Il Nilo e la Sfinge raccontati un secolo fa sembrano come nuovi
29 Marzo 2009
Se state decidendo proprio in questi giorni dove andare in vacanza. E se magari avete scelto l’Egitto. E se, fatta eccezione per qualche infarinatura scolastica, non sapete nulla. Ecco, allora evitate la solita guida. Optate piuttosto per un libro che – anche se scritto giusto un secolo fa – è molto più attuale e contiene un maggior numero di informazioni della più recente Lonely Planet.
È, in effetti, un piccolo cadeau letterario che non può mancare nello scaffale del viaggiatore. S’intitola “Il Nilo e la sfinge”, è scritto dall’ufficiale di marina francese Louis-Marie-Julien Viaud, meglio conosciuto sotto le vesti di Pierre Loti, ed è stato ristampato in occasione del centenario dall’uscita. Un testo che è anche un trattato di sociologia, di religione, di storia e insieme una vibrata denuncia dei pericoli di una modernizzazione troppo affrettata di un universo ancora antico.
Scritto come un racconto, è accompagnato dalla sensibilità per le cose semplici che caratterizza lo scrittore. L’avventura ha inizio con il simbolo per eccellenza: la Sfinge. Un monumento intenso, visto dall’autore in una notte piena di nebbia, alla stregua di “una colossale effigie umana… che guarda con i suoi occhi fissi e sorride forse, perché così immensa… essa è irreale, come proiettata da un riflettore nascosto dalla luna…”.
Si continua con il palazzo del sovrano Mohammed Alì al Cairo e in particolare Loti si sofferma sulle tremila moschee, “non chiuse da ogni lato, come nei paesi dove la legge dell’Islam è più dura… ma con una facciata completamente aperta che si affaccia su un giardino e che consente ai fedeli di raggrupparsi anche lì”. Una città che agli occhi dello scrittore francese “sta morendo” per eccesso d’occidentalizzazione. Nei giorni del viaggio di Loti, l’Egitto è governato dagli inglesi e lo sarà fino al 1922. Un dominio che, secondo lo scrittore transalpino, ha portato rovine, con la costruzione, ad esempio, di improbabili dighe sul Nilo, mettendo in forse l’antico rapporto tra natura e paesaggio, persino dal punto di vista climatico. Poi Loti, rientrato nel Vecchio continente, passa a parlare, in tre capitoli molto intensi, di Tebe, pezzo da novanta della storia greca.
Un po’ snob e un tantino dandy, l’autore osserva con sospetto l’atteggiamento di quei pochi turisti di allora. Lo trova strafottente. Lo considera quasi una “intrusione che suona come un’offesa a questi luoghi”. Siamo distanti anni luce dall’attuale turismo di massa. Eppure, con un pizzico di esagerazione, l’ottimo Loti ne coglie già certe allarmanti avvisaglie.