Il no all’estradizione di Battisti è il “delitto perfetto” di Lula

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Il no all’estradizione di Battisti è il “delitto perfetto” di Lula

30 Dicembre 2010

Sarebbe stato sorprendente un epilogo diverso. Lula aveva già deciso di non consegnare all’Italia Cesare Battisti nel momento in cui il Tribunale Supremo brasiliano (che é simile alla nostra Corte Costituzionale) gli affidò un anno fa l’ultima parola, a conferma del fatto che a Brasilia il potere politico in certi casi può molto di più rispetto alle corti di giustizia.

Da gran furbacchione, e uomo pragmatico qual è, Lula ha solo aspettato il momento migliore, cioè le ultime ore del suo mandato, in modo che le conseguenze non potessero ricadere su nessuno: lui va via e il successore (Dilma Roussef si era dichiarata a favore dell’estradizione ben sapendo che non avrebbe deciso alcunché) se ne lava le mani. Delitto perfetto. Resta da capire perché un presidente come Lula, che certo non ha fatto dell’ideologia il marchio di fabbrica dei suoi anni presidenziali, abbia deciso di sposare la causa di un pluriassassino che negli anni settanta in Italia sparava ai commercianti perché li considerava "agenti del capitalismo sul territorio", una delle più grandi bestialità mai pronunciate nella storia del terrorismo mondiale.

Ma Battisti non arriva in Brasile per caso. Arriva con una dote speciale. Scappa dalla Francia grazie all’inerzia (chiamiamola così) dei servizi di sicurezza transalpini, confortato dal sostegno di un nutrito gruppo di politici e intellettuali (anche in Italia, una parte dell’estrema sinistra e scrittori come Erri De Luca) con agganci notevoli nell’establishment politico e giudiziario carioca. Il Brasile è un paese ideale. Al potere c’è un partito di sinistra erede della lotta alla dittatura in cui c’è dentro di tutto, dai cattolici agli estremisti rossi.

Battisti, ma soprattutto i suoi amici e avvocati, puntano sugli ultimi idealisti, sulla frangia più ideologizzata che lo trasforma in un martire degli anni di piombo italiani. Una fanfaronata, ma Lula lascia fare, non se ne cura, accontenta alcuni ministri, non interviene. Non scontenta il corpaccione sinistrorso del partito, che tramite il responsabile della Giustizia, Tarso Genro, lo proclama addirittura rifugiato politico.

Sa pure che le sorti dell’uomo, Battisti, vengono seguite molto, molto da vicino anche dalla coppia presidenziale francese Sarkozy-Bruni (Carlà si è pubblicamente spesa per un’altra terrorista, Marina Petrella, e ha incontrato più volte la scrittrice Fred Vargas, la principale sostenitrice di Battisti): è probabile che un Battisti incarcerato in Italia, con contorno di interviste e polemiche, non piaccia molto all’Eliseo.

I rapporti, molto stretti, tra Brasilia e Parigi sono dunque decisivi in questa storia, molto più di quanto la logica dovrebbe suggerire: cioè che uno stato democratico consegni un omicida a un altro stato democratico che lo ha condannato secondo le sue leggi e i suoi tribunali. Che l’ergastolano dei Proletari armati per il comunismo poi diventato scrittore di successo non sia un perseguitato politico è infatti evidente a tutti, anche al presidente uscente del Brasile. Ma liberando Battisti, con la certezza che i rapporti con l’Italia non saranno compromessi, e fregandosene di principi e ideali di giustizia più volte sbandierati, Lula conferma di avere un cinismo politico forse insuperabile, lo stesso che gli ha consentito nel corso di questi anni di passare per un’icona della sinistra mondiale no global pur stringendo accordi importanti con l’America di Bush.

Giuseppe Cruciani è autore di "Gli amici del terrorista. Chi protegge Cesare Battisti". (Sperling&Kupfer 2010)