Il ‘mondo perfetto’ dei sindacati? Quello in cui sono tutti dipendenti
19 Gennaio 2012
Per il sindacato (Triplice al completo) il lavoro non è uguale per tutti: ce n’è uno di serie A e uno di serie B. Il primo è quello svolto dai lavoratori dipendenti, sfruttati da farabutti padroni; il secondo è quello dei professionisti, sanguisughe di cittadini e profittatori delle giovani generazioni. Due pesi e due misure, insomma. Scritto nero su bianco dalle segreterie nazionali dei tre principali sindacati – Cgil, Cisl e Uil, dopo la ritrovata unità – nel documento "per il lavoro, per la crescita, per l’equità sociale e fiscale". Con quel documento, i Sindacati si presenteranno lunedì 23 gennaio all’incontro fissato dal governo con le Parti sociali, per discutere di riforma del lavoro e di crescita.
Il documento è un purè di proposte che tocca tre temi principali: il mercato del lavoro, la previdenza e le liberalizzazioni. Sul primo tema (mercato del lavoro), la proposta suggerisce, tra l’altro, di "contrastare gli abusi ricorrenti che riguardano le tipologie di lavoro flessibile", con l’introduzione del "principio generale della parificazione di costi contrattuali e contributivi rispetto al lavoro subordinato a tempo indeterminato, maggiorati di una quota per ammortizzatori sociali". Insomma, secondo il Sindacato, per eliminare il lavoro precario sarebbe sufficiente elevare il costo del lavoro: se un dipendente fisso costa 100, quello flessibile, a termine o a progetto, deve costare 100 più un tantum da destinare alle prestazioni a sostegno del reddito (disoccupazione, cig, mobilità, ecc.).
Con riferimento al lavoro parasubordinato (i famosi co.co.pro., emblema di lavoro precario, ma anche la nutrita schiera dei lavoratori autonomi cosiddetti professionisti senza cassa), la proposta ritiene necessario che esso venga «ricondotto alla contrattazione collettiva di settore per quanto riguarda le condizioni per ricorrervi (…) nonché per la definizione dei compensi (…)». In altre parole, al Sindacato dovrebbe spettare il compito di stabilire quando l’impresa può assumere un collaboratore e quanto deve essere il suo compenso: una (non troppa) ingenua Opa al governo per il riconoscimento di un maggiore potere negoziale (concertativo).
Il capitolo "liberalizzazioni" si apre con una sorta di principio: "Le liberalizzazioni possono essere di sostegno alla crescita del Paese a condizione che non si traducano in un’azione indistinta, incoerente e improvvisata frutto di una lettura affrettata ed ideologica della realtà". Viene spontaneo da dire: ma da che pulpito viene la predica! Segue, quindi, l’elencazione di sei “condizioni ritenute fondamentali”, delle quali l’ultima recita così: "estensione dell’abolizione delle tariffe minime a tutte le categorie, in maniera omogenea e trasparente, in modo che ne derivi un vantaggio per i cittadini, ma anche un’apertura per tanti giovani alle professioni interessate". Qui il messaggio è molto chiaro, da non necessitare di commenti.
A ben vedere, le due proposte (mercato del lavoro e liberalizzazioni) si contraddicono. Infatti, entrambe riguardano il lavoro (e i professionisti) eppure la prima chiede di fissare dei limiti minimi ai compensi (per i parasubordinati, come per i professionisti senza cassa), la seconda invece chiede l’abolizione delle tariffe minime (per le categorie professionali). Da una parte, cioè, il Sindacato chiede maggior rigore a protezione di lavoratori (tra cui i professionisti che non hanno un Ordine), dall’altra chiede la deregolamentazione per altri lavoratori (i professionisti che hanno un Ordine).
Ciò nonostante in entrambi i casi si tratti comunque di “lavoro” e soprattutto di persone (che stanno dietro quel lavoro). In tal modo, inoltre, le due proposte contraddicono anche quel principio propugnato sulle liberalizzazioni: non si chiede, infatti, al governo “un’azione indistinta, incoerente e improvvisata, frutto di una lettura affrettata ed ideologica della realtà”? Allora viene naturale chiedersi: perché? Perché i sindacati propongono al governo di trattare in maniera diversa situazioni che fanno entrambe riferimento a lavoro e a lavoratori (“persone che lavorano”)?
Due le possibili risposte. O è una lotta di potere, sindacati contro ordini professionali – alla faccia dei lavoratori, della crisi e della crescita –; o vuol dire che per il Sindacato il lavoro non è uguale per tutti. Ce n’è uno di serie A e uno di serie B: il primo è il lavoro subordinato (dipendente), il secondo quello autonomo, dei professionisti come degli artigiani, dei commercianti come dei taxisti. Mentre l’economia brucia con la crisi, dunque, continuano a predicare di non sprecare acqua. Per il sindacato, insomma, il mondo perfetto (del lavoro) sarebbe quello in cui tutti sono lavoratori dipendenti…va bene; però bisognerebbe che si spiegassero “da chi” (dipendenti da chi?).