Il nazionalismo della Kirchner finirà per far pagare il conto all’Europa

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Il nazionalismo della Kirchner finirà per far pagare il conto all’Europa

20 Aprile 2012

“Recupero della sovranità nazionale degli idrocarburi”. Ecco un estratto del decreto presidenziale d’esproprio che ha portato alla nazionalizzazione della compagnia petrolifera Ypf, controllata fino a lunedì scorso al 57% dalla spagnola Repsol. La presidente Kirchner ha voluto così seguire gli esempi del Venezuela e del Brasile: risale al 2007, infatti, la decisione del governo Chavez di nazionalizzare il petrolio venezuelano e, contestualmente, di obbligare le compagnie straniere a cedere i relativi diritti di sfruttamento. In Brasile, invece, è la compagnia petrolifera Petrobas ad essere controllata al 51% dallo Stato.

Il decreto d’esproprio, già reso effettivo con l’arrivo nella sede della Repsol di Buenos Aires degli ufficiali giudiziari e mediante l’espulsione di tutti i dirigenti spagnoli, prevede il controllo e l’amministrazione del 51% delle azioni Ypf dallo Stato argentino; il restante 49%, invece, andrà ai governatori delle regioni argentine che possiedono il greggio.

Ma quali sono le motivazioni di carattere politico (ed economico) che hanno spinto Cristina Kirchner ad adottare una decisione tanto drastica quanto pericolosa per la stabilità dei mercati finanziari?

Politicamente, occorre ricordare il sempre maggiore peso acquisito dai peronisti de La Campora – a guida Maximo Kirchner, primogenito di Cristina – nell’esecutivo. Parole d’ordine: nazionalismo, autarchia e populismo. Un evidente riferimento alla sinistra peronista anti-capitalista degli anni ’70, in netta contrapposizione alle privatizzazioni fortemente volute da Carlos Menem negli anni ’90. Una sorta di reviviscenza peronista, insomma, propedeutica a politiche di stampo protezionistico. Il caso di Ypf, inoltre, non rappresenta il primo esempio di nazionalizzazione made in Argentina: la compagnia aerea di bandiera, l’Aerolineas Argentinas, venne nazionalizzata nel 2008; ad essa seguirono, nell’anno successivo, le aziende aeronautiche e i fondi pensionistici.

Sotto l’aspetto economico, la scoperta di 22 miliardi di barili di petrolio a Vaca Muerta, nella provincia di Mendoza vicino alle Ande, gioca un ruolo fondamentale. Il governo Kirchner agogna di controllare direttamente tali giacimenti, e la nazionalizzazione di Ypf, evidentemente, si inserisce in tale solco. La gestione autonoma dei pozzi costituirebbe altresì un vero e proprio volano per un’esponenziale crescita economica del Paese. Un po’ quanto già accaduto in Brasile, divenuto nono esportatore mondiale di greggio, a seguito della scoperta lungo le coste brasiliane di ingenti giacimenti petroliferi e di gas e della nazionalizzazione della Petrobas: sesta economia mondiale con tanti saluti alla Gran Bretagna, scalzata da tale posizione.

Ma la riconquista dei pozzi petroliferi non può relegarsi entro i confini nazionali argentini. La nazionalizzazione di Ypf creerà non pochi guai al governo spagnolo guidato dal Popolare Mariano Rajoy. Il premier iberico, già costretto a dover fronteggiare una situazione economica tutt’altro che idilliaca, si è espresso in merito all’affaire Repsol-Ypf in questo modo: “L’esproprio di Ypf da Repsol deciso dal governo argentino è un atto ingiustificato, una decisione negativa che rompe l’armonia nei rapporti tra Spagna e Argentina”.

Anche dalla Repsol sono immediatamente giunte parole di fuoco nei confronti della decisione del governo argentino. Secondo il presidente della compagnia petrolifera spagnola Brufau, “l’esproprio della Ypf è assolutamente illegittimo e ingiustificabile”. Brufau ha anche annunciato l’intenzione di chiedere un arbitrato internazionale e una rapida compensazione per le azioni della società nazionalizzata, per un valore almeno pari a quello di legge (si parla in tal senso di una cifra attorno 10 miliardi di dollari)”. Immediato, ça va sans dire, il niet dell’esecutivo guidato da Cristina Kirchner: “Non pagheremo quanto pretendono. Solo i mentecatti pensano che lo Stato sia uno stupido e adempia a ciò che chiede la stessa impresa”.

Dure le reazioni provenienti dalle istituzioni comunitarie: se il presidente della Commissione europea si è detto “deluso” dal comportamento argentino, auspicando “una soluzione della controversia che non danneggi le parti”, per l’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera e di sicurezza comune, Catherine Ashton, la nazionalizzazione della Ypf “è ragione di grave preoccupazione”,  in quanto “invia un segnale molto negativo agli investitori internazionali”.

Ma c’è di più: le nazionalizzazioni, con ogni probabilità, non termineranno con l’acquisizione di Ypf. La Kirchner ha paventato l’ipotesi di intervenire in altri settori oltre a quello energetico, come le telecomunicazioni e le banche. Una sorta di effetto domino, in grado di provocare una fuga di capitali esteri dal Paese: il Wall Street Journal del 18 Aprile scorso cita il caso della N2S, una piccola azienda spagnola di tecnologia e comunicazione, che ha dichiarato di voler frenare i propri piani d’investimento a Buenos Aires, stante “l’incertezza giuridica” creata dalle mosse della presidente Kirchner.

Bruttissime notizie, quindi, per la Spagna di Mariano Rajoy e per l’intera Eurozona: alla gravissima crisi economica in atto e alla bassa credibilità dei debiti sovrani dei paesi dell’area mediterranea, si è aggiunta un’altra tegola. Un altro potenziale bacino di sviluppo in meno per un’Europa sempre più in debacle.