Il mistero Zapatero: tornerà a ricandidarsi nel 2012 oppure no?

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Il mistero Zapatero: tornerà a ricandidarsi nel 2012 oppure no?

27 Gennaio 2011

Silenzio stampa alla Moncloa sul futuro politico di Zapatero. Il premier socialista non ci sta a farsi scavare la tomba prematuramente e ha quindi deciso di lasciare sospeso fino all’ultimo momento l’annuncio se si ricandiderà o meno alle elezioni del 2012. Con una Spagna immersa in una crisi senza precedenti, ora come ora la questione sarebbe irrilevante se non fosse che, se per le prossime consultazioni generali manca più di un anno, per quelle autonomiche, cioè regionali e locali, è già scattata la caccia ai voti.

L’appuntamento più decisivo dell’anno è previsto per il 22 maggio, data in cui tredici delle diciassette comunidades autónomas, sceglieranno i presidenti di regione e i sindaci dei più di 8mila municipi spagnoli. Per il PSOE le premesse non sono per niente allettanti: nell’ultimo appuntamento elettorale – quello catalano del novembre scorso – il PSOE ha registrato una schiacciante sconfitta, ha perso uno dei suoi feudi economicamente più importanti e ha lasciato spazio ai Popolari, che per la prima volta sono diventati la terza forza politica della Catalogna (e a livello nazionale avrebbero un vantaggio di 15 punti).

L’incognita dei risultati ora pesa su territori tradizionalmente socialisti, come Extremadura, Castilla-La Mancha, Aragón e Andalucía, dove ormai da tempo si sono rafforzati i malumori nei confronti di un governo di Madrid sempre meno all’altezza del suo ruolo. Il maggior timore dei dirigenti regionali socialisti attualmente al comando – molti dei quali godono di un apprezzamento dell’elettorato molto maggiore rispetto al premier – è che l’immagine di un PSOE nazionale in caduta libera finisca per danneggiarli alle urne. La stessa paura sembra aver contagiato anche i candidati regionali attualmente all’opposizione che, come nel caso valenciano, avrebbero ridotto al minimo le loro apparizioni pubbliche al fianco di Zapatero.

Fatto sta che per per la maggior parte dei politici locali, ma anche per gli spagnoli stessi, i dubbi sul futuro del presidente del Gobierno pesano e non poco: secondo i sondaggi anche quella parte dell’elettorato storicamente più di sinistra starebbe meditando di spostare il proprio voto in base alle prospettive politiche di Zap. In altre parole, gli spagnoli hanno sete di urne, chi per punire l’esecutivo di Madrid, chi per dimostrare il proprio dissenso. Non è un segreto infatti che in un’ampia area della società si stia diffondendo un sentimento anti-Zapatero che desidera castigare i socialisti, specialmente per gli 8 ultimi mesi di governo (periodo nel quale ai funzionari è stato ridotto lo stipendio, alle famiglie è stato tolto l’aiuto alle nascite o cheque bebé, le pensioni sono state congelate, il sostegno ai disoccupati di lungo periodo è stato di punta in bianco sospeso e l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni sembra quasi certo). Il rischio è che le elezioni regionali e municipali diventino un plebiscito sull’operato di Zapatero, con un (molto) probabile effetto boomerang che potrebbe portare alla sconfitta del PSOE nella gran parte delle regioni spagnole e, di conseguenza, all’aumento delle richieste di elezioni anticipate. 

Una cosa risulta chiara: Zapatero non vuole rischiare di perdere la poltrona, né quella attuale né quella potenziale del 2012 (non a caso chi lo conosce lo definisce un uomo tanto ambizioso quanto astuto), e preferisce lasciare in suspense la questione. Intanto, però, ha permesso che i rumors sulla candidatura del vicepresidente del Governo Alfredo Pérez Rubalcaba scorressero liberi per i corridoi del PSOE in modo da placare i malumori interni. Rubalcaba, ripescato nel rimpasto di governo dello scorso ottobre, è considerato per molti l’uomo giusto per curare le ferite del partito: socialista tradizionale dalla lunga carriera politica, l’attuale vicepresidente è stata la figura scelta da Zapatero (non senza pressioni interne) per recuperare la fiducia e la stima dell’elettorato socialista, affidandogli il difficile incarico di estirpare il cancro del terrorismo nazionalista. Peccato però che la sua immagine stia perdendo consensi a causa della cattiva gestione del caso Faisán, un’inchiesta giudiziaria che ha toccato una delle più dolorose spine nel fianco dell’elettorato spagnolo: ETA.

E’ di un paio di giorni fa la notizia che l’Alta Corte ha rigettato la richiesta d’archiviazione della procura generale sulla questione del chivatazo, la chiamata intercettata dalle autorità giudiziarie proveniente da un ufficio del ministero degli Interni (del quale è a capo lo stesso Rubalcaba) che allertava i membri della rete di estorsioni della banda armata dell’imminente retata della polizia. La fuga di notizie sarebbe avvenuta perché, proprio in quei giorni (maggio 2006), il governo di Madrid era riuscito ad ottenere un annuncio di tregua dall’organizzazione terrorista e la retata avrebbe fatto saltare l’intesa. Nonostante le gravi accuse al Governo, fino ad oggi e malgrado le pressioni dell’opposizione, da Rubalcaba non c’è stato ancora nessun chiarimento sulla questione. E tanto meno da Zapatero.

