Il “Modello Roma” e l’opposizione che non c’è

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Il “Modello Roma” e l’opposizione che non c’è

05 Dicembre 2007

Si dice che la qualità del governo dipenda direttamente da quella dell’opposizione. Un’amministrazione adeguatamente controllata e incalzata da un’attiva minoranza critica e propositiva, dovrebbe migliorare la propria condotta o al peggio essere messa in crisi. Se questo principio è valido, alla Giunta Veltroni – baldanzosa e mai sfiorata da una crisi, eppure come abbiamo potuto constatare nel corso delle nostre inchieste sul cosiddetto “Modello Roma”, esemplare più a parole che nella pratica amministrativa – dovrebbe corrispondere una compagine di partiti e gruppi consiliari d’opposizione “tutti chiacchiere e distintivo”, per dirla con Bob De Niro. Effettivamente, nonostante una certa vivacità degli ultimissimi mesi, coincisa con l’elezione del Sindaco a Segretario del Pd, si può dire che l’opposizione in Campidoglio sia stata caratterizzata da un’azione intorpidita, se non opaca, attiva nel coniare qualche slogan, ma lontana dall’idea di serrato controllo che dovrebbe distinguerne l’azione.

E’ pur vero che nelle amministrazioni locali la legge vigente mantiene il comando saldamente nelle mani del Sindaco, a tal punto da prevedere lo scioglimento del Consiglio comunale in caso di sfiducia del primo cittadino. In altri termini, il Consiglio comunale è sempre meno un luogo di reale scontro politico e sempre più organo di ratifica delle deliberazioni di Giunta. Oltretutto, nelle ultime elezioni a Roma la vittoria di Veltroni è stata talmente ampia (61,45%) da assottigliare ancor di più il numero dei consiglieri di minoranza. Di solito sono 36 per la maggioranza e 24 per l’opposizione. Nel 2006 avendo Veltroni superato la soglia del 60% le liste che lo sostenevano hanno avuto due consiglieri in più arrivando a 38.

Tuttavia ciò non basta a giustificare un’attività discontinua, a volte contraddittoria e spesso orientata a una generica contestazione, senza rilievi di merito, insomma affatto inefficace, salvo rare eccezioni. Ciò che sembra palese – nell’assistere agli eventi e nel leggere le dichiarazioni rilasciate dagli esponenti del centrodestra nel corso di questi sei anni e mezzo di governo veltroniano – è un forte complesso di inferiorità che colpisce a vario titolo quasi tutta la minoranza in Campidoglio.

Come non ricordare un articolo de Il Secolo d’Italia, organo di An, del settembre 2005, nel quale si leggeva: “Veltroni è non solo imbattibile, ma anche molto bravo. Ha saputo scendere dal piedistallo della politica tradizionale per rispondere a bisogni pre-politici”. Detto più terra terra: Veltroni ci sa fare, organizza gli eventi e noi siamo dei brocchi destinati alla sconfitta. In vista della campagna elettorale, che si sarebbe svolta sei mesi dopo, dinanzi a questo “modello” il giornale di An esortava a lanciarsi in “un confronto responsabile e alto”. Evidentemente Alleanza Nazionale deve aver sofferto di vertigini per l’ “altezza” raggiunta ed è caduta, calando di quasi due punti percentuali: dal 21,1% del 2001 al 19,4 del 2006. O per meglio dire: quel tipo di altezze non sono state capite dal suo elettorato, che come il dato dell’affluenza dimostra (nel 2001 del 75% e nel 2006 del 66%) ha preferito rimanere a casa facendo trionfare i più convinti elettori delle liste veltroniane.

E se questo ragionamento vale per Alleanza Nazionale, partito comunque radicato sul territorio e dotato di un apparato, a maggior ragione si può applicare a Forza Italia, formazione che viceversa non potendo contare su un radicamento territoriale e un organizzazione adeguata risente delle fluttuazioni dell’elettorato d’opinione. Il partito di Berlusconi è passato dal quasi 20% del 2001, anno nel quale aveva il candidato Sindaco, Antonio Tajani, a poco più del 10% nel 2006. Un dimezzamento secco dei voti che certamente ha contribuito alla disfatta di Alemanno. Una dèbacle tale da motivare il commissariamento del partito romano, affidato a Francesco Giro, coordinatore azzurro del Lazio. Indubbiamente la conduzione Tajani, durata più di un decennio non ha prodotto grandi risultati, affidando totalmente il destino di Forza Italia alle alterne vicende della politica nazionale e non definendo un’identità territoriale. L’unico partito scampato alla slavina del centro destra è stato l’Udc passato dal 3 al 4,3%. Magra soddisfazione visto che il lusinghiero risultato si è tradotto in appena due consiglieri eletti.

