Il migliore dei mondi possibili

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Il migliore dei mondi possibili

Il migliore dei mondi possibili

18 Settembre 2011

Anni fa siamo stati a Rio de Janeiro. Questo ferragosto, invece, eravamo nella vecchia casa di famiglia in Valpolicella. E proprio qui, sul crinale di una vallata tutta verde di vigneti così perfetti da sembrare un tappeto è stato come rivivere l’emozione di quel viaggio lontano. A Rio ci aveva davvero colpiti il Redentore in cima alla montagna (o Redentor, que lindo…), lo conosciamo tutti, no? Così grande, così bianco con le braccia spalancate. Non proprio un’opera d’arte, ma di sicuro un‘immagine forte. Qui, sulla valle dei vigneti ci è apparso un altro Redentore, anche lui con le braccia spalancate, ma in movimento, un altissimo stelo bianco che ci ha istantaneamente sedotti con la sua bellezza essenziale. La grande pala eolica.

E avete visto i nuovi elettrodotti a forma di H intorno a Firenze? Apprezzando la loro eleganza ci si rende conto che la struttura di quelli vecchi, brutta e immutata da anni, che noi ormai non notiamo più per abitudine, si può farla diventare bella senza che perda la sua funzione.

E’ il risultato di nuove tecnologie, di nuovi materiali che permettono lo sviluppo di una nuova estetica. Un massiccio ponte romano di pietra è una grande opera, bella e solida, certo. Ma un moderno viadotto autostradale, come quelli che si vedono in costruzione sulla Variante di Valico dell’Autostrada del Sole, trecento metri sospesi fra le bocche di due gallerie, una sottile striscia di cemento chiaro appoggiata a piloni esili come zampe di ragno, ma forti come tronchi, è uno spettacolo (impossibile fino a settant’anni fa) meraviglioso. E per niente offensivo per la natura. Se una cosa è bella, si armonizza all’istante (ma uno deve saper guardare con occhi puliti).

L’Albero degli zoccoli, la cascina, le mucche, i contadini chini sulla terra generosa; tutto questo è una bella illusione da intellettuali, anzi, spesso uno sfumato ricordo d’infanzia di intellettuali vecchi, ma non ha nulla a che fare con la vita vera. Andate a chiederlo al contadino, che oggi ha un trattore, una casa con doccia e riscaldamento e non deve accontentarsi più di sola polenta, e vedrete se non è soddisfatto. E’ che l’immagine del passato, se non la rinnovi, per un po’ rimane romantica, è vero, ma poi ammuffisce.

A proposito di muffa, non vi pare che le crociate per salvare attrezzi e dialetti moribondi o già morti siano un inutile snobismo, per non dire una scemenza? Ogni artigianato nasce dai bisogni della sua epoca; è roba fatta a mano solo perché non c’erano ancora le macchine, ma niente di più. E francamente, la produzione letteraria dialettale (che noi naturalmente conosciamo solo nella versione italiana) è di un’inconsistenza tale che se si estingue nessuno se ne accorge. Le solite leggende della montagna: storie di lupi, orsi, spiriti e streghe. Doppioni di quello che tutte le altre culture hanno raccattato (e poi buttato) nei secoli. Le storie del bosco e il mestolo di legno con cui il nonno beveva l’acqua del torrente sono ugualmente superati. Possiamo tranquillamente lasciarli nella vetrinetta del museo locale. Ma solo per mettere a posto la coscienza, perché altrimenti andrebbe bene anche un baule in cantina.

Il Corriere della Sera del 18 agosto parla delle ultime tribù dell’Amazzonia a cui il governo brasiliano non permette contatti con nessuno. Per tutelarle, dicono, dai rischi della civiltà (di sicuro non si sono consultati con loro, se non altro per sapere se gli andava bene così). Noi siamo convinti che ogni singolo indio di quelle tribù sarebbe arcicontento di farsi un bel bagno in una vasca senza piranha, di avere a disposizione un vermifugo per i suoi bambini e un po’ di cibo decente per la famiglia. Rinunciando in cambio a tutto quello di primitivo, pittoresco e artigianale che piace tanto agli studiosi in poltrona, mentre lui non vede l’ora di liberarsene e civilizzarsi, come d’altra parte abbiamo fatto tutti noi neanche troppo tempo fa. Tenere in uno zoo i nostri fratelli selvatici con la scusa di salvarli dallo stress della modernità invece di aiutarli a uscire dal fango non è poi così civile, dopotutto.

PS. Ci sorprende, a pag. 50 di Repubblica del 25 agosto, un’intervista a Marta Argerich, in cui, anche lei con l’ostinazione di chi ha raggiunto un’età, ripete che, si sa, una volta tutto andava molto meglio di adesso. Mai, mai che si senta qualcuno dire il contrario. Eppure basta una piccola riflessione statistica. Campiamo più a lungo e più sani, mangiamo meglio, non portiamo più gli zoccoli di Ermanno Olmi ma comode calzature e vestiti caldi, siamo informati di tutto, e, ciliegina per noi artisti, possiamo ascoltare, vedere e leggere in un istante, e gratis, tutta l’arte del mondo, comprese le ultimissime novità. Ve la ricordate la storia di Bach che fa a piedi 400 chilometri da Arnstadt a Lubecca per sentir suonare Buxtehude? Oggi un Mp3 avrebbe risolto il problema in pochi secondi.

Dov’è che questi nostalgici cercano il confronto? Non nella realtà, ma nel ricordo che non è mai fedele e ci fa credere quello che vogliamo credere per non sentirci vecchi.

Marta dice, parlando della sua brillante carriera, cominciata a sedici anni con la vittoria al Busoni: “I concorsi sono ancora molto importanti… la competizione, la gavetta. Non mi piace ciò che avviene con i musicisti che emergono ultimamente, hanno subito la major discografica dietro che li spinge pubblicizzandoli”. E allora? Beati loro! Forse la Argerich non si rende conto che anche per trovare uno sponsor c’è competizione e gavetta. E’ cambiata solo la tecnologia che da più visibilità. Ma la solfa rimane sempre la stessa: Chi è bravo viene fuori.

Quasi obbligatoria, a questo punto, la punzecchiatura. E Allevi, allora, dove lo mettiamo? Bisognerebbe chiedere cosa ne pensa la signora Argerich. Comunque noi lo ripetiamo per la millesima volta: Allevi musicista, no. Allevi personaggio, sì. Eccome se è bravo.

PPSS. Paginone sul Venerdì di Repubblica del 26 agosto. Il giornalista Maurizio Cucchi cade dalle nuvole e scopre l’inconsistenza di Allevi. Bene arrivato nel fan club, Cucchi. Ormai siamo in troppi intorno a questo insipido osso. Vi promettiamo di non parlarne più finché non saremo in grado di darvi la grande notizia: Allevi ha imparato a suonare il pianoforte!