Il negoziato sullo scudo spaziale Usa è ormai a un bivio
10 Luglio 2008
Un passo avanti e uno indietro. Questo è in sintesi il bilancio che si può trarre per gli Stati Uniti dopo le ultime discussioni con Repubblica Ceca e Polonia sul progetto di scudo missilistico, che il Pentagono vuole estendere dall’Alaska all’Europa orientale. Washington ha infatti registrato progressi con Praga, ma ha segnato il passo con
Insieme al dispiegamento di 10 missili intercettori nel nord della Polonia, questa installazione costituisce uno dei due elementi principali del cosiddetto ‘scudo spaziale’, un sistema di difesa contro attacchi balistici a lungo raggio (il cui costo ammonta a tre miliardi e mezzo di dollari), fortemente voluto dall’amministrazione Bush malgrado la persistente opposizione del Cremlino.
L’accordo di Praga – il primo del genere concluso dagli Usa con un Paese dell’Europa centrale, ex membro del Patto di Varsavia – rappresenta il primo tassello di un progetto difensivo concepito cinque anni fa da George W. Bush. Dovrà essere seguito da un secondo trattato, che definirà lo status del personale militare americano impiegato nella futura base radar. Entrambi questi accordi dovranno poi ricevere la ratifica del Parlamento ceco prima di entrare in vigore. Un problema per Mirek Topolanek, il primo ministro di Praga, dato che non solo tra i banchi dell’opposizione serpeggia un certo scetticismo a riguardo del progetto, ma anche tra gli esponenti della maggioranza.
Senza contare che, a quanto indicano gli ultimi sondaggi, i 2/3 circa della popolazione locale sono apertamente contrari alla base radar americana. Una ostilità che si può spiegare con il diffuso timore di una sovraesposizione internazionale del Paese, oltre che con l’opposizione dei più giovani alla politica interventista dell’attuale inquilino della Casa Bianca. La mancata ratifica vanificherebbe gli sforzi compiuti negli ultimi 20 anni dai cechi per entrare a far parte integrante del sistema di sicurezza americano. Il primo passo in tal senso fu il ritiro delle truppe sovietiche dal Paese, seguito dall’ingresso nella Nato nel 1999. L’obiettivo ultimo è quello di diventare un ‘fornitore di sicurezza’ per gli altri alleati dell’Alleanza atlantica: il sistema di difesa Usa andrebbe infatti a integrare quello più ridotto della Nato.
Il buon esito dei negoziati con Praga ha però il suo pendant negativo nello stallo con Varsavia, coinciso con la salita alla ribalta di Donald Tusk, divenuto nel novembre scorso primo ministro polacco al posto di Jaroslaw Kaczynski. Negli ultimi mesi, Tusk ha sollevato diverse obiezioni al progetto. In particolare, il premier di Varsavia teme che dal posizionamento dei missili intercettori possa derivare un indebolimento della sicurezza nazionale, invece che un suo rafforzamento. Il malcelato riferimento è a una possibile rappresaglia russa. Per tutelarsi di fronte a questo pericolo, il premier polacco ha chiesto agli Usa di mettere a disposizione del proprio Paese alcune batterie di missili Patriot. Tusk spera così di puntellare la difesa aerea nazionale in caso di attacchi missilistici di media e corta gittata.
Prima di partire per Praga, lunedì scorso, Rice ha incontrato a Washington Radek Sikorski, il ministro degli Esteri polacco. Nelle discussioni, Il segretario di Stato Usa ha aperto alla possibilità di dispiegare temporaneamente (un anno) missili Patriot in Polonia. “Ci sono cose che non possiamo fare”, ha detto Rice al suo collega di Varsavia: installare permanentemente sul suolo polacco missili di questo genere non farebbe altro che accrescere l’ostilità russa verso lo scudo anti-balistico.
Tusk è pronto ad aspettare l’ingresso in carica del nuovo presidente Usa per riprendere i negoziati: su nuove basi, naturalmente. Non a caso, nel suo tour americano, Sikorski ha incontrato sia Barack Obama sia John McCain. Varsavia è restia a sottoscrivere un accordo in materia con l’attuale amministrazione proprio per il timore di vederselo rimettere in discussione dal successore di G.W. Bush.
Dinanzi ai tentennamenti polacchi
Il Cremlino ha reagito duramente alla notizia dell’accordo tra Usa e Repubblica Ceca, minacciando non specificate rappresaglie ‘tecnico-militari’ (probabilmente in Abkhazia e Ossezia del Sud). Le rassicurazioni americane che lo scudo anti-missile è progettato per difendere l’Europa da una minaccia balistica iraniana, non convincono l’orso russo: Teheran non possiede una potenza di fuoco capace di minacciare il Vecchio Continente.
La diarchia Putin-Medevedev considera la semplice esistenza di uno scudo difensivo americano in Europea orientale una minaccia alla sicurezza nazionale russa. Per il ministero degli Esteri di Mosca, l’installazione della base radar in territorio ceco introduce un ulteriore elemento di instabilità in Europa, che rischia di interrompere il dialogo tra
Rice e Topolanek hanno ribadito che il componente radar da installare vicino Praga servirà esclusivamente a difendere i Paesi Nato da pericoli provenienti dal Medio Oriente. Il segretario di Stato Usa ha dichiarato che la proliferazione dei missili balistici non è una minaccia immaginaria. L’Iran potrebbe dotarsi in futuro di vettori balistici in grado di colpire l’Europa, nella peggiore delle ipotesi capaci anche di montare testate nucleari. Il lancio di un missile Shahab3 da parte di Teheran, durante un test balistico compiuto nella giornata di mercoledì, assume una certa valenza non tanto per la gittata del razzo (
In una intervista rilasciata mercoledì all’agenzia russa Interfax, Zbigniew Brzezinski ha voluto in qualche modo gettare acqua sul fuoco. Per l’ex consigliere alla sicurezza nazionale di Jimmy Carter, il dispiegamento del sistema di difesa anti-balistico in Europea orientale non sarà immediato. Il Congresso a guida democratica spingerà inoltre per un ulteriore approfondimento del progetto, a prescindere da chi sarà il nuovo presidente.
Un po’ poco per placare le ansie dei russi. In loro è viva la convinzione che lo scudo spaziale rientri in una più ampia strategia degli Usa per accrescere la propria influenza in quello che Mosca ha sempre considerato il proprio ‘cortile di casa’: Europa nord-orientale, Balcani (Washington ha basi in Bulgaria e Romania, ndr.), Ucraina e Caucaso. In una ottica geopolitica a 360°, lo spostamento a oriente della vecchia cortina di ferro, la presenza militare americana in Medio Oriente (e in Asia Centrale), il patto nucleare con l’India e il sistema di sicurezza nippo-americano nel Pacifico settentrionale, concorrono a stringere