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Il sgeretario romano di Alleanza Nazionale Gianni Alemanno

Comunque l’ex Ministro dell’Agricoltura, ora segretario romano di An, Alemanno c’ha messo del suo nel definire un quadro di cogente sconfitta annunciata. Ha condotto una campagna elettorale all’insegna di un fair play degno di miglior causa. E non è parso neanche aver tratto insegnamento dalla legnata elettorale ricevuta. Circa un anno fa ha risposto in modo piccato e, a leggerlo oggi, certamente carente ad un articolo pubblicato su Il Giornale dal consigliere comunale di An Marco Visconti. Emblematico il titolo: “Alla Capitale non serve un’opposizione ‘ammorbidita’ ”. Visconti, cane sciolto molto attivo, ma fuori dalle logiche del partito di Fini, potendo vantare una solida esperienza amministrativa – per cinque anni, dal 2001 al 2006, presidente del XIX Municipio (Trionfale, Balduina, Primavalle) – ammoniva l’opposizione e in particolare, senza nominarlo, il suo segretario cittadino, di non avere fiducia nella presunta “necessità di un dialogo costruttivo, che serva a risolvere i problemi con l’apporto «anche» del centrodestra, poiché”, proseguiva Visconti, “il Sindaco cerca il dialogo solo quando rischia di finire sul banco degli accusati. In altre occasioni, invece, altrettanto importanti, il suo decisionismo non ammette repliche. Sulle cose che contano davvero Veltroni è abituato a tirar dritto per la sua strada senza tener conto delle indicazioni e delle proposte dei suoi avversari”.

A quest’analisi – nella quale si ricordava anche l’essenziale ruolo di controllo dell’opposizione nelle aziende municipalizzate, egemonizzate da consiglieri d’amministrazione vicini al Sindaco – Alemanno rispose di getto, il giorno seguente. “Serve un’opposizione intelligente e non slogan urlati. I romani non sono stupidi: si rendono conto dei limiti e delle contraddizioni della gestione Veltroni, ma vanno convinti a non accontentarsi dell’esistente, proponendo alternative credibili. La vera critica da fare alla giunta Veltroni non è quella di togliere risorse ai servizi e alle infrastrutture per concentrarsi solo sugli eventi. Se questa tesi fosse vera Torino non avrebbe mai fatto le Olimpiadi invernali, mentre Venezia non dovrebbe fare la sua Festa del Cinema per pensare solo ai problemi strutturali della laguna. Questo genere di ragionamenti appartiene a una visione pauperista dello sviluppo delle città e dei territori, dove ci vuole attenzione alla solidarietà e alle infrastrutture ma anche grandi progetti di sviluppo e di immagine”. Al di là degli esempi impropri – detto per inciso: Torino ha organizzato i Giochi olimpici mentre Roma ne ha “lisciati” già due (2004 e 2016), e a Venezia da 75 anni non si tiene una “Festa” (forse si è confuso con quella di Roma) ma bensì una Mostra internazionale d’arte cinematografica, manifestazione a cui concorrono, come è giusto che sia, Stato, Regione e Comune – Alemanno non sembra essersi allontanato dall’interpretazione data dal giornale del suo partito due anni fa e dentro di sè pensa: Walter è troppo forte! Peraltro quanto Veltroni si sia preso gioco del leader dell’opposizione si è capito nella vicenda della candidatura per le Olimpiadi 2016. Dapprima Veltroni aveva chiesto un appoggio bipartisan, poi resosi conto dell’inadeguatezza della candidatura del “Modello Roma” all’appuntamento olimpico (per ottenere i giochi olimpici non servono suggestioni letterarie, ma solide realtà organizzative e infrastrutturali) aveva ritirato la candidatura senza neanche avvertire Alemanno, autodichiaratosi “sedotto e abbandonato”. L’episodio sembrava confermare la tesi di Visconti piuttosto che la sua. Eppure il leader romano di Alleanza Nazionale ha continuato a opporsi per mesi con colpi di fioretto.

Solo ora, quando ormai da mesi Gianfranco Fini ha deciso di scavalcarlo e prendere in mano la situazione (forse in previsione di una propria candidatura a sindaco), l’esponente di spicco della liquefatta componente della Destra sociale, ha scimmiottato la faccia dura del suo presidente.

A questo punto è utile fare una breve disamina dell’ala destra dell’Aula Giulio Cesare, andare cioè in concreto a capire chi siano e cosa facciano le persone che compongono l’opposizione.

