Il ministro difende l’accordo: nessun ripensamento

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Il ministro difende l’accordo: nessun ripensamento

12 Dicembre 2008

“Non c’è nessuna retromarcia. È tutto confermato. Un unico maestro sarà il punto di riferimento educativo del bambino e viene abolito il modello a più maestri degli anni ‘90. Chiunque affermi in queste ore che è cambiato qualcosa sta semplicemente dicendo una falsità e cerca in maniera strumentale di mettere in discussione la linea del governo che non è mai cambiata e che non cambia”. Non ci credeva Mariastella Gelmini alle aperture di ieri di tutti i giornali on line. Non credeva che di quanto emerso dal lungo incontro tra governo e sindacati avvenuto nel pomeriggio restasse solo “disinformazione”. Evidentemente non si è ancora abituata all’uso strumentale che certa parte politica fa delle notizie. A cominciare da Walter Veltroni e dai sindacati, che non potendo cantar vittoria praticamente su nulla, hanno tentato di far passare come un successo loro e dei manifestanti che per giorni hanno paralizzato le città italiane alcuni contenuti del pacchetto scuola fissati dal verbale dell’incontro di Palazzo Chigi.

Ma il ministro stavolta alza la voce: “Siamo di fronte ad una ingegneria della mistificazione. Il maestro unico resta. Chiaro? Anzi: resta “solo” il maestro unico. Il modulo dei due maestri su tre classi è morto e sepolto per sempre”.  Ma allora come nasce il malinteso che ieri ha fatto parlare tutti i giornali di “maestro unico facoltativo”?

La Gelmini precisa: la possibilità di scelta delle famiglie è sull’orario scolastico non sul maestro unico. Poi scende nello specifico: “Un docente ha un orario di lavoro di 22 ore. Se la famiglia sceglie di adottare per i figli  l’orario di 24 ore settimanali, quella classe avrà un maestro unico, più due ore coperte dai maestri di materie specialistiche, come religione o inglese. Se decide di optare per le 27 ore, saranno cinque le ore coperte da altri maestri, saliranno a dieci se le famiglie optano per le 30 ore settimanali di scuola e venti nel caso delle 40 ore, il vero e proprio tempo pieno”.

Nessuna compresenza tra maestri, dunque, nessun modulo. Prima lavora uno, poi lavora l’altro. Ma sempre mantenendo il maestro prevalente, nel rispetto di quella logica – tuttora valida – che sottendeva le scelte fatte dal governo: cioè che per la crescita dei bambini in età scolare la presenza di una sola figura di riferimento è fondamentale.

Quanto al resto, il governo ha trovato l’accordo coi sindacati soprattutto su due questioni: la presenza di un insegnante di sostegno ogni due bambini diversamente abili e un tetto massimo di 30 alunni per classe.

Questo il primo punto che tanto ha animato la discussione nelle ultime ore. Altra storia quella che ha riguardato la riforma delle scuole superiori, e in particolare l’applicazione delle legge Moratti, poi rivista da Fioroni, che sarebbe dovuta entrare in vigore a partire dal prossimo anno scolastico e che invece slitta al 2010. Lì il ministro ha preso tempo, perché la questione è spinosa ma anche di difficile attuazione. E i tempi sono troppo stretti.

La riforma, infatti, si sarebbe dovuta realizzare entro la fine del prossimo gennaio, per consentire  a febbraio le regolari pre-iscrizioni degli alunni. Una specie di missione impossibile anche per il volenteroso ministro, che sulle linee guida è stata chiara: servono uno snellimento e la semplificazione degli indirizzi scolastici, un’intensificazione del legame tra le richieste del mondo del lavoro e la scuola, il riordino degli istituti tecnici, l’aumento delle ore di lingua inglese, delle ore scientifiche e di matematica e la regolarizzazione del sistema dei licei. Ma qualcuno ha gettato qualche sospetto sul ritardo e sostiene che il ministro abbia preso tempo anche per rimettere mano a tutto l’impianto gettato dai suoi predecessori,  proprio perché ha colto le difficoltà di attuazione della riforma. Un tempo ragionato su cui non pesano in alcun modo i rischi di contestazione o le pressioni dei sindacati.