Il ministro Barak avverte che la guerra a Gaza sarà lunga e difficile
27 Dicembre 2008
Circa 200 persone sarebbero state uccise e altre centinaia ferite nell’attacco condotto dall’aviazione israeliana su Gaza. Lo dice Muawiya Hassanein, il direttore generale del servizio ambulanze ed emergenze del ministero della sanità palestinese. La maggioranza dei morti sono miliziani e agenti delle forze di sicurezza di Hamas ma tra le vittime si contano anche numerosi civili, non è ancora chiaro quanti. Il ministro della difesa Barak ha annunciato che l’operazione contro Hamas non è finita, “non sarà facile e neppure breve”.
La reazione militare israeliana colpisce per le sue proporzioni e per il numero delle vittime registrato fino a questo momento. Il segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si dice preoccupato per "il bagno di sangue" a Gaza e in una nota ha condannato "l’uso eccessivo della forza da parte israeliana". La Casa Bianca ha chiesto a Tel Aviv di evitare altri spargimenti di sangue tra i civili e l’Unione Europea invita i due contendenti a fermare l’escalation di violenza. Il ministro degli esteri italiano Frattini ha detto che Israele deve salvaguardare la vita di persone innocenti pur nell’esercizio del suo diritto a difendersi. Ma gli israeliani non sono impazziti. Un sondaggio apparso il giorno di Natale sul primo canale della tv israeliana ha evidenziato che il 60 per cento della popolazione appoggia l’intervento militare a Gaza.
La settimana scorsa Israele aveva riaperto dei canali per far passare qualche camion carico di medicine e viveri allentando l’embargo. Le diplomazie di Tel Aviv, del Cairo e dei paesi del Golfo, sembravano d’accordo sul fatto che ormai è arrivato il momento di rovesciare il gruppo terrorista che ha egemonizzato la Striscia dopo il ritiro imposto da Sharon nel 2007. Ma le cose sono cambiate. Oggi il governo egiziano ha condannato l’operazione israeliana. I “moderati” arabi hanno ripreso le distanze, almeno nelle dichiarazioni ufficiali.
Tel Aviv era stata chiara fin da quando la tregua siglata con Hamas era finita: non tollereremo altri attacchi sul nostro territorio. E invece negli ultimi giorni un centinaio di missili sono piovuti sul Negev e le città israeliane vicine alla Striscia. Non ci sono state vittime israeliane ma due bambine palestinesi sono morte per sbaglio sotto un missile di Hamas. La ritorsione è stata immediata. Israele non abbassa la guardia anzi reclama il suo diritto all’autodifesa. La sinistra all’opposizione, dai laburisti al partito Meretz, nei giorni scorsi ha appoggiato l’intervento. Lo scrittore Amos Oz ha sposato questa posizione affermando che Israele non può subire una violazione indiscriminata dei suoi confini e della sicurezza dei propri cittadini.
Difendersi vuol dire colpire i miliziani ma è impossibile evitare vittime tra i civili, visto che parliamo di un fazzoletto di terra dove vivono un milione e mezzo di persone. Ci sono circa 15.000 miliziani di Hamas a Gaza e non possono essere sconfitti solo dal cielo – tanto più che i terroristi si confondono tra la folla, oltre a farsi scudo di essa, per poter recriminare quando vengono colpiti. Da qui l’esaltazione propagandistica delle ultime ore, il richiamo al martirio e la promessa di una nuova ondata di stragi kamikaze nelle città israeliane.
Nell’ideologia funebre dell’islamismo militante c’è una cupa gioia per le distruzioni e le ferite mortali impresse sulla carne del popolo palestinese. Hamas spera di uscire rafforzata dal nuovo conflitto: il prossimo 9 gennaio scade il mandato del presidente Abu Mazen e per il momento non sono previste nuove elezioni. Questo vuoto di potere è un’occasione unica per i terroristi. Le colonne di fumo che si alzano da Gaza e le scene di dolore, panico e isteria collettiva, diffuse su Internet e dai telegiornali, colpiscono allo stomaco l’opinione pubblica internazionale alimentando la percezione di una gestione “terroristica” del conflitto da parte israeliana.
Ci si chiede come mai la violenza sia scoppiata all’improvviso. In verità non si è mai fermata. L’opinione pubblica non viene costantemente informata sugli sviluppi della questione israelo-palestinese (la fine della tregua con Hamas, i missili sul Negev, eccetera), e così la politica e la società israeliana tornano ad essere dipinte come un mondo aggressivo e insensibile al compromesso (sono critiche che arrivano anche dall’interno di Israele). Ma i cadaveri tra le macerie e i feriti che riempiono le ambulanze di Gaza sono il prezzo di un sacrificio interminabile imposto al popolo palestinese dalle forze che rifiutano ogni trattativa di pace. Come ha fatto Hamas dopo la fine della tregua. L’importante è che ora Israele non passi dalla parte del mostro.