La compagine del centro destra è caratterizzata da un forte gruppo di consiglieri di Alleanza Nazionale, tredici in tutto, comprendendo anche Gianni Alemanno, eletto come candidato Sindaco perdente con la sua lista Amore per Roma. Erano quattordici ma sono diminuiti di un’unità dopo la defezione di Fabio Sabbatani Schiuma a favore della Destra, la nuova formazione di Francesco Storace. Il capogruppo è Marco Marsilio, valido studioso ed efficace polemista, non sembra adatto tuttavia a recitare un ruolo di guida di un gruppo piuttosto eterogeneo cui manca appunto una linea precisa. In altre parole è un ottimo solista, ma non un direttore d’orchestra, anche perché non si capisce quale sia lo spartito da suonare. La star delle preferenze, Samuele Piccolo, nonostante si presenti come una sorta di tribuno, si distingue per la frequente assenza dalle attività di Consiglio e di commissione. Vanta nel suo sito personale 260 interventi, ma non essendoci state neanche 200 sedute di Consiglio non è chiaro dove abbia fatto questi interventi! Tra i peones dell’Aula Giulio Cesare si possono annoverare Fabrizio Ghera e Enrico Cavallari, un po’ abulici e opachi, sembrano spesso annoiarsi. Federico Guidi, nonostante una discreta condotta consiliare, risente ancora della sua precedente esperienza nel XIX Municipio, dalla quale fatica a staccarsi. Limite che si avverte anche in Dario Rossin, troppo legato al XII Municipio. Luca Malcotti è un onesto sindacalista dell’Ugl, vicino ad Andrea Augello, la minoranza sconfitta da Alemanno nel congresso romano. Sergio Marchi e Vincenzo Piso, vicini ad Alemanno, si distinguono invece per voti frequentemente difformi dal gruppo di An, e contribuiscono così a rendere la compagine sfilacciata e disomogenea, vulnerabile all’accusa di incoerenza. Discorso a parte merita Marco Visconti, che come già detto è un po’ una mina vagante, che agisce con proprie efficaci azioni fuori dagli ordini di scuderia, seppure allineato nelle votazioni, appoggiato spesso nella sua azione da Luca Gramazio, figlio dello storico esponente del Movimento Sociale, il senatore Domenico. I due si sono fatti notare nella scorsa primavera per la loro denuncia dei contratti capestro sottoscritti dall’assessore Minelli per l’affitto di un complesso a Largo Loria, evidenziando un’evidente contraddizione tra il piano del cosiddetto Campidoglio 2 e un’esposizione finanziaria del Comune nell’arco di 18 anni di ben 200 milioni di euro.

L’Udc ha due consiglieri: Roberto Rastelli e Dino Gasperini. Quest’ultimo, capogruppo, è preparato ed efficace e ha segnato un forte punto a suo favore con la denuncia delle cosiddette “cartelle pazze” della Gerit, la società subentrata al Monte dei Paschi nella riscossione delle multe. Ciònonostante il suo “centrismo” lo rende più incline a smussare gli angoli piuttosto che esaltare lo scontro con la Giunta.

Forza Italia, dopo aver perso uomini tra una consiliatura e l’altra, sembra caratterizzarsi soprattutto per una certa accidia di gruppo. E’ guidata da Michele Baldi, già esponente di An. Baldi è molto incline a rilassarsi nel clima della mondanità romana ben descritto nel sito di Roberto D’Agostino, Dagospia. Ma tutto sommato quando decide di applicarsi la sua azione è efficace. Stesso discorso per l’altro campione delle preferenze, Fabio De Lillo. Pasquale De Luca, detto “l’urbanista”, si anima soltanto quando sono appunto in discussione questioni riguardanti lo sviluppo edilizio. Marco Pomarici, sembra spesso capitato un po’ casualmente nel consesso capitolino. E infine il giovane Giovanni Quarzo, subentrato ad Antonello Aurigemma a marzo scorso, sembra ancora dover prender confidenza con il Comune. Si distingue per i modi pacati, simili a quelli di un giovane seminarista. In questo quadro abbastanza sconsolante si segnalano alcune simpatiche testimonianze, ancora però molto acerbe e legate al contesto municipale. Una su tutte Fabrizio Santori, giovane capogruppo di An nel XVI Municipio, distintosi in tempi non sospetti per i suoi filmati sulla triste realtà delle baracche sul Tevere e per la simpatica iniziativa sui mezzi dell’AMA comprati e mai utilizzati, Kill’AMAivisto, della quale abbiamo parlato nella puntata dedicata alla, verrebbe da dire sporcizia, più che nettezza urbana.

In conclusione si può dire che il centrodestra a Roma sembra veramente dover cominciare quasi da zero. E forse, al di là di tutto le titubanze di Gianfranco Fini nel decidere se ricandidarsi o no a Sindaco di Roma, ritornando in fondo al punto di partenza del 1993, sono dovute proprio alla situazione generale della coalizione che tende a vivere una realtà quasi parallela e aliena dalla realtà quotidiana. Forse l’esperienza fatta durante la campagna del 2001, che portò il grigio Tajani (ottenne il 48% al ballottaggio ) a due punti percentuali dall’imprevedibile vittoria, non è stata valorizzata abbastanza. Alleanza Nazionale ha voluto riprendere in mano la situazione, forte della propria supremazia storica nella Capitale, ma questa operazione non sembra aver prodotto grandi risultati né per sé nel per la Cdl. Ora sembra si voglia cambiare passo, forse proprio in previsione di una candidatura Fini. Ma recuperare il terreno perduto in questi tre lustri di governo del centrosinistra non sarà facile.

Nel frattempo, essendo lontani dalle baruffe e dalle “cabine di regia” della ormai ex Cdl capitolina, ci permettiamo di lanciare una proposta: perché non candidare alle prossime elezioni un grand commis, romano ma molto internazionale, poco incline a farsi coinvolgere nelle paludose dinamiche della politica della Capitale e per questo adatto a sparigliare le logiche di una coalizione ormai al capolinea? Chi? Franco Frattini.