“Il multiculturalismo è finito. E’ ora di voltare pagina”
08 Febbraio 2011
Dopo la cancelliera tedesca Angela Merkel, c’è arrivato anche il primo ministro britannico David Cameron. Il multiculturalismo è finito. Che il modello sociologico d’integrazione avesse esalato l’ultimo respiro, non è di certo una gran novità. Sarà l’aria tedesca a spingere a certe pubbliche abiure? Forse. Non è dato sapere. Fatto sta che dopo la Merkel, la quale lo scorso autunno aveva sancito, all’incontro con i giovani della Cdu-Csu, la fine del multikulti definendolo "un completo fallimento" (rafforzata dalle parole del primo ministro bavarese e leader della Csu, Seehofer, il quale aveva affermato che “das Multikulti ist tot”, che “il multikulti è morto”), è sempre in terra tedesca che è arrivata sabato la sortita del leader conservatore britannico.
Il primo ministro di Sua Maestà ha scelto il palco della Münchner Sicherheitskonferenz, la conferenza sulla sicurezza di Monaco di Baviera, che dal 2005 è luogo di discussione di sicurezza fuori dalla solita cornice comunitaria. E’ lì che Cameron ha colto l’occasione per mettere in guardia il suo partito, la sua coalizione, e per rilanciare, sfasciando il multiculturalismo britannico, il mito della “great society” johnsoniana in versione Tory. Che siano comunque la Merkel o Cameron, due capi di governo di nazioni europee pesanti come Germania e Gran Bretagna, a sdoganare un discorso più franco sulla questione dell’integrazione e dell’immigrazione, in particolare quella dei musulmani, non deve stupire.
Che vi sia in Europa un vento di destra è noto, anzi arcinoto. E non si tratta certo di una destra tradizionale, costituzionale (ci si perdoni il termine), ma di una destra di rigurgito, di rifiuto, destra di popolo. Da qui la definizione "populismo di destra", definizione fantomatica e stigmatizzante di coloro che rifiutano di cimentarsi con il problema, sinistre europee in testa. Infatti dappertutto in Europa i partiti di destra conservatrice tradizionali, sono puntellati elettoralmente da formazioni di destra tradizionalista (con venature populistiche, soprattutto nel caso britannico), che mettono al centro della loro offerta politica posizioni più stringenti in materia di immigrazione e integrazione, in particolare musulmana.
Basta andare a guardare partiti come Die Freiheit (La libertà) di Renè Stadtkewitz in Germania o il British National Party di Nick Griffin in Inghilterra, oramai officialmente divenuti i nuovi spauracchi dei partiti conservatori tradizionali. Tutti pronti a suonare la campana a morte del multiculturalismo, insomma, ma di certo pesano, nelle esternazione dei grandi d’Europa, anche elementi di politica interna. Del resto “Politics is politics, no doubt!”.
Pubblichiamo qui di seguito uno stralcio del discorso che il premier britannico ha rilasciato, lo scorso 6 Febbraio, alla Münchner Sicherheitskonferenz – 2011 (la conferenza Monaco di Baviera sulla sicurezza – 2011).
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Ciò che sto per dirvi deriva dall’esperienza britannica, ma credo vi siano delle lezioni di natura generali che potranno risultare valide per tutti noi. Nel Regno Unito, alcuni giovani uomini trovano difficile identificarsi con l’islam tradizionale praticato in casa dai propri genitori, le cui abitudini possono apparire posate una volta trapiantate nelle nostre moderne società occidentali. Ma allo stesso tempo, quei stessi giovani uomini trovano difficile identificarsi nell’Inghilterra, a fronte anche di un certo indebolimento della nostra identità collettiva. Sotto il cappello della dottrina di Stato del multiculturalismo, abbiamo incoraggiato culture diverse a vivere separate le une dalle altre, distanti le une dalle altre, e soprattutto lontane dalla cultura tradizionale. Abbiamo fallito nel fornire loro una visione della società che inducesse chiunque a identificarvisi. Abbiamo tollerato comunità segregate nelle quali si sono alla fine manifestati comportamenti che vanno contro i nostri stessi valori.
Entriamo però nel merito. Quando un bianco esprime delle posizioni a dir poco opinabili, addirittura razziste, giustamente ne condanniamo le opinioni. Parallelamente, quando queste opinioni o pratiche vengono espresse da qualcuno che non è bianco, ci siamo dimostrati francamente troppo prudenti – al limite della codardia – nell’opporci a esse. Le difficoltà – ad esempio – che alcuni hanno incontrato nell’affrontare l’orrida pratica dei matrimoni forzati, o il fenomeno che vede giovani ragazze sottomesse, e talvolta condotte contro la loro stessa volontà all’estero per sposare un uomo, definisce il merito del probema. Questa tolleranza passiva è servita solamente a rafforzare il senso che ben poco sia condiviso nelle nostre società. In più questo nostro atteggiamento lascia molti giovani musulmani smuniti di riferimenti. E la ricerca di qualcosa a cui appartenere o qualcosa a cui credere, può spingerli ad abbracciare un’ideologia estremista. Ora, ciò che è certo, è che questi giovani uomini non diventano terroristi in una sola notte, e alla luce di ciò che vediamo – e lo vediamo in molti paesi europei – siamo in presenza di un più largo e complesso processo di radicalizzazione.
Le chatroom sono luoghi di incontro virtuale nelle quali certi atteggiamenti sono condivisi, rafforzati e validati. In alcune moschee, certi predicatori di odio posso instillare disinformazione sulle condizioni sfavorevoli nelle quali versano certi musulmani in certi paesi. Nelle nostre comunità, gruppi e organizzazioni guidate da leader giovani e dinamici promuovono il separatismo, incoraggiando i musulmani a definirsi solo in termini religiosi. Tutte queste interazioni possono creare un senso di comunità, un sostituto di ciò che una larga società non è riuscita a fornire. Si potrebbe rispondere a tutti i miei argomenti: “Nella misura in cui queste persone non fanno del male a nessuno, dov’è il problema?”.
Allora risponderò a questo argomento dicendo che il problema c’è. La riprova di ciò che dico, emerge quando si guarda alle storie di quei terroristi già condannati. E’ evidente che molti di loro sono stati inizialmente influenzati da quelli che alcuni hanno definito “estremisti non violenti”, per poi trasferire quelle convinzioni radicali al livello successivo, nell’abbraccio della violenza. Questo è un esplicito atto d’accusa a quello che è stato in passato il nostro approccio a questi temi. Dunque se vogliamo veramente sconfiggere tale minaccia, è ora di voltare pagina e di abbandonare le politiche fallimentari del passato. Prima di tutto, invece di ignorare l’ideologia estremista, dovremmo – come governi e società – farci i conti, in tutte le sue forme. E secondo: invece d’incoraggiare la vita settaria, dovremmo fornire un chiaro messaggio d’identità nazionale che sia aperta a chiunque.
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Traduzione di Edoardo Ferrazzani