Sulla questione della ricandidatura di Zap è intervenuto anche “The Economist” invitandolo, tra le righe, a non ripresentarsi alle elezioni e persino prospettando la ripresa del PSOE entro il 2012. “Se il capo del governo spagnolo sarà coraggioso nel fare le riforme, il partito potrà recuperare voti entro le prossime elezioni generali”, scrive il settimanale inglese ammettendo che le riforme realizzate da Zapatero finora sono “troppo poche e troppo tardive”. Malgrado l’Economist accusi il presidente del Gobierno di essersi sbagliato “nel dare la colpa della recessione e del tasso di disoccupazione di oltre il 20% alla crisi globale del credito generata dall’altra parte dell’Atlantico” perché “gran parte dei problemi spagnoli sono stati causati dal proprio sistema (tra cui la concessione di crediti tossici per il settore della costruzione)”, d’altro canto il settimanale sembra strizzare l’occhio a Zapatero purché faccia riforme urgenti e incisive, specialmente nell’ambito delle pensioni, del mercato del lavoro e delle banche. “D’altronde – suggerisce il settimanale economico – il premier socialista potrebbe anche optare a non ricandidarsi e, quindi, ha poco da perdere”.

Peccato però che Zapatero stia dimostrando tutto tranne la volontà di riformare seriamente il paese. Qualcuno si ricorderà dell’annuncio del pacchetto di riforme senza precedenti, tra cui l’eliminazione dei 426 euro per i disoccupati di lungo periodo senza sussidi a partire da febbraio. Bene, il ministero del Lavoro sta pensando bene di reintrodurlo con un nuovo assegno, questa volta di 350 euro. Nell’iniziativa mirata alla riduzione del deficit, si affrontava anche il capitolo pensioni: il Governo aveva deciso che per coprire il buco creato negli ultimi anni, in Spagna si sarebbe andati in pensione ai 67 anni. Nulla di tutto questo. Dopo una serie di polemiche perché l’Esecutivo ha barattato con i sindacati l’aumento dell’età pensionabile con l’incremento della vita delle centrali nucleari (a differenza dell’Italia, i sindacati spagnoli non vogliono la chiusura dei siti perché creano tanti posti di lavoro), è di ieri la notizia che il ritardo dell’età pensionabile “sarà progressivo, non omogeneo e volontario”. Quindi, nessun grande cambiamento alla vista. E cosa dire della “trionfale” riforma del lavoro che avrebbe facilitato i licenziamenti nel caso in cui un’impresa potesse dimostrare “una situazione economica negativa attuale o prevista”? Beh, approvata la scorsa estate, ora si trova sul tavolo del ministro del Lavoro per una modifica più limitativa delle cause di licenziamento ed è diventata moneta di scambio con i sindacati a cambio del loro sostegno al dossier pensioni.

L’unico ambito che sembra che Zapatero si sia convinto a riformare è uno dei principali mali dell’economia spagnola: le cajas, cioè le casse di risparmio. Le pressioni dell’Ue per sanare i conti di queste entità bancarie (controllate direttamente dalla politica e causa della bolla immobiliare) e la volontà di un “grande patto economico” di portata nazionale per salvare le finanze spagnole, sembra che stiano dando finalmente una scossa al Governo, anche se i metodi con cui si vuole realizzare la riforma sono, come minimo, sconcertanti. Dopo aver buttato via 12 miliardi di euro nel 2010 per favorire le fusioni tra le casse di risparmio (che tra l’altro sono avvenute non con criteri economici ma bensì di convenienza e affinità politica) e aver autorizzato l’entrata degli investitori privati, ora il sistema è sotto minaccia dell’Esecutivo: se las cajas non riusciranno a raccogliere capitali sufficienti a coprire i propri buchi entro 9 mesi, il Governo le nazionalizzerà con un esborso di 20 miliardi di euro (ma con molta probabilità saranno molti di più). Una mossa non propriamente democratica.

La ragione della fretta di Zapatero, dopo oltre 3 anni di richieste pressanti da parte degli organismi internazionali, è che presto tutte le istituzioni europee dovranno rendere trasparenti i propri bilanci per evitare nuovi crack finanziari. L’obiettivo è quindi quello di mettere mano al sistema prima che sia troppo tardi e i mercati tolgano alla Spagna quel poco di fiducia nella sua ripresa che è rimasta, specialmente nei prossimi mesi visto l’ingente debito pubblico che il Tesoro deve necessariamente piazzare per dare aria fresca all’economia. La Spagna presto dovrà dar conto alle istituzioni internazionali della situazione reale delle sue finanze ma sul verdetto peserà senza dubbio l’esito delle elezioni di maggio ma soprattutto lo spettro di altri 4 anni di governo Zapatero.