005

Il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione è un evento complesso e multiforme a cui i canoni del giornalismo politico si adattano spesso con difficoltà. Quando nella narrazione giornalistica dei fatti del Meeting si vogliono per forza utilizzare le forme della cronaca “di palazzo” – il retroscena, il gossip, l’indiscrezione, – si arriva spesso a perdere la sostanza di quanto accade in quel consesso.

E’ quanto è successo clamorosamente al Corriere della Sera e al drappello di inviati dislocati a Rimini. Il principale quotidiano italiano ha seguito il Meeting con un occhio bendato e un altro nel buco della serratura. Ha infatti deciso a tavolino una lettura a tesi degli eventi che suonava più o meno così: l’intervento inaugurale del Presidente del Senato è stato così integralista, così razzista, così guerrafondaio che persino la platea dei ciellini, che pure sono già sul quel crinale di pensiero, è inorridita e ha voltato le spalle al suo ospite.

Da quel momento, ogni intervista, ogni cronaca, ogni editoriale (si salva, ma solo nelle premesse, quello di Gianni Riotta) doveva piegarsi a dimostrare quella tesi. Così nel calderone assieme alla zizzania del Corriere sono finiti il portavoce Robi Ronza, il direttore di Tempi, Luigi Amicone, lo stesso Cesana, e un drappello di prelati come Martino e Bertone e persino don Julian Carron, il successore di Don Giussani. Mancava Messori, perché gli è stato rubato dalla “Stampa”. E non c’è il Patriarca Scola, perché non si presta.

A chi, come tanti, si fosse fermato a leggere i titoli del Corriere di questi giorni la rottura tra Pera e Cl sarebbe parsa brusca e irrevocabile. In realtà anche solo a leggere gli stessi articoli del Corriere o le cronache di altri giornali, o meglio ancora le dichiarazioni testuali degli interessati si ottiene invece l’impressione opposta. La stessa impressione che ha avuto chi era presente e ha contato le 34 volte che Pera è stato interrotto dagli applausi della platea.

Guardate ad esempio l’intervista a Carron del Corriere del 24 agosto. L’occhiello dice: «Pera? La difesa dell’identità non si impone con la forza delle armi”. Messo così sembra un sonoro rimprovero al presidente del Senato. Ma leggete cosa dice davvero Carron nella stessa intervista: «La difesa con le armi, quando è legittima difesa è sempre stata un punto della dottrina sociale della Chiesa. Il problema semmai è a monte: avere qualcosa da difendere”. Chi avesse ascoltato o letto l’intervento di Pera e non solo la pantomima che ne hanno fatto il Corriere e altri i giornali coglierebbe non certo un rimprovero ma una forte e illuminante consonanza di idee. Che cosa si aspettava Corriere, che Pera fosse acclamato seduta stante leader di Cl? Che l’intera classe dirigente del movimento facesse ala alla ascensione di Pera al trono di Comunione e Liberazione? Basta davvero poco per capire che un simile esito oltreché fantascientifico, non era negli interessi e nelle intenzioni né di Pera né di Cl.

Esiste un giornalismo dei fatti e un giornalismo delle opinioni. E poi esiste il giornalismo dell’attuale direttore del Corriere, quello dei desideri, della “linea”. Come ai bei tempi di Potere operaio, quando però non usava la penna bensì altri mezzi per convincere, s’è messo in testa di raddrizzare il legno storto dell’umanità. Guardate le sue uscite recenti. Gli Italiani devono votare sì al referendum: una tranvata. La Chiesa non ha diritto di parlare: uno schiaffo. L’intervistato Cohen-Bendit oltraggia il Papa: un milione di giovani a Colonia. Il Meeting di Rimini deve scomunicare Pera: una testata nel muro. Il confronto e l’alleanza fra laici di destra e credenti non deve esistere: uno sberleffo. Si deve fare il “grande centro”: un naufragio. E via di séguito, delusione dopo delusione. Dicono che lo vogliono scalare. Sarebbe un grave errore. Un direttore così, che non ci indovina mai e non gliene va mai in porto una, va lasciato dov’è: porta miele ai suoi avversari.