Il moderatismo di Romney vince ma il GOP è sempre più conservatore
02 Febbraio 2012
A urne della Florida ancora calde, Newt Gingrich ha mostrato di avere compreso, al di là di ogni pur lecita altra considerazione, il significato vero del successo di Mitt Romney. Intervistato nel corso del programma On the Record, condotto da Greta van Susteren sugli schermi di Fox News, si è chiesto se forse non valga la pena di smettere di litigare fra candidati conservatori per unire quelle forze che così possono battere il moderato Romney.
Certo, suona invito diretto soprattutto a Rick Santorum affinché, visti i magri risultati rispetto al duello Romney-Gingrich, si ritiri dalla corsa. Però di suo un senso la cosa ce l’ha. Tant’è che Santorum, pur declinando con fermezza l’invito personale, non ha comunque bocciato l’idea generale. Il voto della Florida, infatti, dice una cosa chiara e netta. Il Partito Repubblicano, elettorato compreso, è diviso in due. E il fatto che non si tratti due metà uguali è ciò che spinge Gingrich a certe uscite.
Che il GOP sia diviso non è peraltro una novità. Il Partito Repubblicano nasce diviso nella seconda metà dell’Ottocento, prosegue diviso per tutta la sua storia e del Novecento semmai acuisce ancora di più le divisioni. Ciò detto, è il senso di questa divisione che va interpretato.
Da un parte sta infatti certamente un’ala destra, dall’altra c’è quella che, a seconda delle stagioni e dei tempi storici, è un’ala centrista, moderata o persino liberal. Vi sono stati anche momenti in cui le anime del partito erano tre, centro, destra e sinistra, ma quel tempo non è ora, non è più adesso. Oggi il contrasto è tra destra e centro, il che totalizza un significativo (irreversibile) spostamento a destra del baricentro di tutto il partito.
Si tratta del resto della virata impressa al GOP per la prima volta dalla candidatura presidenziale di Barry Goldwater (1909-1998) nel 1964 e cresciuta fino a maturazione con l’ingresso alla Casa Bianca di Ronald Reagan (1911-2004) nel 1980. Questo lungo cammino è da considerarsi dunque la fondazione, il fondamento dello spostamento a destra del GOP. Poi sono intervenuti tanti e molti elementi, dentro, fuori e attorno al partito, non tutti interpretabili in maniera sempre lineare; ma ciò che ne è risultato alla fine è un fatto compiuto. Le fondamenta sostengono un edificio maestoso.
La vittoria di un personale politico Repubblicano mediamente conservatore e molto più spostato a destra della media della storia del partito, ivi compresa l’epoca “di fondazione” di codesta trasformazione del GOP, nelle elezioni di “medio termine” del novembre 2010 è l’elemento chiave che permette oggi di proferire quelle affermazioni senza rischio di smentita.
La spinta a destra impressa all’orientamento medio del partito dal movimento, di per sé esterno al partito stesso, dei “Tea Party” ha fortemente condizionato l’intero impianto del GOP nel novembre 2010. Ma sarebbe solo una questione effimera, se ciò non giungesse a coronamento di un lavorio profondo, anche se a volte carsico, proseguito senza soluzioni di continuità dall’epoca “di fondazione” di detto spostamento, cioè dal work in progress Goldwater-Reagan. Anche dopo il Novembre 2010 dei “Tea Party”, il GOP continua ad avere le sue correnti e le sue anime, le sue divisioni e le sue faide, il suo establishment e la sua base grassroots, un suo centro e una sua destra; ma la barra dell’intero l’impianto si è spostata di diversi gradi. E soprattutto è nella pratica scomparsa l’ala sinistra.
Ebbene, il GOP continua a non essere un partito conservatore: però più di prima è avviato su quella strada. Ciò da cui oramai non può prescindere è la “fondazione” di tale spostamento attorno al fenomeno Goldwater-Reagan, ma pure ciò che su quelle basi è stato costruito sino all’ingresso nel gioco dei “Tea Party”. L’itinerario che sta spingendo il GOP a diventare un partito davvero conservatore non è affatto concluso; anzi, per molti aspetti è appena cominciato.
Ma una cosa è cambiata: a partire da Goldwater il mondo conservatore, esterno al partito, ha guadagnato spazi come forza d’influenza sempre più determinante sul GOP. A partire da Reagan, quella capacità d’influenza esterna ha cominciato a penetrare dentro il partito stesso. A partire dal fenomeno dei “Tea Party”, la forza d’influsso esterno – come lo sono e lo restano i “Tea Party” stessi – ha introdotto una grande novità. Ora il partito sta cercando di conquistarlo.
È cioè una storia che inizia quella che vede la luce negli scontri che animano le primarie 2012. Ci saranno vicoli ciechi, contraccolpi, ritorni di fiamma e riflussi, ma non esiste parto senza doglie, che talora sono ben lunghe. L’attuale dissidio tra Romney e il “resto” dei candidati ancora in lizza ha molti significati, ma questo è quello più incisivo. A guardarlo bene, comunque vada, è un bicchiere mezzo pieno. Sennò di quel bicchiere bisogna rassegnarsi a contemplare solo la metà vuota, quella che dice che, per quanto sforzi compia il mondo conservatore, sono poi i moderati a spuntarla sempre, piegando anche i più riottosi a una poco appassionante realpolitik che cancella anche gli slanci più nobili. Ma ne vale la pena?
Marco Respinti è presidente del Columbia Institute, direttore del Centro Studi Russell Kirk e autore di L’ora dei “Tea Party”. Diario di una rivolta americana.